Selezione e conservazione della biodiversità nelle api passano solo attraverso il controllo degli accoppiamenti

di Giulio Pagnacco
  • 17 November 2021

Una precisa caratteristica dell’allevamento di tutti gli animali domestici è quella del controllo più o meno completo del momento riproduttivo da parte dell’uomo. E infatti, se non fosse così, sarebbe in opera la sola selezione naturale, come avviene per tutte le specie selvatiche, e non la selezione artificiale operata appunto dall’allevatore che sceglie i padri e le madri delle future generazioni secondo criteri di utilità economica. Sebbene in forma non così stringente come in altre specie, tipicamente i bovini, anche le api sottostanno a questa regola. L’apicoltore più esperto esercita la sua azione selettiva soprattutto scegliendo le future regine a partire dalle migliori colonie. In questo modo sceglie le madri delle sue future api, ma lascia alla libera fecondazione naturale la scelta dei padri. Una regina vergine che parte per il suo volo nuziale si accoppia, appunto in volo, con 10 – 18 fuchi che possono provenire anche da molti chilometri di distanza. La mancanza di un controllo riproduttivo sul lato paterno, come è stato discusso in diversi recenti lavori scientifici, costituisce però un grave ostacolo ad un reale progresso genetico in questa specie ed espone anche le varietà locali a fenomeni di “inquinamento genetico” qualora alcuni fuchi provengono da regine non autoctone.
Il controllo della riproduzione nelle api può essere realizzato solo in due modi: utilizzando l’inseminazione strumentale (IS), oppure designando delle aree vincolate in cui i fuchi presenti provengano da precise e selezionate colonie.
L’IS è pratica abbastanza conosciuta e diffusa anche se richiede capacità tecniche, strumenti e nozioni non alla portata di tutti. È necessario poi avere le vergini pronte all’inseminazione contemporaneamente ai fuchi maturi da prelevare dalle colonie prescelte. Richiede la capacità di produrre vergini in un numero che giustifichi l’impegno, a partire da apposite colonie orfane che ne allevino in gran numero. È necessario un piccolo laboratorio in cui le condizioni di lavoro siano agevoli e l’igiene sia rigorosamente mantenuta. Tutto fattibile, ma certamente impegnativo.
Diverso è l’approccio dell’uso di aree di accoppiamento appositamente destinate al controllo riproduttivo. Centrale, a questo proposito, è il ruolo della regina chiamata a produrre fuchi che, con il consueto inglesismo, chiameremo DPQ (Drone-producing Queen). La regina produce fuchi per partenogenesi, quindi senza contributo paterno e i fuchi sono infatti aploidi. Questo significa che ogni fuco si sviluppa come insetto perfetto da un uovo non fecondato deposto dalla madre. Un fuco maturo produrrà poi spermatozoi fotocopiando il suo genoma e quindi senza quella divisione meiotica che invece caratterizza la produzione di gameti in tutti gli altri animali domestici diploidi. Una DPQ quindi produce fuchi tutti diversi uno dall’altro, ma ciascuno di questi produce spermatozoi tutti identici tra loro. Di conseguenza possiamo considerare i fuchi, dal punto di vista genetico, come confezioni di spermatozoi identici aviotrasportati. E la regina che li produce, la DPQ, la possiamo vedere come maschio che produce questi strani pacchetti di spermatozoi volanti. In questo mondo imenottero le regine possono quindi essere maschi e femmine contemporaneamente e saranno queste regine, nella loro funzione di DPQ, cioè di maschi, che dovremo collocare in quelle Aree di Accoppiamento (ADA) destinate alla riproduzione in questa specie.
Ma quali dovrebbero essere le caratteristiche genetiche di questi maschi? La risposta è semplice: per la selezione dovremo scegliere colonie con eccellenti qualità per i caratteri che vogliamo selezionare, ad esempio produzione di miele e resistenza alla Varroa. Ma possiamo anche sceglierle con le caratteristiche razziali che ci interessano per mantenere in purezza una certa varietà e metterla in sicurezza rispetto a quei fenomeni di inquinamento genetico di cui si è detto. E nulla vieta che si operi contemporaneamente sia per la selezione che per garantire una doverosa conservazione della biodiversità varietale di Apis mellifera.
La realizzazione di aree di accoppiamento richiede però che nel territorio individuato a questo scopo non vi siano altre colonie che producano fuchi senza le caratteristiche richieste. Le aree più ricche di pascolo sono naturalmente poco adatte allo scopo perché attirano apicoltori stanziali e nomadi che invece devono essere tenuti alla larga. Meglio scegliere distretti privi di interesse floristico, ma fondamentale è che le amministrazioni comunali su cui queste aree insistono capiscano il significato del progetto, lo facciano proprio ed emettano apposite ordinanze che escludano altri apicoltori da quel territorio. In Italia abbiamo già alcuni esempi virtuosi di questo tipo di iniziativa, ma nel mondo dell’ex Impero Austro-Ungarico, dove si alleva e si seleziona con successo la Carnica, una varietà di A. mellifera, si tratta di una prassi consolidata, iniziata addirittura nell’Ottocento quando ancora si pensava che la regina fosse il re. E forse, a ben vedere, non era del tutto sbagliato.