Italiana under 30 insegna a produrre cibo usando scarti delle industrie

  • 01 April 2020

Da Rufina, alle porte di Firenze, a un posto tra i 100 giovani imprenditori europei sotto i 30 anni più influenti secondo la rivista Forbes. Quella della 29enne Chiara Cecchini non è una favola, ma una storia di dedizione, studi e lavoro all’estero, impegno coronato da un importante riconoscimento. Chiara è stata inserita nella categoria degli imprenditori del sociale insieme a Greta Thunberg, alla quale Time ha assegnato la prestigiosa copertina di «Persona dell’anno» del 2019.
Cecchini ha lasciato l’Italia per gli Stati Uniti quattro anni fa e attualmente lavora nella sede di San Francisco di un’organizzazione divisa in due settori (Future Food Network per la parte profit e Future Food Institute per quella non-profit) che si occupa del futuro del nostri cibi e della nostra alimentazione. «Mi interesso della riduzione, del recupero e del riciclo degli scarti dell’industria agroalimentare — spiega —, di come da materiali da smaltire al termine dei processi di trasformazione industriale si possono ricavare elementi che possono essere rimessi in circolo in forme nuove».
Economia circolare, quindi. Cecchini dirige la sede americana del Future Food Network di cui è co-fondatrice (le altre due sono a Bologna e Tokyo), e coordina la squadra di ricerca che lavora con le aziende agroalimentari nella creazione di nuovi prodotti e servizi. «La nostra bussola sono i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu», spiega Cecchini. Tra questi al punto 1 c’è l’impegno a combattere la povertà nel mondo, al secondo porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile. Ma ce ne sono anche altri che si attagliano alla perfezione agli scopi di Future Food Network, come il 12esimo: garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo.
«Un esempio concreto del nostro lavoro è legato a uno dei più grandi birrifici del mondo, che ha sede qui negli Usa. Il loro problema era lo smaltimento di migliaia di tonnellate all’anno di malto di orzo che rimangono al termine della produzione della birra —illustra l’imprenditrice italiana —. È un materiale che contiene ancora molte sostanze nutritive. Abbiamo perciò messo a punto un processo in grado di ricavare da questi scarti due tipi di farine di orzo, ricche in fibre e proteine. A Bologna il nostro team gastronomico si è ingegnato a trovare ricette nelle quali queste farine potevano essere utilizzate. Dopo tanti esperimenti, hanno visto che potevano essere impiegate nella produzione di pasta, pane e dolci. Ora questa azienda ricava la farina da quelli che un tempo erano scarti, e la vende ai pastifici e alle industrie dolciarie», Ma i consumatori poi comprano questi prodotti? «Questo è il nostro secondo campo d’azione: convincere le persone a cambiare le proprie abitudini alimentari. Non è facile, ma si può fare. Almeno ci tentiamo».

da Corriere.it, 20/3/2020