Ancora troppe lacune nella difesa dalla mosca delle olive

di Silverio Pachioli
  • 09 November 2022

Dopo quasi duemila anni di conoscenza (Plinio, 24-79 d.C.), la mosca delle olive è sempre attuale e pronta a riservare brutte sorprese, in particolare in quelle annate e ambienti pedoclimatici dove le condizioni sono favorevoli al suo sviluppo e su tutte quelle cultivar particolarmente suscettibili.
A tutto questo si aggiunge, almeno per questo fitofago, una radicata tradizione fitoiatrica incentrata sull’utilizzo esclusivo di una o poche molecole che, ben presto, hanno manifestato limiti di efficacia, problematiche tossicologiche e interferenze ambientali.
Nel rimpiangere alcuni insetticidi potremmo raccontare la stessa “storiella” già ampiamente vista e vissuta per il methyl parathion e l’azinphos methyl, che molti ritenevano insostituibili nella lotta contro tanti lepidotteri dei fruttiferi. Poi, la ricerca scientifica e un cambio radicale di mentalità dei frutticoltori hanno dimostrato che l’applicazione di nuovi sistemi e mezzi di difesa potevano realmente migliorare la gestione di alcuni temibili fitofagi, permettendo così di continuare a produrre in agricoltura conciliando economia, salute e ambiente.
L’annata 2014, passata alla storia come una delle peggiori stagioni daciche (per una concomitanza di fattori biologici e climatici), anziché stimolare un approccio diverso nella gestione del temibile parassita, magari anche con la costituzione di “gruppi di lavoro”  o, come spesso accade in politica, di  “commissioni” per lo studio e la gestione di questo dannosissimo dittero, è stata ben presto dimenticata. La storia si è ripetuta nuovamente nell’annata 2022 e si concluderà, ancora una volta, alla fine della stessa campagna olivicola, come un “ricordo” di una “calamità” che sembra quasi riproporsi ciclicamente ogni 6-8 anni.
È bene rammentare che l’anno 2014 è stato anche uno di quelli dove il “principe” incontrastato degli insetticidi per quasi 70 anni, ossia il dimetoato, era ancora legale ma, evidentemente, come accade spesso nel mondo della biologia, non era nato per durare in eterno. Basti pensare che nel solo Abruzzo, nonostante gli ingenti quantitativi di questo insetticida distribuiti negli oliveti, si sono avute perdite di produzione per l’80%, corrispondenti a un valore commerciale di quasi 80 milioni di euro. Anche il più affidabile degli insetticidi mostrava, ahimè, segni di “debolezza/sofferenza” e si avviava, ormai, al suo “meritato riposo”.
Probabilmente aveva ragione il Prof. Guido Grandi quando, riferendosi ai primissimi studi sulle resistenze degli insetti,  definiva questi un “mondo occulto di dominatori dell’universo”.
Quello che il “grande” entomologo aveva solo preconizzato, si è poi avverato anche per la sostanza attiva che per decenni aveva permesso di gestire in modo semplice, veloce, poco costoso e con minimo “impegno professionale” la difesa dalla mosca dell’olivo. Tutto ciò non era imprevedibile, almeno per quegli addetti ai lavori che ritengono la fitoiatria non una forma di “praticantato”, ma una disciplina complessa che richiede conoscenze multiple e mai statiche. 

Fra i tanti motivi che hanno ridotto l’efficacia del dimetoato, alcuni anche legati ai cambiamenti climatici, si possono citare i seguenti:
1) Le larve di II età della mosca si appofondiscono nella polpa e sono difficilmente controllabili dall’insetticida. La sua citotropicità non è totale e risulta influenzata da diversi fattori interni alla drupa (es. stato idrico, spessore buccia, ecc.)
2) Il dimetoato è idrosolubile e, quindi, in annate molto piovose viene “diluito” all’interno della drupa, perdendo parte della sua efficacia.
3) Sono stati segnalati numerosi casi di resistenza legati alla pressione selettiva dell’insetticida.

Purtuttavia, all’uomo/imprenditore che resta, dopo i primi e comprensibili “rimpianti”,  interessa capire  come continuare a produrre e a difendersi dal terribile “nemico” utilizzando tutto quello che la ricerca, di recente, ha prospettato e che continua a validare in campo.
È necessario premettere che, probabilmente, non esiste altro caso entomologico, come quello accaduto per la Bactrocera, che ha visto, in questi anni, una così vasta e complessa serie di “proposte” fitoiatriche. Potremmo veramente dire, in questo caso, che si tratta del più bell’esempio di difesa integrata messo a punto per un  insetto: metodi chimici, fisici, biologici, biotecnici, legislativi, agronomici.
Ai soliti e tanto “apprezzati” mezzi chimici da distribuire con i classici atomizzatori, spesso tarati per vigneti e fruttetti, si sono affiancati sistemi di difesa più complessi e che richiedono un minimo di conoscenze biologiche dell’insetto.
È assolutamente non vero quanto spesso riportato riguardo l’inefficienza/inefficacia dei sistemi che prevedono l’utilizzo di repellenti, la difesa simbionticida, i metodi Attract and kill mediante trappole o spray, l’uso di nuove sostanze attive, i modelli previsionali, la lotta agronomica, ecc. Integrando tutti questi, e tralasciando la solita logica della “perfezione” e dell’infallibilità di un unico metodo, è possibile ottenere produzioni olivicole/olearie ancora ottimali sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Lo dimostrano le tante aziende che hanno già capito come gestire la difesa contro la mosca in un quadro fitopatologico ormai completamente mutato e che non tornerà mai più indietro.
Sicuramente utilizzare più sistemi di difesa richiederà un maggior impegno di tempo e di denaro, ai quali si potrebbe  “rimediare” con aiuti dalla Politica Nazionale in materia (Piano Olivicolo Nazionale, PAN, ecc.)  e/o comunitaria che, oltre a rafforzare un settore strategico come quello dell’uva e del vino, potrebbero riservare qualche euro in più a quel vero alimento nutraceutico che tutti dovremmo imparare a conoscere e a utilizzare per stare veramente meglio in salute.
La CEE, nel 1966 (reg. 136/1966), - “Attuazione del mercato comune nel settore dei grassi”- auspicava che i contributi comunitari servissero non solo per integrare i bilanci, ma anche per ammodernare le aziende. La Spagna, il Portogallo, la Grecia, in quel periodo, non facevano parte ancora della CEE, ma già pensavano a migliorare le loro aziende olivicole per renderle più competitive sul mercato mondiale. In Italia siamo ancora fermi e fortemente legati alla tradizione sovranista del “Basta il Made in Italy” per dar competitività e “respiro” alle nostre aziende e per conquistare nuovi mercati.  Così non è e non sarà mai, e la “storia” del dimetoato insegna che se non facciamo il possibile per trovare e/o sostituire vecchi mezzi, modelli e concezioni con nuove soluzioni (non solo in riferimento alla difesa), continueremo ad essere sempre meno competitivi sul mercato globale. 
La gestione della mosca delle olive, allora, non è un discorso semplice e sbrigativo come potrebbe sembrare, ma richiede veramente di rivedere l’intero comparto olivicolo/oleario a partire dall’impianto, dalle scelte varietali,  dalle attrezzatture per la difesa (spesso non adatte per determinate forme di allevamento o di potatura), dall’epoca di raccolta, dall’assistenza tecnica in campo, dal sistema dei frantoi (che aprono, spesso, quando chiudono le cantine!), dai cambiamenti climatici che anticipano la maturazione, dai mercati, dal concetto di associazionismo e cooperativismo in agricoltura, dal sistema di aiuti nazionali e comunitari, ecc.
Dobbiamo, in definitiva, mantenere le conquiste sociali e crescere, riducendo l’impatto ambientale.
E, se è vero, come amava ripetere il Prof. Filippo Silvestri, che “la mosca delle olive sfrutta in maniera spietata ogni buco che le viene lasciato libero”, sarà fondamentale utilizzare bene e meglio le macchine per la distribuzione dei prodotti fitosanitari (colpire un oliva su un albero non è come colpire una pesca o una mela!!), rivedere le nostre forme di allevamento, il nostro modus operandi (la difesa antidacica deve essere territoriale e non “solitaria”!) e, in definitiva, il nostro concetto globale dell’olivicoltura.