Uscire dal centesimo

di Dario Casati
  • 14 June 2017
Se non ci saranno sorprese, sempre possibili, dal 1° gennaio 2018 l’Italia rinuncerà all’uso delle monete da 1 e 2 centesimi di euro. Gli eurocent, come un po’ pomposamente qualcuno li chiama, che girano nelle nostre tasche e trovano sempre più ridotte occasioni di impiego, però, non vengono aboliti, come giornali e telegiornali annunciano con grande evidenza. Semplicemente il nostro paese, dando comunicazione alla BCE per eventuali osservazioni, decide di sospenderne il conio per un periodo non definito, dettando le regole valide per una durata altrettanto non determinata. Sembra che la sfida all’euro inizi così, dai centesimi. 
Fra le reazioni negative all’euro, fin da subito, si era manifestato un diffuso fastidio per le monetine e, più in generale, per la maggiore monetazione metallica rispetto alle abitudini italiane. La storia è vecchia e risaputa: amiamo la carta moneta. Sino a poco prima del cambio avevamo una banconota, il biglietto di stato da 500 lire, con un controvalore in euro di circa 26 centesimi. Le storiche e amate mille lire, punto di forza della circolazione cartacea, valevano circa la metà di un euro metallico. Oggi la moneta maggiore, quella da 2 euro, corrisponde a quasi 4.000 lire, 4 banconote da 1.000. 
Vi fu chi disse e chiese, anche autorevolmente, che i pezzi da 1 e 2 centesimi fossero eliminati e venisse autorizzata per la sola Italia la banconota da 1 euro. Ovviamente ciò non era possibile. Al tempo le 5 e le 10 lire erano quasi scomparse, ma il centesimo di euro tanto sottovalutato valeva circa 20 lire la cui moneta circolava, mentre i 2 centesimi arrivano a quasi 40 lire. Ora, la manovrina estiva, accampando il risparmio di spesa e l’impegno virtuoso di destinare il risparmio alle casse esauste dello Stato, sospende i centesimi.
Al di là di ironie e rimpianti, ci sono due considerazioni, una pratica ed una di carattere generale su cui riflettere, prima di usare i centesimi per gettarli nelle fontane. La legge parla di arrotondamento in più o in meno al valore più vicino dei multipli di 5 nelle transazioni “integralmente in contanti” e, al di là dell’involontaria ironia, sembra semplice. Ma gli effetti sono meno chiari. Immaginate di spiegare le nuove regole ad uno straniero che arriva con i suoi centesimi e non riesce a spenderli. Probabilmente i prezzi dei singoli oggetti si allineeranno al valore arrotondato già prima di arrivare alla cassa e sembra superfluo scommettere se in su o in giu. Non solo, ma ciò avverrà ancor prima sui prezzi unitari. Insomma, la scala dell’inflazione.
L’esperienza dei cambiamenti di circolazione monetaria insegna che in ogni caso si risolvono in un danno per il consumatore a seguito dell’inflazione causata dalla volontà di proteggersi in vista delle incerte conseguenze future. La giustificazione che il costo di produzione di queste monete supera il loro valore nominale sembra di buon senso, ma non lo è. Non è compito dello Stato produrre moneta per ricavarne un utile, altrimenti avrebbe convenienza a battere solo banconote di grande taglio per le quali il signoraggio, e cioè l’importo che trattiene per le spese, è molto elevato. Ma queste non sono gradite al consumatore per il rischio di contraffazione e nemmeno allo Stato che fiuta riciclaggi e usi illeciti, tanto da suggerirne addirittura l’eliminazione nonostante l’utile derivante dalla loro produzione
Infine, una considerazione su cui riflettere. La vicenda, proprio a noi Italiani abituati ad una moneta di valore unitario minimo che di fatto era scomparsa dalla circolazione, conferma un fatto: il valore di una moneta non è dato da quello nominale, ma da quello che deriva dai suoi rapporti di cambio e dal suo potere d’acquisto. Non usavamo più da tempo le monete da 1 lira, ma i nostri conti calcolati con la “Lira” erano migliori. Vi fu un tempo in cui questa piccola unità monetaria vinceva addirittura l’oscar della solidità fra le principali valute. L’intervento, a così breve distanza dall’introduzione dell’euro, con un provvedimento limitato all’Italia, non va bene, dà l’impressione della resa ad una grave caduta del potere d’acquisto. Si perde la serietà e la maestosità della moneta che per essere solida e sovrana non può smarrirsi in questi giochetti. Le monete più solide nel tempo non cambiano. I centesimi di franco svizzero e i franchi metallici circolano immutati da oltre un secolo. Il dollaro US non cambia, rimane per antonomasia il “biglietto verde”.
La richiesta della riconquista di sovranità che affiora oggi deve partire da queste considerazioni, non dal giochetto delle monetine che invece ricade sull’Italia e sulla sua immagine.