Il “Nobel dell’Acqua” al georgofilo Andrea Rinaldo

di Giulia Bartalozzi
  • 29 March 2023

Andrea Rinaldo, professore di costruzioni idrauliche all’università di Padova e direttore del Laboratorio di ecoidrologia dell’Ecole Polytechnique Federale di Losanna, si è aggiudicato lo Stockholm Water Prize, il premio per gli studi sull’acqua più prestigioso al mondo. Il professor Rinaldo è il primo italiano ad aver ottenuto questo importante riconoscimento, equiparabile a un Nobel per l’acqua, per i suoi studi sul rapporto tra reti fluviali, popolazioni e salute.
La cerimonia di consegna del Premio si svolgerà a Stoccolma alla presenza di Re Carlo XVI il 23 agosto 2023.
L’attività scientifica del professor Rinaldo, dai lavori teorici, agli studi sperimentali condotti in laboratorio, fino alle ricerche sul campo, si inserisce nel filone di ricerca dell’ecoidrologia, che indaga il rapporto tra l’acqua dei fiumi e le comunità vive, siano esse umane, animali, vegetali o persino di quegli agenti patogeni il cui ciclo vitale è legato all’acqua.
Accademico ordinario dei Georgofili dal 2014, ha risposto a qualche domanda per il nostro notiziario.

Professore lei è veneziano, quanto ha influito questo nel suo interesse per l'acqua?
Molto, per almeno due ragioni. Intanto familiari: mio nonno aveva un’impresa di costruzioni marittime a Venezia, mio padre (come io stesso, un mio fratello, uno dei miei figli, mio suocero e mio cognato) era ingegnere idraulico laureato a Padova. La seconda ragione è stata l'avere vissuto in città l’alluvione del 1966 (che a Firenze fece altri disastri). Quando finalmente le acque si ritirarono, lasciando miseria e dubbi sulla sopravvivenza di Venezia, il mio interesse per le ragioni di quella fragilità fu molto forte. Lo è tuttora. 

Ci può spiegare in parole semplici che cosa è l'ecoidrologia, suo settore di studi?
La motivazione del premio mi fa credito di essere uno dei fondatori della disciplina. Si tratta dello studio dei controlli dell’acqua sulle comunità vive (specie, popolazioni, patogeni), visto con occhi avvertiti non superficialmente sia sugli aspetti tecnici idrologici che su quelli ecologici. Cioè sia come strumenti che come conoscenza dei fenomeni. Il mio laboratorio, il primo a chiamarsi con quel nome (e oggi ve ne sono diversi in tutto il mondo) si caratterizza nel portare avanti sia studi sperimentali in laboratorio, che osservazioni di campo, sia anche  studi teorici i numerici dai quali sono partito (il mio dottorato di ricerca è in meccanica del fluidi).

Il concetto di "corridoio ecologico" è un argomento da Lei sviluppato nell'ambito delle sue ricerche. Ce ne fa un esempio?
Si basa sulla misura e il calcolo della propagazione di specie aliene in ambiti fluviali; io ho studiato la propagazione della zebra mussel nel sistema fluviale del Mississippi-Missouri, che ha suggerito l’utilità di un certo approccio matematico allo studio delle epidemie di malattia portate dall’acqua.  Verso la fine degli anni Ottanta, qualche nave cargo proveniente dall’Europa dell’Est attraversò i grandi laghi dell’America del Nord dove diffuse inavvertitamente le larve di un mollusco originario dell’Ucraina, chiamato zebra mussel. Le larve, trascinate dalla corrente, iniziarono a riprodursi e causarono notevoli danni ecologici all’intera rete fluviale del Mississippi-Missouri. In casi come questi, in cui le acque fanno da substrato all’interazione tra diverse specie viventi, il fiume assolve la funzione di un corridoio ecologico perché i meccanismi di trasporto che si verificano in un punto impattano sull’equilibrio dell’intero sistema.

Lei ha più volte sottolineato lo stretto rapporto tra acqua e salute umana, ovvero la possibilità di trasmissione di patogeni attraverso le reti idriche. Questo è uno degli aspetti su cui si basa la disuguaglianza sociale relativamente all'accesso all'acqua. Lei che ha viaggiato molto in tutto il mondo, pensa che ci siano margini per raddrizzare la rotta e portare avanti uno sviluppo delle reti idriche che tenga conto anche dei costi ambientali e sociali?
Io credo che una giusta distribuzione dell’acqua sia la base (pratica e concettuale) per una globale riduzione delle disuguaglianze. E credo che abbia ragione Piketty: la vecchia idea di Kutsnetz (forse male generalizzata) secondo cui al crescere del prodotto interno lordo di una nazione a un certo punto si riducano le disuguaglianze sia una favola. Lo strumento per farlo è, secondo me, immaginare che i futuri grandi piani di gestione delle risorse idriche ricomprendano una vera valutazione del capitale naturale e dei servizi degli ecosistemi: riflesso nell’acqua, come si dice, e cioè nella stima quantitativa del capitale naturale, dei servizi e disservizi di piene, siccità e — appunto — nella distribuzione dell’acqua. Per valutare la ricchezza di un paese siamo infatti abituati a servirci di indicatori economici, tra cui il PIL, che però non permette di stimare il valore delle perdite di patrimonio naturale. Eppure, la verità è che nessuna economia può durare in eterno danneggiando il capitale naturale, decimando le foreste, distruggendo gli ambienti terrestri e marini e rovinando l’estetica del paesaggio. Un esempio di questa dura realtà è il destino ormai segnato degli ecosistemi naturali della laguna di Venezia.