Il consumo di suolo non si arresta: nel 2021 il valore più alto degli ultimi 10 anni

di Marcello Pagliai
  • 14 September 2022

Lo scorso anno nel commentare il consueto rapporto annuale dell’ISPRA sul consumo di suolo, affermammo che non c’era niente da fare: tale consumo non si arrestava a dispetto della tanto invocata inversione di tendenza. Infatti, l’ultimo rapporto ISPRA del 2022 rivela non solo che nel 2021 non si è arrestato ma, anzi, è addirittura il più alto degli ultimi 10 anni! Infatti, detto consumo ha viaggiato ad una media di 19 ettari al giorno e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo, aggirandosi intorno ai 70 chilometri quadrati.
Il cemento ricopre ormai 21.500 chilometri quadrati, di cui 5.400 riguardano gli edifici che da soli rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato.
Alcuni dati riportati nel suddetto rapporto dell’ISPRA evidenziano che tra il 2006 e il 2021 l’Italia ha perso 1.153 chilometri quadrati di suolo naturale o semi naturale, con una media di 77 chilometri quadrati all’anno. Le trasformazioni urbane hanno reso il suolo impermeabile, causando allagamenti, accentuati anche dalla crisi climatica in atto, ondate di calore, perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici, con un danno economico stimato in quasi 8 miliardi di euro l’anno. Il consumo di suolo pro capite è aumentato, passando da 349 metri quadrati per abitante del 2012 ai 363 di oggi.
Il consumo di suolo è dovuto in buona parte all’aumento costante degli edifici: oltre 1.120 ettari in più in un anno distribuito tra aree urbane (32%), arre suburbane e produttive (40%) e aree rurali (28%). La soluzione sarebbe la riqualificazione degli oltre 310 chilometri quadrati di edifici non utilizzati e degradati presenti in Italia.
Tra le cause del consumo di suolo c’è anche la costruzione di nuovi poli logistici che il rapporto ha rilevato anche in aree a pericolosità idrologica elevata.
Il suolo viene infine consumato per il fotovoltaico a terra. Nel 2021 le nuove istallazioni sono state pari a 70 ettari, ma per il futuro si stima un aumento di oltre 50.000 ettari, cioè 8 volte il consumo di suolo annuale.
Il rapporto riporta anche una cartografia delle Regioni, Province e Comuni e da un attento esame possiamo senz’altro affermare non ci sono davvero esempi virtuosi.
È superfluo ricordare, perché ampiamente noto, che l’urbanizzazione sottrae all’agricoltura i suoli migliori per capacità produttiva, fertilità, giacitura, ecc. A causa di ciò, in un solo anno, oltre 100.000 persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti di qualità italiani.
Visto che siamo nel bel mezzo di una crisi climatica per cui i cosiddetti eventi estremi non sono più eccezionali ma si ripeteranno con costante frequenza è quanto mai improcrastinabile mettere in atto azioni di messa in sicurezza del territorio nonché opere sia di regimazione delle acque superficiali per arginare le alluvioni, sia di stoccaggio dell’acqua piovana in previsione di periodi di siccità sempre più lunghi. Siamo già in ritardo, ma se non si comincia mai la situazione sarà sempre più grave.  
Da anni, ormai, giace in Parlamento una proposta di Legge quadro per la protezione e la gestione sostenibile del suolo, che dovrebbe regolamentare proprio il consumo del suolo stesso, di cui ogni tanto se ne parla ma poi sopraggiungono sempre altre priorità e questa proposta di legge si accantona di nuovo. Il dramma è che l’attuale atteggiamento dell’opinione pubblica nel suo insieme (decisori politico-amministrativi inclusi) su queste problematiche sembra essere di una totale, o quasi, non curanza. Chissà che non dipenda proprio da questo il progressivo degrado delle risorse ambientali e in primo luogo del suolo e che quella inversione di tendenza, invocata ogni anno alla presentazione del suddetto rapporto, non interessi a nessuno, o quasi, lasciando via libera a quegli interessi che si giovano della progressiva urbanizzazione, basandosi sul principio, tutt’altro che lungimirante in termini di sviluppo sostenibile, secondo il quale un ettaro di terreno rende di più se ci viene costruito qualcosa, che se viene coltivato.