Il bergamotto (Citrus bergamia Risso & Poiteau) rappresenta una delle espressioni più peculiari e identitarie della frutticoltura mediterranea. Con il 95% delle superfici coltivate concentrate lungo la fascia costiera ionica della Calabria, il bergamotto rappresenta infatti un raro esempio di monopolio colturale. La coltivazione in altri aerali italiani o in altri paesi non ha garantito produzioni sufficienti dal punto di vista quantitativo e qualitativo, ad oggi altri paesi produttori sono la Costa d’Avorio, la Guinea ed il Brasile. L’olio essenziale, ricavato dalla scorza del frutto, è da secoli un prodotto di pregio impiegato nella profumeria, nella cosmetica e, più recentemente, anche nei settori alimentare e nutraceutico. Negli ultimi anni si assiste inoltre alla parallela commercializzazione del frutto fresco alla luce del suo elevato valore nutraceutico. Tuttavia, la ristrettezza dell’areale di coltivazione, l’elevata specializzazione produttiva e la vulnerabilità a fattori biotici e abiotici pongono interrogativi cruciali sulla sostenibilità e la competitività futura della filiera. In questo contesto, le moderne tecnologie genomiche offrono strumenti di conoscenza e di innovazione che possono incidere profondamente sulle strategie di miglioramento genetico del bergamotto.
La genomica, intesa come studio sistematico della struttura, funzione ed evoluzione del patrimonio genetico, ha rivoluzionato la ricerca agraria negli ultimi vent’anni. La decodifica dei genomi di numerose specie di agrumi ha consentito di individuare geni e regioni cromosomiche associati a caratteri agronomici di interesse, aprendo la strada alla selezione assistita da marcatori molecolari.
Nel caso del bergamotto, le conoscenze genetiche disponibili sono limitate rispetto agli agrumi di più larga coltivazione, ma in rapida evoluzione. L’origine di questa specie è tuttora oggetto di discussione: si ritiene che derivi da un ibrido tra arancio amaro (C. x aurantium L.) e cedro (C. medica L.), o tra altre specie affini, configurandosi quindi come un genoma complesso e, al pari delle altre specie di agrumi, altamente eterozigote. Studi basati su marcatori molecolari, come RAPD e SSR, hanno evidenziato una variabilità genetica relativamente ridotta tra le principali cultivar calabresi, dovuta anche alla prevalenza della propagazione per innesto, che limita la diversità allelica disponibile per la selezione. A differenza di molti altri agrumi, inoltre, il bergamotto non presenta marcata poliembrionia, una caratteristica che può facilitare la generazione di nuove linee sessuali e la creazione di popolazioni segreganti utili per gli studi di associazione fenotipo-genotipo.
Le risorse genomiche sviluppate per altre specie di agrumi rappresentano oggi un punto di riferimento prezioso per il bergamotto attraverso cui individuare, per comparazione, geni omologhi coinvolti nella biosintesi dei composti aromatici, nella resistenza ai patogeni e nella tolleranza agli stress ambientali. Tali conoscenze, integrate con analisi di trascrittomica e metabolomica, permettono di esplorare i meccanismi molecolari alla base della qualità dell’olio essenziale di bergamotto, la cui composizione chimica è fortemente influenzata dall’attività di geni regolatori della sintesi dei monoterpeni e delle furanocumarine.
Un obiettivo centrale della genomica applicata nel bergamotto potrebbe tradursi nell’identificazione di geni o regioni del genoma correlati alla resa e alla qualità dell’olio essenziale, alla resistenza stress biotici, o ancora alla capacità di adattamento a condizioni climatiche più calde e aride. L’applicazione di tecniche di genotipizzazione ad alta densità consentirebbe di individuare polimorfismi di singolo nucleotide (SNP) informativi e di costruire mappe genetiche dettagliate, prerequisito indispensabile per l’implementazione della selezione assistita da marcatori.
Un aspetto di particolare rilevanza riguarda il contenuto di furanocumarine, composti naturali responsabili in parte del caratteristico aroma del bergamotto ma anche di potenziali effetti fototossici. L’identificazione dei geni coinvolti nella loro biosintesi e regolazione potrebbe consentire di selezionare genotipi con profili metabolici più sicuri e con minor rischio di interazioni indesiderate nei prodotti alimentari e cosmetici. Allo stesso modo, la comprensione dei meccanismi genetici che controllano la formazione dei principali terpenoidi aromatici, come il linalolo e l’acetato di linalile, aprirebbe la possibilità di modulare il bouquet aromatico in funzione delle esigenze industriali.
La sfida più complessa per il bergamotto resta tuttavia quella della scarsità di risorse genetiche e materiali di miglioramento. La costituzione di collezioni di germoplasma rappresentative della variabilità esistente, comprendenti le cultivar “Femminello”, “Castagnaro” e “Fantastico”, è il primo passo necessario per sviluppare programmi di breeding efficaci. A questo dovrebbero affiancarsi progetti di sequenziamento di nuova generazione, in grado di fornire un genoma di riferimento di alta qualità e di individuare le principali regioni genomiche coinvolte nei caratteri di interesse.
In prospettiva, la genomica offre al bergamotto la possibilità di affrontare le principali criticità che ne limitano la diffusione e la competitività, rafforzando al contempo il legame con il territorio e la qualità distintiva del prodotto. Attraverso l’identificazione di geni chiave e l’impiego di strumenti predittivi, sarà possibile migliorare la produttività, la resistenza ai patogeni e la stabilità qualitativa dell’olio essenziale, elementi essenziali per consolidare la coltivazione della specie migliorandone le caratteristiche fenotipiche distintive.