La concorrenza in agricoltura

Sintesi dell’intervento svolto il 20 giugno u.s., durante un incontro presso i Georgofili, sul tema della concorrenza in agricoltura.

di Luigi Costato
  • 26 June 2013
All’atto della creazione del mercato comune, soluzione di ripiego a fronte della mancata ratifica da parte della Francia del Trattato istituente la Comunità europea di difesa (CED), si discusse a lungo sull’opportunità di includere in esso anche il settore primario, ma alla fine le ragioni politiche addotte in specie dal ministro belga Spaak prevalsero, e l’agricoltura divenne parte integrante della Comunità Economica Europea, pur con il riconoscimento delle sue peculiarità e, conseguentemente, della necessità di regolarla in modo specifico.
Il riconoscimento di queste peculiarità, contrariamente a quanto era prevalentemente accaduto nei Paesi europei, non s’incentrò sul richiamo alla terra, e cioè al bene produttivo agricolo quasi esclusivo, ma su ciò che si ricava dall’attività, e pertanto l’agricoltura fu definita attraverso, soprattutto, i beni che da essa derivano, con un rinvio a un elenco tassativo ai prodotti elencati nell’allegato II, poi divenuto I. L’allegato, modificato solo nel 1961 con il reg. 7 bis di quell’anno (questo regolamento contiene poche aggiunte, e poco significative), comprende sostanzialmente tutti i prodotti della terra e quelli animali quasi solo finalizzati a scopi alimentari, ed anche alcuni trasformati, che fin dall’art. 38, a carattere definitorio, era previsto fossero solo frutto di “prima trasformazione”.
Lo spostamento del riferimento della materia agricola dalla terra ai suoi prodotti – che potevano essere anche ottenuti “fuori terra” se frutto  di allevamento in vivai o serre – era completato anche dalla presenza, nell’allegato, del pesce, dei crostacei e dei molluschi, richiamati indistintamente quale che fosse la loro origine, marina, lacustre, fluviale o d’allevamento. La scelta è stata ora completata, da Lisbona, con l’esplicito richiamo alla pesca quale attività da regolare, per quanto possibile, come l’agricoltura, fermo restando il fatto che, benché si parli di pesca, nel settore sono compresi anche i prodotti ittici allevati e non raccolti senza incidere sul suo processo produttivo.
Malgrado il trattato di Lisbona abbia sancito la formale “degradazione” della politica agricola da materia di competenza esclusiva della Comunità, quale, di fatto, essa è stata dal 1962, a materia di competenza concorrente – senza, per altro, che a ora si siano visti effetti rilevanti di questo declassamento, anche perché, in contrasto con esso, l’art. 38 prevede che “l’Unione definisce e attua una politica comune dell’agricoltura e della pesca” – la PAC resta caratterizzata dalle finalità dichiarate dall’art. 39, par. 1, e cioè dall’incremento della produttività in agricoltura, dall’assicurazione di un tenore equo di vita agli agricoltori, della stabilizzazione dei mercati, della sicurezza degli approvvigionamenti e di prezzi ragionevoli ai consumatori.
Quanto alla concorrenza, l’art. 42 prevede che “le disposizioni del capo relativo alle regole di concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal Consiglio (ora anche in unione con il Parlamento europeo)...”. Un richiamo generale agli artt. da 85 a 90 (ora da 101 a 106 TFUE) era contenuto nel reg. 26/62, che li rendeva applicabili “a tutti gli accordi, decisioni e pratiche, di cui all’art. 85, par. 1 e all’art. 86 del trattato (ora, rispettivamente, 101, par.1, e 102 TFUE), riguardanti la produzione o il commercio dei prodotti elencati nell’allegato II (ma ora I) del trattato, fatte salve le disposizioni del seguente articolo 2”.
Quest’ultimo prevedeva, sostanzialmente, la liceità dell’attività di associazioni d’imprenditori agricoli, da intendersi quelli che producono materie prime veramente agricole, e non fra primi trasformatori, a meno si tratti di trasformazioni storicamente effettuate dagli agricoltori come la vinificazione o la produzione di formaggi in azienda agricola, e purché riuniscano agricoltori in senso stretto, ecc. 
Le associazioni in questione devono avere come scopo di coordinare l’immissione sul mercato dei prodotti agricoli, anche in modo intenso, purché non abbiano la funzione di fissare un prezzo stabilito, non escludendo in tal modo la concorrenza e non violino, con il loro comportamento, le finalità dell’art. 39 del trattato. 
La PAC, come impostata nel 1962, ha subito profondi cambiamenti, soprattutto nel 2003, con il reg. 1782/2003; già nel 1992, con la riforma McSharry, come modificata per adeguarla all’Accordo agricolo che doveva essere contenuto nel trattato di Marrakech, il sistema di protezione creato originariamente per tutelare gli agricoltori, specie se produttori di commodities, è stato fortemente ridotto, attraverso vuoi la diminuzione dei prezzi d’intervento, vuoi la soppressione dei prelievi, sostituiti da dazi fissi in calo progressivo. Quest’orientamento ha reso meno comprensibile e giustificabile il divieto degli accordi di cui al reg. 26 contenenti anche riferimenti al prezzo, poiché la garanzia di prezzo assicurata agli agricoltori era fortemente diminuita, fino a ridursi, nell’attuale situazione, a qualcosa che non è per niente una “rete di sicurezza”, come si è tentato di qualificarla, ma addirittura tanto irrisoria da non trovare, in pratica, applicazione concreta.
Eppure il regolamento 26 è stato sostituito dal reg. (CE) n. 1184/2006, il cui art. 1 mantiene il vecchi orientamento, con le precedenti eccezioni. A queste norme si sono affiancate, nel regolamento per l’OCM unica (reg. 1234/2008), disposizioni sulla concorrenza di sostanzialmente uguale contenuto, ma con alcuni primi – per altro timidi - cedimenti, rispetto alla rigidità di quanto disposto dal vecchio reg. 26, e ciò in materia di attività di associazioni fra olivicoltori, produttori ortofrutticoli e di tabacco, come emerge dall’art. 123, par. 1, del regolamento 1234.
Oggi, tuttavia, cominciano a emergere nuovi, anche se per ora parziali, orientamenti legislativi che superano il vecchio “dogma” relativo al prezzo, come si può costatare in almeno un nuovo regolamento (quello sui lattiero caseari, che tende a superare le vecchie quote latte) e nella “promessa” del Consiglio contenuta nell’allegato II alla deliberazione finale sul testo di regolamento approvato in prima lettura dal P.E. sulla qualità dei prodotti agricoli (divenuto ora regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari). Insomma un tabù vecchio e cristallizzato sta scomparendo progressivamente, quanto meno per DOP e IGP, mentre resta insoluto il problema delle grandi commodities, che sono esposte alla concorrenza mondiale senza sufficienti difese.

Foto: www.balcanicaucaso.org