Innovazioni nell’architettura delle trattrici agricole

di Antoniotto Guidobono Cavalchini
  • 24 September 2014
L’architettura delle trattrici agricole risale agli anni ’20, gli albori della meccanizzazione agricola, ed è rimasta sostanzialmente inalterata.
In pratica la trattrice agricola è un triciclo che appoggia sulle 2 ruote posteriori e sulla cerniera anteriore. La trave è ottenuta dal blocco motore, dalla scatola della trasmissione e del differenziale. E’ sicuramente robusta grazie alle dimensioni generose dei componenti e ha assolto finora egregiamente alle esigenze del sistema agricolo e a quelle costruttive e di economicità dei costruttori.
Rare sono e sono state le eccezioni a questo schema: alcune macchine specifiche per la foraggicoltura alpina (Aebi, Reform … ma già quest’ultima nel momento in cui decide di realizzare macchine più versatili, adatte per l’intero ventaglio delle operazioni agricole, passa allo schema tradizionale). Lo stesso percorso venne seguito da Pavesi, genio della meccanica agraria, che dopo aver realizzato nel 1916 le P2 e P4 a telaio snodato e ruote isodiametriche, pietra miliare dell’ingegneria agraria, poi riprese dai costruttori americani negli anni ’70, nel progettare i trattorini Motomeccanica Balilla, opta per la soluzione a trave longitudinale appoggiata su 3 punti.
Tale soluzione è stata, a mio avviso, pienamente soddisfacente fino agli anni ’90, mentre oggi sarebbero opportune soluzioni radicalmente diverse. Numerose sono le ragioni, mi limito a evidenziarne due: la specializzazione e i miglioramenti delle operatrici e la diffusione del contoterzismo, fenomeno che, mi piace sottolineare, è nato in Italia.
Nel primo caso la cura nello sviluppo delle operatrici ha consentito velocità operative di altro ordine di grandezza rispetto a quanto consentito solo pochi anni fa: lo sfalcio dei foraggi viene effettuato a velocità prossime ai 20 km/h, la semina 10-15 km/h; lo stesso per le concimazioni, i trattamenti e le lavorazioni del terreno. Ciò grazie alla qualità delle operatrici, che nelle versioni più raffinate vengono dotate di ammortizzatori, e alla sistemazione dei terreni resa possibile di nuovo dalla disponibilità di macchine operatrici e a tecnologie elettroniche adeguate.
Nel secondo caso, il contoterzismo ha consentito la creazione di aziende virtuali di grandi dimensioni e con appezzamenti posti ad elevate distanze, anche dell’ordine di diecine di km e giustifica una meccanizzazione specializzata.
E’ evidente che tutto ciò richiede, oltre a quelle di lavoro, velocità di spostamento elevate superiori all’attuale limite dei 40 km/h (50 in Germania). Ma velocità elevate richiedono soluzioni di sospensioni adeguate per ovviare alle reazioni del terreno sugli appoggi, ovvero le ruote, che comportano situazioni di pericolo oltre che di disagio ergonomico per gli operatori e di elevate sollecitazione sui mezzi. Finora si è ovviato con soluzioni rudimentali, limitate all’assale anteriore direzionale, e con l’adozione di pneumatici flessibili in grado di assorbire in parte tali reazioni. Ma è evidente che si tratta di soluzioni parziali al problema.
Nel momento in cui si prendesse effettiva coscienza della pericolosità degli attuali mezzi agricoli, o, peggio, si volesse ulteriormente aumentare la velocità, ( JCB produce una trattrice agricola in grado di raggiungere i 70 km/h), l’architettura tradizionale a trave longitudinale dovrebbe essere abbandonata a favore di soluzioni a telaio con forme di sospensione del tipo indipendenti a bracci multilink e ruote isodiametriche per potersi meglio adeguare alle irregolarità del terreno.
Personalmente vedo una evoluzione che, quantomeno nell’ambito delle classi di potenza media 80-120 kW, derivi soluzioni dai mezzi fuoristrada di ambito automobilistico. Di nuovo, intravedo forme di collaborazione fra industria automobilistica e trattoristica, come già sottolineato in una precedente nota a proposto delle soluzioni ibride (v. Georgofili INFO, 30 luglio 2014).
Si tratterebbe, in ogni caso, di innovazioni veramente radicali che richiedono investimenti cospicui difficilmente sostenibili nell’attuale congiuntura economica dei paesi occidentali nei quali risiedono i grandi costruttori di trattrici agricole.