L’assemblea di Fruitimprese del 10 aprile scorso ha segnato una svolta. Non solo per la partecipazione istituzionale (a partire dal ministro Lollobrigida) e la vicinanza al settore espressa dal mondo della politica ma per il messaggio – chiaro e forte - che ne è uscito: il tempo è scaduto, non c’è più tempo, dicono le imprese, stiamo perdendo produzione, superfici, investimenti. Quindi consumi, quindi occupazione, quindi export. Quindi leadership.
Dimentichiamo il record dell’export 2024, oltre 6 miliardi di euro – che comunque conferma la straordinaria vitalità di un settore che pur in tempi difficili dimostra di sapere navigare controvento – e guardiamo avanti: “Il futuro del nostro settore è molto incerto – ha scandito il presidente Marco Salvi - quello che sta succedendo nel comparto pere, un tempo nostro fiore all’occhiello, potrebbe accadere anche per altri prodotti, è tempo di mettere mano con serietà e responsabilità al dossier agrofarmaci”.
Il tema fitosanitario è la priorità del momento. Lo dimostra il potenziamento e l’istituzionalizzazione del Tavolo fitosanitario con CSO Italy, Fruitimprese, Assomela e Fedagri Confcooperative e il gruppo di lavoro dentro Fruitimprese con 30 tecnici agronomi in tutta Italia per mandare indicazioni ai due ministeri dell’Agricoltura e della Salute circa le molecole che oggi sono indispensabili per le nostre produzioni e di cui non si può fare a meno, salvo che non siano disponibili alternative valide. Questo per evitare che Bruxelles da un giorno all’altro metta al bando (o riduca drasticamente) molecole che fino a ieri si potevano usare. Scompaginando piani produttivi e investimenti. Il tema è stato sottolineato con grande enfasi anche da Davide Vernocchi a nome del mondo cooperativo: “Dobbiamo essere messi nelle condizioni di produrre, altrimenti il declino della nostra frutticoltura sarà irreversibile. Abbiamo perso in cinque anni il 70% della produzione di pere, che erano il quarto prodotto più esportato della frutticoltura nazionale. Cosa deve succedere ancora? E’ finito il tempo dei buoni propositi”.
Poi i costi produttivi, dove l’Europa procede a macchia di leopardo. Chi può usare una certa sostanza e chi no, chi paga la manodopera 100 e chi 50…la UE delle regole in agricoltura è come la UE del fisco: piena di buchi, di privilegi ad personam, di rendite di posizione. Qui serve la politica. Anche se, pur con tutta la buona volontà di Lollobrigida, togliere a paesi come la Spagna o la Grecia i loro piccoli privilegi (quindi danneggiando le loro imprese) sembra una gara durissima, e forse persa in partenza.
Dal sistema ortofrutta Italia (privati, cooperative, unioni OP, mondo del commercio e dei Mercati) viene un deciso e categorico “basta” ad una Europa dove le regole del gioco cambiano senza dare il tempo alle imprese di adeguarsi…e servono soprattutto regole uguali per tutti e anche reciproche per i prodotti di importazione. E’ ora di voltare pagina. Bruxelles l’ha capito? Vedremo. Poi i mercati esteri. Il tema “fito” si intreccia con quello dei mercati da aprire. La Spagna in Europa e il Cile (e anche il Brasile) in Sudamerica sono sempre all’attacco, grazie ad una “diplomazia dell’ortofrutta” che tesse continuamente rapporti e relazioni ai massimi livelli per aprire alle loro produzioni di qualità i mercati più promettenti. Senza contare che la saracinesca dei dazi chiusa dall’America di Trump sta cambiando le regole del gioco sia verso paesi fornitori degli USA come Messico, Costarica e Cile, sia verso mercati che importavano dagli USA e che adesso (per ritorsione) cercano nuovi fornitori. Il commercio globale dell’ortofrutta era già abbastanza accidentato prima di Trump, adesso rischia di diventare un percorso di guerra.
Sul fronte dell’apertura di nuovi mercati l’Italia è sempre stata molto pigra, per mancanza di un vero, deciso appoggio istituzionale al lavoro delle imprese. In un mercato globale dove regnano disordine e imprevedibilità, tutti cercano nuove occasioni e la competizione crescerà. Nell’archivio online del “CorriereOrtofrutticolo.it” ho trovato una news del settembre 2014 (!!) dove Agrinsieme (allora esisteva) chiedeva un tavolo per rilanciare l’export di ortofrutta dopo l’embargo russo. Quanti passi avanti importanti sono stati fatti in questi dieci anni? Mi risultano attivi due tavoli in Italia: uno presso il Masaf e l’altro presso il ministero degli Esteri. In entrambi si parla di produzioni agricole e agroalimentari nel loro complesso, non solo di ortofrutta nello specifico (che pure con il fresco è il secondo prodotto più esportato dopo il vino). Le volte in cui questi due tavoli si riuniscono annualmente si contano sulle dita di una mano. E’ detto tutto. Evitiamo per carità di patria il raffronto -per noi umiliante – con l’attivismo di analoghi tavoli in Spagna. Bisogna solo sperare che il Tavolo fitosanitario presso CSO Italy, che per la verità è l’unico organismo veramente attivo anche sul fronte dei nuovi mercati, dia un impulso straordinario ai vari dossier aperti anche sul fronte dei mercati esteri, perché di export la nostra ortofrutta ha disperatamente bisogno.
*direttore Corriere Ortofrutticolo e CorriereOrtofrutticolo.it