Ranalli - Il molecular farming non è più solo una tecnologia di nicchia, ma una piattaforma matura e in rapida evoluzione che può avere un impatto rivoluzionario sulla salute globale, offrendo una soluzione a basso costo, sicura e scalabile per la produzione dalle piante di vaccini e altri farmaci essenziali. In breve, tale tecnica prevede la trasformazione delle piante per produrre molecole di interesse terapeutico, come antigeni vaccinali (le proteine che attivano la risposta immunitaria), farmaci o anticorpi, che possono poi essere estratte dalle piante e usate nella lotta a malattie come il COVID-19 o il diabete.
La produzione di vaccini nelle piante e la sua relazione con l'agroindustria è un esempio lampante di come la bioeconomia stia unendo settori apparentemente distanti: quello agricolo e quello farmaceutico. Potenzialmente, il molecular farming rappresenta una vera e propria rivoluzione per l'agroindustria, trasformando i campi agricoli in "biofabbriche". Questa sinergia crea nuove opportunità, ma anche nuove sfide.
Eugenio, tu fai ricerche in questo settore da molto tempo, qual è lo stato dell’arte? Soprattutto con riguardo alle innovazioni nelle strategie di produzione.
Benvenuto - Come giustamente osservato, le potenzialità del molecular farming sono enormi. Tuttavia, per trasformare le piante in vere e proprie biofabbriche di molecole ad alto valore aggiunto, è indispensabile adottare una logica di filiera farmaceutica, che garantisca qualità, tracciabilità e sicurezza lungo tutto il processo produttivo.
Il termine molecular farming fu coniato agli albori di questa tecnologia, quando si pensava di coltivare piante come tabacco e mais – tipiche dell’agroindustria – direttamente in campo aperto. Oggi, questa visione è superata: la coltivazione di piante destinate alla produzione di biofarmaci avviene in ambienti confinati e controllati, come nel vertical farming, per assicurare l’isolamento dall’ambiente esterno e una netta separazione dalla filiera alimentare.
Queste colture seguono rigorosamente le Good Agricultural Practices (GAP), volte a minimizzare il rischio di contaminazioni da agenti patogeni, insetti o altri pericoli, e a garantire metodi di produzione sostenibili con basso impatto ambientale e tutela dei lavoratori. A valle della coltivazione, l’estrazione e la purificazione dei principi attivi avvengono secondo le Good Manufacturing Practices (GMP), come previsto per ogni prodotto farmaceutico.
La scelta della pianta da utilizzare dipende strettamente dal tipo di molecola da produrre. Per esempio, la Nicotiana benthamiana, solanacea affine al tabacco, nota come “tabacco australiano”, è la pianta di elezione per la produzione di anticorpi e vaccini. Una sua popolazione è stata selezionata per difetti genetici – come l’espressione difettiva della RNA-dependent RNA polymerase – che la rendono ideale per la trasformazione transiente. Su questa accessione, la cosiddetta LAB line, sono stati sviluppati protocolli altamente efficienti per l’introduzione di geni esogeni, basati su vettori sia plasmidici che virali con risultati eccellenti nella produzione di biofarmaci complessi.
Parallelamente, anche la trasformazione genetica stabile del riso ha mostrato risultati promettenti. La Healthgen Biotechnology (Cina) ha sviluppato una fabbrica intelligente per la produzione di Albumina Umana (OsrHSA - Oryza sativa recombinant Human Serum Albumin), con una capacità attuale di 1 milione di dosi annue e una nuova struttura in costruzione che raggiungerà i 12 milioni di dosi annue (circa 10 tonnellate). Il prodotto ha superato la fase III dei trial clinici ed è stato approvato per uso medico in Cina, aprendo la strada a una diffusione su larga scala.
Infine, anche in Islanda, grazie alla geotermia, aziende come ORF Genetics e Isogen Lifescience coltivano orzo geneticamente modificato in ambienti riscaldati per la produzione di fattori di crescita (ISOkine, MESOkine, DERMOkine), destinati alla medicina rigenerativa, alla ricerca e alle colture cellulari.
Ranalli - Quali sono i risultati più importanti raggiunti dal punto di vista applicativo? Mi pare ci siano vaccini già autorizzati per l’impiego umano. È così?
Benvenuto - Durante la pandemia da COVID-19, l’azienda canadese Medicago Inc. (oggi Aramis) ha sviluppato Covifenz, un vaccino proteico basato su particelle simil-virali (VLP) della proteina spike del SARS-CoV-2 (ceppo originario), formulato con l’adiuvante AS03, prodotto da GlaxoSmithKline e già utilizzato in diversi vaccini, tra cui quelli contro l’influenza.
Autorizzato in Canada, Covifenz ha rappresentato una pietra miliare nella produzione di vaccini proteici in pianta per uso pandemico, grazie alla rapidità e scalabilità del sistema vegetale. Già in precedenza, in collaborazione con la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency del Pentagono USA), Medicago Inc. aveva dimostrato la capacità di produrre 10 milioni di dosi di vaccino contro l’influenza H1N1 in appena un mese, a partire dall’identificazione delle sequenze virali responsabili della diffusione pandemica.
Questi risultati evidenziano il potenziale strategico del molecular farming nella risposta rapida alle emergenze sanitarie globali.
Ranalli - La ricerca sta esplorando la possibilità di produrre vaccini in piante commestibili (come patate o banane), permettendo la somministrazione orale (vaccini edibili). Questo eliminerebbe la necessità di aghi, personale qualificato e la catena del freddo, rendendo la vaccinazione più accessibile in tutto il mondo. Tale strategia, peraltro, permetterebbe di superare, in parte, gli inconvenienti dovuti a scarsi accumuli della proteina ricombinante espressa in sistemi eterologhi e di evitare costose procedure di purificazione. Ci sono prospettive concrete in questo settore?
Benvenuto - L’idea di produrre vaccini in piante commestibili destinate all’uso umano presenta numerosi ostacoli, il principale dei quali riguarda la standardizzazione del dosaggio, un parametro cruciale in immunologia clinica, insieme alla purezza del principio attivo. Sebbene questa strategia possa teoricamente eliminare la necessità della catena del freddo e ridurre i costi legati alle complesse procedure di purificazione – che rappresentano una delle componenti più onerose nella produzione di biofarmaci – ritengo che la via dei vaccini edibili non sia attualmente percorribile per l’uomo, se non in casi molto specifici. Una possibile eccezione potrebbe riguardare emergenze veterinarie su scala pandemica, dove la somministrazione orale e la semplicità logistica potrebbero rappresentare un vantaggio, soprattutto in contesti rurali o in situazioni di contenimento rapido.
Ranalli - Oltre ai vaccini, le piante si sono dimostrate efficaci nella produzione di anticorpi monoclonali, una classe di farmaci usata per trattare malattie come il cancro e le patologie autoimmuni, oltre a essere usati come terapie passive contro infezioni virali. Inoltre, sono in fase di sviluppo anche citochine, ormoni (come l'insulina) ed enzimi terapeutici per la cura di malattie rare. Quali sono i risultati finora ottenuti e le prospettive future?
Benvenuto - Gli anticorpi monoclonali (mAbs) rappresentano oggi alcuni tra i farmaci blockbuster più rilevanti nel panorama terapeutico globale, con un impatto crescente in oncologia, malattie autoimmuni, infettive e neurologiche. Nel 2025, il mercato mondiale dei mAbs ha raggiunto un valore stimato di 304,5 miliardi di USD, con una proiezione di crescita che supera i 1.000 miliardi di USD entro il 2034.
In questo contesto, la produzione in piante si sta affermando come una tecnologia altamente competitiva. Le rese ottenute sono tutt’altro che trascurabili: si possono raggiungere 1,5 g/kg di biomassa fresca, e in condizioni ottimizzate anche 3–5 g/kg, a seconda del tipo di anticorpo. I vantaggi rispetto ai sistemi tradizionali basati su cellule di mammifero (es. CHO) includono:
• costi di produzione significativamente inferiori
• scalabilità rapida e flessibile
• assenza di rischio di contaminazione da patogeni animali
Queste caratteristiche rendono il molecular farming particolarmente adatto per:
• risposte rapide a emergenze pandemiche
• applicazioni veterinarie e diagnostiche
• produzione di biosimilari in mercati emergenti con risorse limitate
Tuttavia, per molte terapie umane, la produzione in cellule CHO rimane lo standard, grazie alla maturità regolatoria e alla qualità consolidata del prodotto.
Un ambito in cui la produzione vegetale mostra un potenziale strategico è quello delle malattie rare o orfane, dove il mercato è troppo limitato per giustificare gli investimenti richiesti dai sistemi tradizionali. Un esempio emblematico è Elelyso (principio attivo: taliglucerase alfa), un farmaco biotecnologico approvato per la terapia enzimatica sostitutiva (ERT) nei pazienti affetti da malattia di Gaucher di tipo 1. Questa patologia genetica è causata dalla carenza dell’enzima glucocerebrosidasi, che porta all’accumulo di glucocerebrosidi nei tessuti, con danni a fegato, midollo osseo e uno stato infiammatorio cronico. Elelyso ripristina l’attività enzimatica mancante, riducendo l’accumulo patologico. È il primo farmaco approvato dalla FDA prodotto in cellule vegetali, in particolare carote geneticamente modificate, grazie alla tecnologia sviluppata da Protalix Biotherapeutics. Questo caso dimostra come il molecular farming possa offrire soluzioni efficaci e sostenibili per farmaci di nicchia, altrimenti non realizzabili con i metodi convenzionali.