Più fotosintesi e meno “stimolanti” per migliorare la qualità delle produzioni agricole

di Silverio Pachioli
  • 17 November 2021

Nell’immaginario comune, tutto ciò che viene proposto come “nuovo” incuriosisce e stimola l’interesse a provare.
Tutto questo è valido per i diversi settori della società, senza tralasciare il mondo dell’agricoltura. Ricercatori, tecnici e agricoltori sono sempre più affascinati dal mondo degli “stimolanti”, spesso con aspettative che, in  molti casi, vengono “letteralmente” deluse.
Sicuramente le conoscenze del sistema ormonale delle piante hanno aperto grandi strade per  il miglioramento quali-quantitativo delle produzioni agricole, ma rimangono, a parere di chi scrive, “semplici” nozioni di fisiologia vegetale, come quelle relative alla fotosintesi clorofilliana, che vengono tuttora disattese e inapplicate nei campi.
Conoscere e utilizzare bene le informazioni sulla fotosintesi ci permetterebbe di produrre meglio, di più, spesso a costi minori e con un minor impatto ambientale.
Nel 1648, Van Helmont, un precursore, pubblica i risultati di un esperimento consistente nel coltivare un salice, per 5 anni, in un recipiente contenete della terra e dell’acqua pura. La terra fu pesata all’inizio e alla fine dell’esperienza, mostrando solo una piccola diminuzione di peso (meno di 100 grammi), ma la massa dell’albero aumentò di parecchi chilogrammi, passando da 5 libbre, all’inizio dell’esperienza, a 164 libbre. L’interpretazione logica dei risultati, proposta da Stephen Hales nel secolo seguente (1727), è che la pianta prende la maggior parte della sua nutrizione dall’aria  grazie all’intervento delle foglie, Egli ammise che la luce, raccolta dalle foglie, può giocare un ruolo benefico nel processo (J. Farineau, J.F. Morot-Gaudry, La Photosynthèse-Ed. QUAE).
La fotosintesi clorofilliana e, quindi l’efficienza produttiva delle piante in termini di produttività, è influenzata da fattori esogeni (specie, cultivar, ecc.) ed endogeni (ambientali e antropici).
In questa discussione si prendono in considerazione le possibili influenze della nutrizione idrico-minerale sul processo fotosintetico.
Fertilizzazione e irrigazione sono pratiche colturali che possono influenzare in modo determinante la funzionalità fotosintetica. Analizzando l’importanza degli elementi nutritivi, sia macro che micro, è interessante evidenziare la diretta azione dei nutrienti sull’intero biochimismo fotosintetico.
L’azoto entra nella costituzione della clorofilla e viene utilizzato dall’enzima RuBisCo; una sua carenza limita la capacità di impiegare i prodotti della fase luminosa della fotosintesi (ATP e NADPH), con rallentamento della velocità dei processi di carbossilazione, anche per un effetto inibitorio retroattivo, che può esporre la foglia a fenomeni di fotoinibizione e fotodanno, con conseguenti cali di produttività.
La disponibilità di azoto per la pianta non dipende solo dalla sua presenza nel suolo, ma anche dalla disponibilità idrica che veicola l’elemento fino alle radici.
Il potassio controlla il momento stomatico (apertura e chiusura degli stomi), condizionando gli scambi gassosi a livello fogliare e, quindi, i processi fotosintetici e quelli respiratori; inoltre, favorisce l’integrità strutturale e, di conseguenza, la funzionalità dei plastidi.
Il fosforo è un componente essenziale di molti zuccheri-fosfati coinvolti nella fotosintesi, nella respirazione e in altri processi metabolici; esso svolge anche un ruolo essenziale nel metabolismo energetico per la sua presenza nell’ATP, ADP, fosfato inorganico (Pi), zuccheri fosforilati ed acidi organici fosforilati.
Il ferro interviene nei processi di sintesi della clorofilla, anche non essendone costituente, catalizzando la reazione tra il succinil CoA e la glicina con formazione temporanea dell’acido α- ammino β- cheto adipico, che si decarbossila ad acido δ ammino levulinico (precursore universale di tutti i tetrapirroli), il quale si condensa per formare il gruppo pirrrolico della clorofilla (le clorofille sono magnesio-porfirine che fanno parte della classe dei tetrapirroli). Presiede alla sintesi delle membrane dei cloroplasti, dei complessi clorofillo-proteici, dei carotenoidi, dei centri di reazione; probabilmente interviene, con la sua azione catalitica, anche nell’introduzione del magnesio nel gruppo tetrapirrolico (porfirine).
Il ferro è, inoltre, presente nella molecola dell’eme, costituendo i citocromi (emoproteine che fungono da trasportatori di elettroni),  le perossidasi e le catalasi (sistemi enzimatici coinvolti nell’eliminazione dell’H2O2); è presente nella fitoferritina (funge da accumulatore di ferro nello stroma plastidiale delle foglie e nei tessuti floematici e xilematici) e nella ferredoxina (ferro-zolfo proteina utilizzata per ridurre il NADP+ a NADPH nel fotosistema I).
Il magnesio è un componente essenziale della clorofilla; è anche un attivatore sia della ribulosio difosfato carbossilasi che della fosfoenolpiruvato carbossilasi, due enzimi chiave nella fissazione della CO2; è, inoltre, fondamentale per le reazioni che coinvolgono l’ATP, dove serve per legare la molecola al sito attivo dell’enzima.
Lo zolfo, nella forma di ferro-zolfo proteine- come ferredossina-, è importante nelle reazioni di trasferimento degli elettroni nella fotosintesi.
Il manganese è implicato nei processi di ossidoriduzione nel sistema di trasporto degli elettroni della fotosintesi, in particolare nelle fasi relative alla fotolisi dell’acqua e allo sviluppo di ossigeno (fotosistema II). La carenza di manganese provoca inoltre una forte diminuzione della sintesi degli zuccheri.
Il boro ha influenza sulla fotosintesi in modo indiretto, in quanto, anche non partecipando direttamente alla costituzione di complessi enzimatici, esplica la sua azione su reazioni di tipo ossidativo (catalasi, perossidasi, ecc.), attivando così la sintesi della clorofilla e degli zuccheri. È altresì interessato nel trasporto dei glucidi, in quanto, complessandosi con essi, attraversa facilmente le membrane cellulari favorendone così la traslocazione dai centri di produzione (“source”) a quelli di assorbimento (“sink”).
Altri elementi (cloro, zinco, rame, ecc.) influiscono e condizionano il processo fotosintetico; sono richiesti in quantità minime e difficilmente si evidenziano fenomeni carenziali.
La disponibilità idrica nel terreno influisce sulla fotosintesi clorofilliana e, in generale, sulla fisiologia, sviluppo e  produttività della pianta.
La prima reazione della vite allo stress idrico si verifica a livello dell’apertura/chiusura degli stomi, che è regolata da meccanismi di tipo idraulico, ormonale e chimico.
Entrano in gioco l’acido abscissico (ABA), la domanda evaporativa, l’efficienza traspirativa, la formazione di “emboli”, ecc.
La carenza di acqua provoca un decremento del potenziale idrico fogliare e la chiusura degli stomi, seguiti da una diminuzione della traspirazione e della fotosintesi netta.
La traspirazione è un movimento di vapor acqueo che fuoriesce dagli stomi e svolge diverse importanti funzioni: a) termoregolazione della foglia, che si raffredda a seguito dell’evaporazione dell’acqua (per far evaporare 1 kg di acqua a pressione atmosferica occorrono 2,25 kJ. Questo calore proviene dall’energia luminosa intercettata dalle foglie che, se non venisse allontanata in questo modo, comporterebbe danni alla foglia per “surriscaldamento”); b) trasporto di linfa xilematica; c) regolazione dell’apertura stomatica (essenziale per l’ingresso di CO2 nel mesofillo); ecc.
In condizioni di moderato stress idrico la fotosintesi viene quasi completamente depressa a livello degli stomi; in situazioni più limitanti l’inibizione è provocata da diversi fattori non direttamente collegati alla funzionalità stomatica.
Fra questi sono da citare: la riduzione dell’attività fotochimica (fotosistema II), la diminuzione degli enzimi fotosintetici, la ridotta capacità di rigenerazione della Rubisco, ecc.
In condizioni di campo, spesso, allo stress idrico si abbinano anche situazioni di alta temperatura ed irraggiamento che attivano processi di fotorespirazione e fotoinibizione.
In realtà le piante sono in grado di avviare processi fisio-biochimici capaci di moderare le alterazioni metaboliche dell’apparato fotosintetizzante indotte da severi stress idrici. Limitando l’analisi ai riflessi sulla fotosintesi, recenti studi di metabolomica e proteomica hanno dimostrato come il deficit idrico può influenzare il metabolismo cellulare modificando l’espressione di alcuni geni (es. geni legati all’attività fotosintetica, di gluconeogenesi e fotorespiratoria) e la conseguente composizione di proteine.
Aumentano altresì i trascritti che codificano componenti del fotosistema I e II e gli enzimi del ciclo di Calvin (es. il gene che codifica per la RuBisCo attivasi cresce in risposta al deficit idrico, probabilmente per aumentare l’efficienza fotosintetica, incrementando la quantità di RuBisCo e compensando così la riduzione di conduttanza stomatica).
Stress idrico e salino possono innescare fenomeni di fotoinibizione e/o fotoprotezione in quanto la pianta, per evitare ulteriori perdite di acqua, chiude gli stomi limitando così l’ingresso di CO2; ciò, come già ricordato, comporta una riduzione dell’attività fotosintetica della Rubisco con ripercussioni sul trasporto elettronico.
Questo induce un accumulo di energia di eccitazione nel fotosistema e nelle clorofille che può causare seri danni al “sistema di cattura” della luce (fotoinibizione).
I meccanismi di protezione indiretti che la pianta mette in atto per limitare gli effetti deleteri della fotoinibizione, sia essa causata da eccessi di luce o da carenza idrica, sono diversi (es. dissipazione fotochimica, fotorespirazione, dissipazione termica, ecc.) e rivestono tutti grande importanza per mantenere in efficienza l’intero processo fotosintetico.
Il tecnico di campagna non può operare senza  minime conoscenze di fisiologia e biochimica vegetale. Non bastano trattori, satelliti e computer per fare una “buona” agricoltura, così come la chimica, da sola, non potrà mai risolvere tutti i problemi dell’agricoltore.