Il salmone: ecco come arriva sulle nostre tavole

  • 07 April 2021

C'è una grande sfida, sempre più attuale, che riguarda il futuro del pianeta e degli ecosistemi ittici. Una sfida che spaventa gli animalisti di tutto il mondo, oggi più che mai sul piede di guerra, e stimola i ricercatori. Il protagonista è il salmone, prelibato pesce d'acqua dolce e marina tipico dei mari temperati e freddi del nord Atlantico. Continua a finire sulle nostre tavole, assecondando il desiderio di miliardi di persone che non intendono rinunciarvi. Ma a che costo? E fino a quando? Per soddisfare il fabbisogno della popolazione mondiale l'acquacoltura - il settore di produzioni animali che ha la più rapida crescita a livello globale - ha triplicato la sua produzione nell'ultimo ventennio, arrivando a 82 milioni di tonnellate nel 2018. La previsione è che nel 2030 il 62% del pesce destinato al consumo umano sarà di allevamento. Ecco perché ridurre il suo impatto sul pianeta è prioritario.
"Senza le produzioni dell'acquacoltura - spiegano Giuliana Parisi, docente di acquacoltura all'Università degli Studi di Firenze, e Angela Trocino, docente di Seafood Sustainability e Production and Control all'Università degli Studi di Padova - non avremmo disponibilità adeguata di pesce per soddisfare la crescente richiesta di prodotti ad alto valore nutrizionale legata all'aumento della popolazione e all'incremento dei consumi pro-capite a livello mondiale. Non saremmo in grado di soddisfare le richieste di proteine di elevato valore biologico e di composti biofunzionali, quali acidi grassi a lunga catena della serie omega tre, presenti in quantità apprezzabili solo nei prodotti ittici. E ancora: la pressione di pesca per l'acquisizione delle risorse ittiche sarebbe maggiore a svantaggio dello stato delle risorse ittiche naturali e della biodiversità".
In una recente inchiesta, il New York Times ha peraltro evidenziato i progressi dell'acquacoltura, riprendendo uno studio pubblicato da Nature, sintesi delle ricerche condotte nell'ultimo ventennio. Tra gli esiti, la considerazione che alcuni pesci d'allevamento - salmone e trota in primis - siano diventati prevalentemente vegetariani. Tra il 2000 e il 2017 a fronte della triplicazione della produzione di stock ittici di allevamento, la cattura di pesce selvatico utilizzato per produrre mangimi - attraverso farina di pesce e olio di pesce - è infatti diminuita. Con effetti positivi per la sostenibilità dell'acquacoltura. "Nel 2017 l'utilizzo di mangime in acquacoltura si è attestato sui 51,23 milioni di tonnellate, nel 2025 si prevede arrivi ai 73,15 milioni", spiega Roberto Cerri, biologo marino e dottorando dell'Università degli Studi di Udine, esperto in acquacoltura e nutrizione dei pesci. "Ma da una decina di anni si osserva una riduzione della percentuale di farina e di olio di pesce nelle diete destinate ai pesci carnivori, sostituite in gran parte da fonti vegetali, cereali e semi oleosi".
La dieta del salmone d'allevamento, insomma, sta cambiando. Una evoluzione che mira alla sostenibilità, scongiurando un impoverimento degli stock ittici, ma è anche motivata da un risparmio economico. "Prima di ogni trionfalismo, è però necessario attendere", ammonisce Federico Calì, biologo marino del CNR-IRBIM di Ancona. "In natura le conseguenze legate a ogni singolo cambiamento vanno studiate solo a posteriori.  Quel che è certo è che la sostenibilità del sistema ittico passa anche per una decrescita significativa dei consumi globali di pesce o da una migliore efficienza di sfruttamento delle popolazioni ittiche, che privilegi per esempio specie 'povere' o meno apprezzate rispetto ai più richiesti tonno, salmone e merluzzo".
Per comprendere il significato della riduzione di farine e olio nelle diete di pesci carnivori è utile considerare quello che i ricercatori chiamano indice FIFO (fish-in/fish-out). "Potremmo definirlo come il quantitativo necessario, in chilogrammi, di pesce selvatico per produrre 1 kg di pesce", aggiunge Cerri. "Per quanto riguarda il salmone, il dato è calato dal 3,16 del 1997 and 1,87 del 2017. Oggi la comunità scientifica e le aziende mangimiste stanno valutando molti ingredienti sostenibili, in particolare derivanti dai più bassi livelli trofici, come le microalghe, e da proteine animali trasformate, tra cui le farine di insetto e gli scarti di macellazione avicola, la cui inclusione nelle diete è fortemente limitata dal prezzo, ancora troppo elevato". Ma è davvero così virtuosa l'industria legata all'acquacoltura?
Non sembrano del tutto persuase le associazioni animaliste. L'ultima inchiesta sull'industria scozzese del salmone - diffusa in questi giorni da Compassion in World Farming, la maggiore organizzazione internazionale per il benessere degli animali da allevamento - rivela sofferenze diffuse su scala industriale, violazioni della legislazione sul benessere degli animali e tassi di mortalità importanti. In Scozia, terzo produttore mondiale di salmone atlantico d'allevamento, il 96% della produzione di salmone è gestita da cinque aziende. Gli studi dell'organizzazione, realizzati tra settembre e novembre 2020 su 22 allevamenti, hanno evidenziato "gravi infestazioni di pidocchi di mare e alti livelli di mortalità".
"Abbiamo trovato pesci stipati in spoglie gabbie sottomarine, dove questi migratori naturali non hanno altro da fare che nuotare senza meta in condizioni anguste fino all'età di 2 anni", denuncia Sophie Peutrill, responsabile della campagna globale di Compassion in World Farming per il benessere dei pesci. "Le immagini mostrano la presenza di salmoni con deformità e malattie, occhi mancanti e grandi pezzi di carne e pelle mangiati parassiti". Di qui la richiesta di una moratoria sull'espansione dell'industria del salmone scozzese perché "confinare le specie carnivore in gabbie subacquee e impoverire i nostri oceani di pesce selvatico per nutrirle è pura follia".
Annamaria Pisapia dirige la sezione italiana Compassion in World Farming. "Non siamo contro l'acquacoltura", dice "Crediamo che, per essere sostenibili, la pesca e l'acquacoltura debbano fornire cibo nutriente e occupazione alle persone in modo socialmente responsabile ed economicamente sostenibile. Poiché il benessere degli animali e l'ambiente sono componenti importanti, la pesca e l'acquacoltura sostenibili dovrebbero anche fornire una buona vita agli animali coinvolti".
Ma l'acquacoltura non va demonizzata. "Già nel 2013 in Unione Europea sono state adottate le 'Linee guida strategiche per uno sviluppo sostenibile dell'acquacoltura europea, in corso di aggiornamento coerentemente con la Farm to Fork Strategy. - spiegano Parisi e Trocino - Il prodotto di allevamento ha il vantaggio di essere sempre tracciabile, contribuisce a ridurre la pressione di pesca e le diete sono sempre più indirizzate su prodotti vegetali e sottoprodotti avicoli e dell'industria della pesca, anche in un'ottica di economia circolare. Prospettiva interessante è l'uso di fonti alternative, quali gli insetti, autorizzati dall'UE, che rappresentano un alimento naturale delle specie ittiche. E ancora: le fasi pre-macellazione e macellazione in allevamento sono gestite per ridurre la sofferenza degli animali anche perché esiste una correlazione con la qualità del prodotto e, nello specifico, con l'evoluzione della freschezza. Lo stress sofferto dagli animali durante l'allevamento e al momento della macellazione determina una più rapida evoluzione dei processi biochimici post-mortem e un più rapido deterioramento del prodotto".
"Una delle soluzioni auspicabili - spiega Roberto Cerri  - è l'allevamento di più specie nello stesso sito, scelta che si basa sulla naturale catena trofica marina. Si produrrebbe di più e in modo più sostenibile: i rifiuti di una specie diventerebbero il mangime per un'altra". Quanto all'utilizzo eccessivo di antibiotici e antiparassitari, si lavora all'integrazione nella dieta di nutraceutici, estratti vegetali, prebiotici e probiotici, in grado di favorire un aumento della risposta immunitaria dei pesci. "Una soluzione alternativa è certamente la vaccinazione, che nei salmoni allevati in Norvegia, Regno Unito, Irlanda e Canada, ha ridotto del 95% l'utilizzo di antibiotici". Ci sono anche metodi di controllo biologico, come l'aggiunta del pesce pulitore (Cyclopteruslumpus): inserito nelle gabbie dove vengono allevati salmoni - si nutre di questi parassiti e ne limita la diffusione, riducendo così l'utilizzo di agenti chimici anti-pidocchi.

Da: Repubblica.it, 2/4/2021