Risollevare l’agricoltura? Dalla politica, soltanto vaghe promesse pre-elettorali.

di Lorenzo Frassoldati*
  • 21 September 2022

Altro che centralità dell’agricoltura! La grande assente dal dibattito pre-elettorale è stata proprio lei, l’agricoltura (e non parliamo di ortofrutta, naturalmente, che per i nostri politici non esiste). L’ha segnalato il presidente di Granarolo, Gianpiero Calzolari, persona che sa quello che dice. Lo ha ribadito indirettamente il neopresidente nazionale di CIA, Cristiano Fini che parla di “tempo scaduto” chiedendo ai candidati al nuovo Parlamento “di mettere mano a un piano agricolo di rilancio per salvare famiglie, aziende e Made in Italy”. Richiesta fatta con poco ottimismo della volontà e tanto pessimismo della ragione.
In effetti nei mille dibattiti che avete sentito sui media, alla fine noiosi e deprimenti, avete mai sentito parlare di agricoltura? Mai. Solo di carrello della spesa, quindi di problemi dei consumatori, delle famiglie. Ma noi che siamo giornalisti, quindi curiosi, siamo andati a leggere l’unico programma elettorale disponibile di una coalizione, il centrodestra, che tutti i sondaggi danno per favorita. Un programma comune, sottoscritto dai 4 partiti della coalizione, quindi degno della massima attenzione. Il programma consta di 15 capitoli, scritti per punti con apprezzabile sintesi e di facile lettura. L’agricoltura (“La nostra storia, il nostro futuro”) è il 13° capitolo. Si parte dalla PAC e dal PSN (Piano strategico nazionale) “per uno sviluppo che coniughi indipendenza e sostenibilità ambientale ed economica”. Poi “salvaguardia del comparto agroalimentare lotta al nutri-score e all’italian sounding” e “tutela delle eccellenze agricole italiane e loro promozione sui mercati esteri”. Fin qui siamo sul generico. Poi qualche impegno più specifico. “Rifinanziamento della misura ‘Più impresa’ a favore dei giovani agricoltori e dell’imprenditoria femminile” e “Innalzamento dei massimali degli aiuti de minimis per le imprese agricole”. Poi “promozione di una filiera per l’innovazione” e “rafforzamento degli strumenti di garanzia sui finanziamenti a favore delle imprese”. Avanti. Lotta al lavoro irregolare “con potenziamento degli strumenti di contrasto al caporalato” e riconoscimento e “valorizzazione delle piccole produzioni locali di qualità”. Chiusura con la lotta “alla proliferazione della fauna selvatica e delle epidemie animali” e necessità “di un piano nazionale invasi per l’irrigazione”.
Impegni tutti condivisibili ma anche generici, tali da poter essere sottoscritti da entrambi gli schieramenti. Si insiste molto sul ‘piccolo è bello’ (le piccole produzioni locali, il Piano invasi che prevede 10.000 laghetti collinari, ma servono anche i grandi invasi, i grandi bacini idrici sempre stoppati dagli ambientalisti). E sull’acqua serve una lotta decisa allo spreco che al Sud raggiunge anche il 50% delle reti idriche.
Cerchiamo allora qualcosa di più concreto e incisivo negli altri capitoli del programma, Ambiente e Lavoro. Sull’ambiente (definito “una priorità”) si parla di “rispettare e aggiornare gli impegni internazionali assunti dall’Italia per contrastare i cambiamenti climatici”. Nessun accenno a Green deal e Farm to Fork, nulla sugli obiettivi indicati dalla Commissione UE di ridurre del 50% l’uso di prodotti fitosanitari chimici e del 20% dei fertilizzanti entro il 2030, nulla sull’agenda varata dalla Commissione UE giudicata più volte penalizzante per la sicurezza alimentare europea dalle organizzazioni agricole. Tutti stanno chiedendo di ripensare questa Agenda, almeno di aggiornarla, perché pericolosa per il nostro potenziale produttivo. Ma nel programma del Governo di centrodestra poco o nulla si dice, l’unico timido riferimento è contenuto in quel verbo “aggiornare”. Viene da pensare che di agricoltura chi ha scritto questi capitoli sappia poco o nulla.
Ma andiamo avanti, il Lavoro e le imprese. Al capitolo 8 “Difesa del lavoro, dell’impresa e dell’economia” si parla di “Taglio del cuneo fiscale in favore di imprese e lavoratori” e di “Politiche di sostegno alle aziende ad alta intensità occupazionale”, e qui l’ortofrutta ci casca in pieno, in coerenza con quanto va ripetendo la Meloni che chiede politiche fiscali ispirate al principio del "chi più assume, meno paga”. E anche l’estensione “della possibilità di utilizzo dei voucher lavoro” (sempre stoppati dai sindacati) potrebbe dare una mano alle imprese del settore.
In tema occupazione nulla però si dice sulla difficoltà di reperire manodopera e sulla burocrazia che rallenta gli ingressi previsti dal decreto Flussi con pesanti impatti sulla operatività delle imprese in occasione delle grandi raccolte. E nulla sul costo del lavoro in agricoltura che ci penalizza rispetto ad altri competitor europei, in primis la Spagna.  E perché non proporre chiaramente di riconoscere alle imprese dell’ortofrutta lo status di imprese energivore, essendo le celle frigorifere componente strutturale dei magazzini di lavorazione?   
Altri spunti dal programma di centrodestra. L’export agricolo necessita di logistica efficiente e infrastrutture portuali e ferroviarie. Al capitolo 2 si dice: “Rendere l'Italia competitiva con gli altri Stati europei attraverso l'ammodernamento della rete infrastrutturale e la realizzazione delle grandi opere. Potenziamento della rete dell'alta velocità per collegare tutto il territorio nazionale dal Nord alla Sicilia realizzando il ponte sullo Stretto”. Poi: “Potenziamento e sviluppo delle infrastrutture digitali ed estensione della banda ultra larga in tutta Italia”.
Più o meno il quadro è questo. Onestamente, ci aspettavamo di più. Ci sembra particolarmente grave la mancanza di iniziativa su Green deal e Farm to Fork. Da partiti sempre molto critici con l’Europa, era l’occasione di affondare il colpo. Comunque…. Spesso gli impegni pre-elettorali sono fiere delle illusioni, libri dei sogni. Qui non vedo nulla di irrealizzabile, anzi. Molte delle cose qui elencate avrebbero dovute già essere realizzate in un Paese che giudica l’agricoltura “il nostro futuro”.   Se c’è un limite, è nella vaghezza degli impegni, nell’incapacità di formulare un progetto strategico di ampio respiro, che vada oltre le ‘sovvenzioni e detassazioni’ che la politica concede come elemosine al settore. Le imprese vere, più che soldi, chiedono di essere messe in condizione di competere, di avere con sé uno Stato che agevola e supporta concretamente chi esporta, aprendo nuovi mercati e promuovendo sul mercato interno i consumi; di godere di agevolazioni fiscali e contributive in applicazione del principio sacrosanto che   "chi più assume, meno paga”. Si conferma – mi sembra – una certa sottostima/disattenzione verso i temi reali che affliggono le imprese a favore di impegni generici, buoni per tutte le occasioni.
Pronti a risollevare l’Italia, dice il claim elettorale di Fratelli d’Italia. Risollevare l’agricoltura è una impresa titanica, quasi come fare il ponte sullo stretto di Messina, sempre promesso (anche adesso) e che mai si farà. Quanto ci è costato mantenere l’Alitalia? Quanto ci è costato il reddito di cittadinanza?   Quanto ci è costato salvare gruppi bancari fatti fallire da bancarottieri senza scrupoli? L’agricoltura sarà pure “il nostro futuro”, ma è un futuro in cui la politica non ha mai dimostrato di credere fino in fondo.  Quando si parla del rapporto agricoltura-politica mi viene in mente la ricerca: importante, importantissima, massima priorità, tutti d’accordo in campagna elettorale. Poi a conti fatti sempre la Cenerentola…

*direttore@corriereortofrutticolo.it