Una nuova architettura dell’offerta “made in Italy” del vino

A colloquio con Lamberto Frescobaldi, Presidente della Unione Italiana Vini (Uiv): tra nuovi dazi, istanze salutiste e indicazioni geografiche.

di Giulia Bartalozzi
  • 24 September 2025

Nel luglio scorso, Lamberto Frescobaldi, accademico dei Georgofili, è stato confermato all’unanimità presidente di Unione italiana vini per il prossimo triennio.  Fiorentino, rappresenta la trentesima generazione di viticoltori della famiglia; laureato in viticoltura all’Università di Davis, California, guida la Marchesi Frescobaldi, azienda di circa 1.500 ettari vitati suddivisi nelle varie Tenute in Toscana e in Friuli. Ha anche sviluppato la collaborazione con l’Istituto di Pena dell’Isola della Gorgona (Livorno) per la produzione di vini all’interno del carcere.

Qual è lo scenario di mercato attuale per il vino italiano?
Dopo anni di crescita trainata dall’export, il vino italiano mostra segni di rallentamento. Nel 2023 i ricavi sono scesi del 4%, mentre il rimbalzo del 2024 (+3,3% a volume, +5,5% a valore) è stato gonfiato da fattori congiunturali come la corsa alle scorte degli importatori americani prima dei dazi e l’exploit russo. Questa dinamica, che si è protratta anche nei primi mesi del 2025, ha invertito il segno alla prova dell’effettiva entrata in vigore delle tariffe statunitensi, che hanno determinato non solo un significativo calo dei volumi, ma anche un crollo dei prezzi medi nel primo mercato di riferimento (-13,5%). Ma il vero nodo cruciale è il consumo: Italia, USA, Germania e Regno Unito, che valgono complessivamente il 73% delle vendite, registrano cali costanti. A fronte di una domanda interna e globale in contrazione, sollecitata da nuovi profili di consumatori che il comparto vino ha solo iniziato a conoscere e intercettare, non possiamo restare ancorati ai paradigmi del passato. Dobbiamo pensare ad una nuova architettura dell’offerta made in Italy. 

Come organizzare e su che cosa basare una nuova campagna di comunicazione antitetica a quella di demonizzazione?
Credo che la comunicazione debba aderire allo stesso stile che predica per il vino: evitare gli eccessi. Il vino è un prodotto meraviglioso ma l’unico modo per coglierne a pieno le sfumature è consumarlo con moderazione, e questo è quello che, come settore, sosteniamo e comunichiamo con fermezza da sempre. A questo impegno si affianca l’attenzione a livello internazionale per monitorare, intercettare e reagire alle iniziative, come gli health warning, che - oltre a demonizzare il prodotto – rischiano di rappresentare uno svantaggio competitivo e ulteriori ostacoli al commercio dei nostri prodotti. Per quanto riguarda la promozione delle etichette made in Italy, infine, dobbiamo puntare sui tratti distintivi dei nostri prodotti: Il nostro vino deve esprimere fascino, essere simbolo di italianità e, quindi, di qualità della vita.
Vorrei infine sottolineare un aspetto troppo spesso dato per scontato: il vino non è solo un prodotto da consumare. Le nostre vigne generano ricchezza, valorizzano territori altrimenti abbandonati o incolti, preservano paesaggi e portano un contributo sul valore aggiunto pari all’1,1% del Pil nazionale. Forse, prima di cercare di colpire un settore, dovremmo considerare anche questo. 

Per quanto riguarda gli aspetti normativi: Lei sostiene che occorre aggiornare il Testo Unico del Vino del 2016. Come renderlo lungimirante?
Secondo Unione italiana vini serve un sistema più elastico che possa prevedere scelte veloci ed efficaci in coerenza con le variazioni di mercato, e i correttivi da introdurre con più urgenza riguardano in particolare la gestione della domanda e dell’offerta della filiera, come l’autorizzazione ai nuovi impianti o i meccanismi legati agli esuberi di produzione, oggi concessi nell’ordine del 20%, o alle riclassificazioni. A queste - e altre - misure andrà poi sicuramente affiancato un sistema di raccolta e diffusione dei dati di base del settore. Non possiamo sperare di razionalizzare ed efficientare il comparto senza una conoscenza precisa e puntuale dei nostri numeri e dei nostri asset. Voglio sottolineare che l’obiettivo di lungo termine è la competitività di tutto il nostro settore; quindi, questo processo di cambiamento dovrà essere condiviso, concordato e sostenuto con tutta la filiera vino. 

È necessario rivedere l’impianto delle Indicazioni Geografiche nel mondo del vino? In quale direzione?
Le Dop e Igp rappresentano un patrimonio straordinario per il vino italiano, in termini di valore materiale ma anche immateriale. È fondamentale tutelare le aree vocate, ma occorre anche attualizzare e rendere il sistema delle denominazioni più efficiente. Abbiamo il record di Dop e Igp (sono 530), ma le prime 10 Dop rappresentano oltre il 60% del totale imbottigliato, una percentuale che sale all’82% per le Igp, senza contare che un terzo della produzione Dop non viene rivendicato. Per questo riteniamo si debba ridiscutere le rese previste nei disciplinari di produzione - che andrebbero adeguate a quelle reali – e rivedere il sistema delle riclassificazioni verticali e orizzontali delle denominazioni per una gestione più efficiente dell’offerta.

Come muoversi per raggiungere l'internazionalizzazione dei vini italiani?
Credo si debba agire su più livelli contemporaneamente. Il primo sforzo deve essere imprenditoriale, volto a individuare i canali culturali, comunicativi e distributivi più adatti per penetrare e conquistare nuovi mercati. Allo stesso tempo, in particolare per far fronte alle ripercussioni dei dazi statunitensi, dobbiamo intraprendere una campagna promozionale del vino italiano a regia pubblico-privata e basata sull’unicità del bere italiano. Ci vogliono missioni promozionali straordinarie (assieme ad Agenzia Ice) e 4/5 eventi di forte impatto nel 2026, in aggiunta a quelli già finanziati dall’Ocm, negli Stati Uniti e su mercati promettenti come Uk, Canada, Brasile. In terzo luogo, ma parimenti importante, dobbiamo insistere su un’Europa più forte e coesa, capace di rafforzare la propria posizione e accelerare la conclusione di accordi di libero scambio. Il recente via libera della Commissione Europea al trattato con Mercosur e Messico mi sembra un buon primo passo in questa direzione, in attesa della ratifica da parte del Consiglio Ue e del Parlamento europeo e dei successivi tempi di implementazione.
Dobbiamo tuttavia essere consapevoli che esiste un’oggettiva difficoltà di penetrazione sulle piazze meno mature, non a caso il nostro export è orientato per quasi due terzi del suo valore in soli cinque Paesi (USA, Germania, Uk, Canada, Svizzera). Per questo, il primo destinatario delle nostre attenzioni dovrebbe essere il mercato interno, che vale circa la metà della produzione italiana e che sta dando segnali di stanchezza.

Come immagina il settore del vino in Italia fra dieci anni?
Mi piace ricordare che il nostro è un lavoro da maratoneti, dobbiamo fare scelte avvedute e guardare lontano. Quello che vedo come meta, tra dieci anni, è un sistema vino più efficiente. Parlo di imprese di dimensioni in grado di sfruttare economia di scala e resistere gli scossoni del mercato, di aziende ad alto tasso di managerialità, ma anche di un sistema creditizio adeguato. Sul versante della qualità del vino non ho dubbi, il vino italiano continuerà a crescere e fare scuola, magari potenziando i prodotti che oggi sono solo emergenti, ma su cui il nostro savoir faire può avere un impatto determinante.