L’ambiente non si potrà salvare senza l’allevamento razionale dei ruminanti

di Mauro Antongiovanni
  • 02 February 2022

Mi viene segnalato, per un mio commento a riguardo, l’articolo di Carlotta Iarrapino su “Terra e Vita” del 27 gennaio u.s., la quale intervista l’esperta ex-FAO Nadia El-Hage Scialabba.
Il titolo è: “L’ambiente non si potrà salvare senza il bestiame” (leggi QUI)
La Dr. Scialabba risulta una sostenitrice dell’agricoltura biodinamica e protagonista di uno scontro con la senatrice Cattaneo in parlamento qualche tempo fa.  Va ricordato prima di tutto. Nell’invitare i nostri lettori a leggere anche l’articolo originale di Iarrapino, mi permetto di farne una sintesi dei principali argomenti portati dalla intervistata.
1.- Per la sostenibilità del ciclo dei nutrienti e la fertilità del suolo di un sistema sono importanti i grandi erbivori, mentre gli allevamenti dei monogastrici, suini e polli, se intensivi, possono essere dannosi.
2.- Gli animali monogastrici allevati intensivamente possono facilmente essere ospiti intermediari di virus come quelli delle influenze aviaria e suina.
3.- I sostenitori della tesi secondo la quale per salvare l’ambiente in cui viviamo è necessario eliminare, in primo luogo, proprio i ruminanti in quanti i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra, non tengono conto della realtà.
4.- Mettere a riposo il suolo può essere determinante per la sua desertificazione.
5.- La carne “finta” e, aggiungo io, il latte “finto”, sono la soluzione del problema?
6.- La Scialabba suggerisce infine la diffusione della pratica dell’agricultura biodinamica come soluzione del complesso quadro della sostenibilità dell’ambiente.

Personalmente sono abbastanza d’accordo sul primo argomento: i grandi ruminanti e, in minor misura, gli ovi-caprini, non sono in competizione alimentare con l’uomo in quanto capaci di utilizzare a fini energetici i carboidrati strutturali (cellulosa, emicellulose e simili) delle erbe e dei foraggi in generale, praticamente inutilizzabili dai monogastrici. In più, se fatti pascolare razionalmente, migliorano il terreno arricchendolo. Ben vengano, quindi, anche se responsabili di flatulenze a base di metano.
La seconda affermazione è senz’altro vera: l’eccessivo sovraffollamento tipico degli allevamenti intensivi di polli e suini è una potenziale minaccia di ospitare virus facilmente trasmissibili ad altri allevamenti e, potenzialmente, all’uomo.
Per quanto riguarda la terza affermazione, non è vero che i ruminanti allevati in regime tradizionale in occidente siano i maggiori responsabili delle emissioni di CO2 equivalenti, come molti sostengono, per cui è bene eliminarli. Anche gli animali allevati in regime di agricoltura biodinamica, sostenuta e caldeggiata dalla dottoressa Scialabba, non si risparmiano in quanto ad emissione di gas serra. E poi, lo ammette anche l’intervistata, i conteggi del carbonio emesso nelle attività zootecniche, tradizionali, biologiche o biodinamiche che siano, lasciano molto a desiderare in quanto a precisione e correttezza.
Non mi sento di commentare il quarto punto, essendo l’argomento talmente complesso da non poter essere banalmente semplificato e poi non è di mia specifica competenza.
La carne costruita in laboratorio e mostri simili, solo apparentemente sono alternative ecosostenibili per la tutela dell’ambiente. Anche l’intervistata sembra d’accordo. Ecco le sue parole: “la prima carne sintetica è iniziata a circolare nel 2015. Oggi le grandi potenze investono milioni in questo settore. Nel 2019 Impossibile Food ha ricevuto il premio alle Nazioni Unite come Burger positivo per il clima. Mi sono iniziata a informare sulla questione e ho scoperto che questi sostituti di prodotti animali (carne, latte, uova) chiamati plant-based proteins hanno bisogno di materie prime, come la soia e il mais, delle quale si estraggono le proteine vegetali, prodotti con uso massiccio di glifosato, e altri fitofarmaci. Inoltre, devono essere aggiunte di numerosi ingredienti come vitamine e minerali e hanno un alto contenuto di sale. La carne in vitro viene prodotta con un’alta intensità energetica e la coltura tissutale della carne bovina prevede l'uso di fungicidi, antibiotici e fattori di crescita, come gli ormoni sessuali, vietati in zootecnia in Europa perché possono provocare rischi per la salute. Inoltre la carne da laboratorio ha impatti ambientali più elevati rispetto al pollo, latticini e sostituti a base di glutine, e impatti molto più elevati rispetto a sostituti a base di soia. Per quanto riguarda gli impatti sulla salute, invece, ci vorrà tempo per avere i primi risultati in merito.”

La conclusione ci porta a due considerazioni: la prima è che non è vero che eliminando l’allevamento dei ruminanti si contribuisce positivamente alla salvaguardia del pianeta, anzi sembra il contrario; la seconda è che produrre i surrogati artificiali della carne e del latte è più deleterio per l’ambiente, soprattutto in termini di consumo di energia e di alimenti primari vegetali da cui “produrre” proteine sintetiche, di quanto non sia produrre razionalmente bistecche naturali.
Sulla soluzione biodinamica dell’agricoltura permettetemi di non fare commenti per non fare la fine della senatrice Cattaneo.

Nota biografica.
Nadia El-Hage Scialabba è un’ecologista. Ha introdotto il concetto di sostenibilità nel settore agricolo inserendo l’agricoltura sostenibile e lo sviluppo rurale nell' Agenda 21 (1992) e facendo successivamente approvare all’unanimità (1999) il programma di agricoltura biologica ai paesi membri della FAO (organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione). Durante la sua carriera di 33 anni alla FAO, Nadia ha diretto progetti bio in tutti i continenti, formulato strategie governative per lo sviluppo e l’esportazione del biologico, concepito tavoli di contrattazione normativa che hanno tra le altre cose portato al riconoscimento dell’equivalenza fra i disciplinari bio fra USA e UE (2012), organizzato eventi internazionali e pubblicato vari studi scientifici sull’agricoltura biologica e biodinamica. Da agosto 2020, lavora per Swette Center for Sustainable Food Systems, istituto di ricerca scientifica dell’Arizona State University, una delle più prestigiose università del mondo e prima per l’innovazione negli Stati Uniti. Nata a Parigi e cittadina italiana da quasi 40 anni, Nadia è laureata in scienze ambientali all’università di Charleston, USA.