Il contributo degli insetti alla produzione di lipidi

di Paolo Bondioli, Elisabetta Rossi, Giuliano Mosca
  • 29 March 2023

La crescita demografica prevista per questo secolo pone importanti interrogativi sulla disponibilità e sull’uso delle risorse alimentari e idriche: le stime indicano in più di 9 miliardi di persone, la consistenza della popolazione mondiale nel 2050. Sotto la spinta di queste previsioni, a partire dal 2013, la FAO ha iniziato un’attività di sensibilizzazione sul tema dell’uso degli insetti nell’alimentazione umana e degli animali di allevamento (FAO, 2013) come risposta alla sfida sulla crescente domanda di proteine. L’argomento ha dato origine ad un vasto dibattito nella comunità scientifica che prosegue tuttora: per quanto molti siano ancora gli aspetti tecnici e scientifici da chiarire, l’uso alimentare degli insetti è comunque un tema di grande attualità.
Ulteriore conseguenza dell’atteso aumento demografico è anche la crescente richiesta di sostanze grasse naturali per usi non alimentari. La quantità di lipidi naturali utilizzata a scopo alimentare copre attualmente circa il 75% di quella disponibile, mentre il restante 25% è usato per fini energetici, per la detergenza e la cosmetica, in prodotti vernicianti, nei biolubrificanti nonché in numerosissimi impieghi tecnici di nicchia.
La crescente domanda di sostanze grasse ha creato tensioni di mercato derivanti dalla competizione tra uso food e non-food di sostanze grasse naturali, causando accesi dibattiti sulla liceità di sottrarre risorse potenzialmente destinabili all’alimentazione, dirottandole verso la produzione di energia e prodotti per l’industria.
Negli ultimi anni si è quindi sviluppato un ampio ventaglio di studi per l’individuazione di sostanze grasse di origine naturale per utilizzi industriali, alternative alle fonti tradizionali. Così come nel caso delle fonti proteiche per uso alimentare, l’obiettivo è quello di ottenere grassi da produzioni sostenibili.
Gli allevamenti massali di insetti sembrano rispondere perfettamente alle esigenze di sostenibilità, sia quando la produzione è destinata al diretto consumo da parte dell’uomo, sia quando, in genere sotto forma di farina, entra nella composizione dei mangimi per uso zootecnico. Gli allevamenti di insetti presentano infatti, rispetto a quelli zootecnici tradizionali, un impatto ambientale ridotto, con basse produzioni di gas serra, limitato consumo di suolo e di acqua, e producono spesso, come sottoprodotto dell’allevamento, del frass (escrementi di insetti allevati) utilizzabile come ammendante. Inoltre, quando le farine di insetto vanno a sostituire le fonti proteiche attualmente utilizzate nei mangimi zootecnici, quali le farine di soia e di pesce, si evita, da un lato, la competizione con una coltura utilizzata anche come food, dall’altro, si riduce l’impoverimento dell’ecosistema marino. Non va dimenticato che l’Unione Europea è deficitaria in materiale proteico ad uso zootecnico e ricorre ad importanti importazioni da Paesi terzi. Altro vantaggio degli allevamenti di insetti è quello legato all’utilizzo di specie saprofaghe come la mosca domestica (Musca domestica) o la mosca soldato nera (Hermetia illucens) che, sviluppandosi a spese di biomasse di scarto, consentono di abbassare i costi di produzione, con il duplice vantaggio di ottenere grandi quantità di produzione e, allo stesso tempo, consentendo la biotrasformazione del substrato, divenendo così un virtuoso esempio di applicazione dei principi dell’economia circolare. Oltre a questo, gli insetti già costituiscono un elemento importante dell’alimentazione umana in diverse parti del mondo. In almeno 113 Paesi in Asia, Africa e America, infatti, l’entomofagia è una pratica diffusa, che riguarda circa 1500 specie di insetti e che coinvolge almeno 3000 gruppi etnici, per i quali l’uso alimentare degli insetti è parte integrante della dieta, costituendo una importante fonte proteica. In Occidente, il consumo alimentare degli insetti è raro e si rivolge solo ad alcune particolari specie (es. Piophila casei o mosca del formaggio), anche se è necessario ricordare che, sia pure in modo inconsapevole, possiamo ingerire insetti o loro frammenti attraverso molti prodotti di origine vegetale presenti nelle nostre diete. 
Pensare agli insetti come fonte di sostanze grasse non rappresenta di per sé una novità assoluta. Infatti, nel notissimo compendio su “Tecnologia chimica industriale delle sostanze grasse e derivati” di Martinenghi (1963), una versione aggiornata ed ampliata dell’opera pubblicata nel 1948, la sostanza grassa preparata dalla larva del baco da seta (Bombyx mori) trovava ampia citazione in termini di sostanza grassa totale (25-27%), acidità libera (4-32 % in acido oleico), caratteristiche organolettiche (giallo rosso, talvolta bruno con odore disgustoso caratteristico), quasi fluido, indicazione della presenza di acidi oleico, linoleico e linolenico, numero di iodio (105-132), numero di saponificazione (190-194), insaponificabile (1,6-10 %). Con la scomparsa della lavorazione italiana della seta, anche la produzione di olio di crisalide è scomparsa. Restano alcune produzioni di nicchia non meglio identificate che commercializzano questo olio a scopi cosmetici sul web, vantandone proprietà emollienti ricordando la qualità delle mani delle operatrici che manipolavano i bachi da seta nelle bigattiere di un tempo.
L’interesse nei confronti delle sostanze grasse estratte da insetti è recentemente cresciuto per ragioni molto diverse da quelle di un tempo, andando a intercettare due diversi fenomeni: da un lato, la crescente richiesta del mercato di lipidi di origine naturale,  attualmente attestata sul valore di circa 180 milioni di tonnellate ed in continuo aumento, dall’altro, il rinnovato interesse per gli insetti a scopo alimentare, che sta ovviamente incrementando la tecnologia e le conoscenze sugli allevamenti massali.
Gli insetti contengono i lipidi in massima parte all’interno del corpo grasso, un organo costituito da aggregati lassi di cellule rotonde o poliedriche (trofociti), generalmente dotate di vacuolo e avvolte da una membrana di connettivo, presenti a vario livello nella cavità emocelica, principalmente intorno al tubo digerente. La seconda riserva lipidica degli insetti è contenuta nell’emolinfa, il liquido circolante negli insetti destinato a trasportare sostanze nutritive e ormoni ai tessuti target e nel quale la frazione lipidica proviene dalla mobilizzazione delle riserve del corpo grasso e dalla digestione degli alimenti che avviene nel mesenterio. La componente lipidica di un insetto è quantitativamente variabile in funzione di diverse caratteristiche, a iniziare dalla specie.
Inoltre, il contenuto lipidico può subire forti variazioni in funzione di parametri biologici e genetici: le larve e le pupe contengono più grassi rispetto agli adulti e le femmine sono normalmente più ricche di lipidi rispetto ai maschi. Anche particolari condizioni fisiologiche come la diapausa o situazioni ambientali diverse (es. differenti temperature di sviluppo) possono influenzare la qualità e quantità della componente lipidica degli insetti. La stessa dieta può determinare variazioni nella composizione della componente lipidica dell’insetto, così da poterlo rendere, entro certi limiti, adattabile alle esigenze produttive. Molto, tuttavia, rimane da chiarire su questo aspetto, soprattutto in vista dello sviluppo di allevamenti di insetti destinati alla produzione di sostanze grasse.
Dal punto di vista chimico, la sostanza grassa contenuta negli insetti appare di tipo convenzionale, vale a dire costituita sostanzialmente da esteri degli acidi grassi con glicerolo (triacilgliceroli o trigliceridi), come un qualsiasi grasso di natura animale o vegetale convenzionale e quindi contenente in piccola quantità anche acidi grassi liberi e costituenti dell’insaponificabile.
Come in tutte le sostanze grasse, ciò che le differenzia è la composizione in acidi grassi, che ne influenza le caratteristiche fisiche, quali punto di fusione, viscosità, stabilità all’ossidazione, etc.
Le composizioni acidiche rilevate vengono considerate comparabili a quelle dei comuni oli vegetali, ad esempio essendo l’olio di cimice del melone principalmente costituito da acido palmitico, Palmitoleico, e Oleico, mentre nell’olio di cimice del sorgo si rilevano principalmente Acido Palmitico, oleico e linoleico. Per quanto riguarda la presenza di tocoferoli negli oli ottenuti da insetti non sono state rilevate concentrazioni interessanti. Nell’olio di Hermetia illucens si ritrovano quantità importanti di acido laurico, di scarso appeal dal punto di vista nutrizionale, ma molto interessante per il mercato della detergenza. Nella composizione sterolica nell’olio di larva di Sarcophaga carnaria è stato principalmente riscontrato colesterolo, mentre nell’olio estratto da adulti di cimice del melone e del sorgo, sono stati riscontrati fitosteroli in miscela, con una preponderanza di β sitosterolo.
Scarsi sono al momento i dati disponibili sull’influenza del substrato utilizzato per l’allevamento degli insetti sulla sostanza grassa prodotta, in termini di composizione in acidi grassi. Si tratta di un argomento che richiede di essere al più presto approfondito, in considerazione del fatto che la quantità e qualità della sostanza grassa influenzano pesantemente la valorizzazione del prodotto e la fattibilità economica delle iniziative industriali. Altro aspetto che dovrà essere tenuto in considerazione è quello relativo alla costanza delle produzioni, soprattutto in termini di composizioni. Infatti, la maggior parte delle applicazioni industriali richiede un elevato livello di standardizzazione del materiale in entrata per garantire la stabilità dei processi di trasformazione e la qualità costante dei prodotti finiti.
Per quanto riguarda la tecnologia di preparazione, questa può essere mutuata da quella delle sostanze grasse di origine vegetale o animale. Le larve di insetto contengono elevate quantità di acqua (60-80%) essendo la restante parte costituita da sostanza grassa e proteine, in rapporto di circa 1:3. La presenza di importanti quantità di acqua rappresenta un ostacolo per l’estrazione della sostanza grassa sia con solvente che mediante spremitura. L’estrazione con solvente non deve essere considerata come opzione possibile, in quanto questa tecnologia presenta numerosi problemi dal punto di vista energetico e dell’impatto ambientale. Volendo quindi procedere all’estrazione mediante pressa si renderà necessaria una preliminare riduzione, peraltro necessaria anche nel caso di estrazione con solvente, del contenuto in umidità del materiale fino a raggiungere un’umidità residua inferiore a l’8% circa. L’essiccazione del materiale, oltre a renderlo idoneo alla successiva spremitura presenta effetti accessori non trascurabili, quali ad esempio quello relativo alla bonifica microbiologica del materiale trattato termicamente. Questo presenta aspetti assolutamente rilevanti, in considerazione del fatto che il residuo proteico, per essere utilizzato in alimentazione animale, deve presentare livelli di contaminazione microbica assai ridotti. La spremitura del materiale essiccato consente la preparazione di sostanza grassa con buona resa, anche se non quantitativa. Il prodotto liquido che esce dalla pressatura continua si presenta torbido per la presenza di solidi derivanti dalle strutture cellulari del materiale in ingresso, che devono essere prontamente separate prima di inviare la sostanza grassa a stoccaggio. Anche l’eliminazione dell’umidità disciolta o dispersa nel prodotto rappresenta una tappa fondamentale per conferire la necessaria stabilità al grasso/olio estratto. In alternativa potrebbe essere possibile ottenere sostanza grassa dalla biomassa mediante il processo di rendering o fusione, tecnologia normalmente in uso per la preparazione dei grassi animali e che non richiede la preliminare eliminazione dell’acqua. Il materiale in ingresso, previa eventuale macinazione viene trasferito in un cuocitore, costituito da una caldaia aperta o chiusa, all’interno della quale, eventualmente in presenza di acqua il materiale viene portato ad elevata temperatura. Il trattamento consente la denaturazione delle proteine, la sanitizzazione microbiologica del materiale e l’affioramento della sostanza grassa che viene quindi separata mediante centrifugazione. Il materiale solido risultante, parzialmente disoleato viene quindi trasferito ad una pressa a coclea, mediante la quale si recupera una ulteriore quantità di sostanza grassa unitamente ad una farina proteica pronta all’impiego o allo stoccaggio.
L’estrazione della frazione lipidica con anidride carbonica in campioni di larve di Tenebrio molitor, ha portato all’ottenimento di olio con caratteristiche differenti in funzione delle condizioni operative (pressione e temperatura) utilizzate nel corso dell’estrazione. L’esperienza descritta è sicuramente interessante in quanto illustra le possibilità di ottenere prodotti diversi da una sola materia prima anche se i costi fissi ed energetici connessi alla tecnologia descritta quasi sicuramente impediranno l’industrializzazione del processo.
In una prospettiva futura di utilizzo degli insetti per fini alimentari (umani e/o animali) e per la produzione di oli, sicuramente gli aspetti tecnologici legati alla produzione massale dovranno essere supportati da un adeguato quadro normativo che garantisca produzioni di qualità, tutelando nel contempo il personale coinvolto negli allevamenti e nelle successive fasi di trasformazione e i consumatori. Fino a qualche anno fa, infatti, gli insetti, ad eccezione di api e baco da seta, non erano contemplati nelle normative che disciplinavano gli allevamenti animali ed erano considerati, dal punto di vista alimentare, un novel food in ambito europeo (Regolamento (UE) 2015/2283).
Un parere espresso dall’EFSA (2015) segnalava l’esistenza di un’oggettiva carenza conoscitiva sui possibili rischi biologici e chimici connessi all’uso degli insetti nell’alimentazione umana e animale, soprattutto in relazione ai substrati utilizzati per il loro allevamento, che non consentirebbe di aprire senza riserve agli allevamenti massali con finalità alimentari. Nel settore del petfood al contrario l’impiego è già consentito ma i prodotti formulati con farina di insetti sono scarsamente diffusi a causa della diffidenza dei proprietari degli animali. Diverso potrebbe invece essere il destino commerciale degli oli da insetto che, in quanto derivati da estrazione, potrebbero essere addizionati ai mangimi come integratori. Oggi dopo le larve della farina e la locusta migratoria la Commissione UE ha autorizzato la commercializzazione dei grilli domestici: ecco le novità in materia di insetti che potranno anche essere utilizzati in una serie di alimenti (23 gennaio 2023).

(Il testo riprende fedelmente i principali concetti già pubblicati in “Oli e grassi” (2019) pag.259-263, da Edagricole – Ed. agricole di New Business Media).