Negli ultimi anni, il crescente interesse per la birra artigianale ha alimentato in Italia un rinnovato fermento attorno alla coltivazione del luppolo (Humulus lupulus L.), pianta storicamente diffusa in forma spontanea lungo tutto il territorio nazionale ma mai valorizzata, fino a tempi recenti, come coltura specializzata.
Biodiversità
Il luppolo, appartenente alla famiglia delle Cannabaceae, è una specie dioica perenne, coltivata per le infiorescenze femminili (coni o strobili), ricche di ghiandole di lupulina contenenti sostanze amare (α e β acidi), oli essenziali e composti fenolici responsabili di aroma, amaro e stabilità della birra. Cresce spontaneamente in gran parte della penisola, dalle zone planiziali fino alle aree subalpine e appenniniche, prediligendo ambienti umidi. Studi specifici hanno mappato popolazioni in Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana e Valle d’Aosta. In alcune aree, come nel Modenese e nel Reggiano, esistono testimonianze di coltivazioni risalenti all’Ottocento.
Il patrimonio genetico del luppolo italiano rappresenta una risorsa di rilievo a livello europeo. Studi condotti su un ampio numero di ecotipi spontanei raccolti in diverse regioni del Nord e Centro Italia hanno evidenziato un’elevata variabilità genetica, strutturata in popolazioni geograficamente distinte. Analisi con marcatori SSR hanno permesso di individuare numerosi genotipi unici, non sovrapponibili a cultivar europee o americane, e la presenza di alleli rari che caratterizzano esclusivamente il germoplasma italiano. La struttura genetica osservata mostra popolazioni strettamente legate ad aree specifiche (ad esempio lungo i bacini fluviali padani o nelle valli appenniniche), segno di un adattamento a condizioni ecologiche locali e di una limitata pressione antropica. Questo isolamento relativo ha favorito il mantenimento di caratteri originali, sia agronomici sia chimico-aromatici.
Dal punto di vista fitochimico, il luppolo selvatico italiano presenta un’ampia gamma di profili aromatici, spesso più complessi di quelli delle cultivar internazionali: oli essenziali ricchi in sesquiterpeni come le selinene, rapporti α-humulene/β-cariofillene variabili e contenuti di acidi amari in alcuni casi superiori alla media dei corrispondenti europei. Questa diversità interna offre opportunità di selezione per differenti destinazioni d’uso, dal dry hopping alla produzione di varietà dual purpose.
In sintesi, la biodiversità del luppolo in Italia non è solo un’eredità storica, ma un patrimonio attuale, in grado di fornire materiali di base per programmi di miglioramento genetico orientati alla tipicità e alla valorizzazione del legame con il territorio.
Diffusione della coltivazione di luppolo in Italia
Negli ultimi anni, la coltivazione specializzata del luppolo ha conosciuto un’espansione notevole. Secondo i dati CREA, nel 2020 erano attive in Italia 109 aziende agricole dedicate, per una superficie complessiva di circa 52 ettari. Il trend di crescita è stato rapido: nel 2022 il numero di aziende è quasi raddoppiato. La distribuzione territoriale vede una netta prevalenza del Nord Italia, con il Veneto in testa, seguito da Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte. Le superfici più estese si trovano in Emilia-Romagna, con quasi 22 ha, e in Veneto, con circa 19 ha, seguite dalla Toscana (10,8 ha) e dal Lazio (6,1 ha).
Accanto alla crescita quantitativa si segnalano iniziative emblematiche di filiera: la Italian Hops Company, fondata nel 2014 a Modena, ha aperto la strada alla produzione e commercializzazione di luppolo nazionale, con un forte orientamento alla sostenibilità. Sempre nel modenese è la prima azienda professionale (Società Agricola Lucchi) che coltiva luppolo su una superficie di 5 ha con tecnologie di agricoltura 4.0, sia nella parte strettamente agricola che nella gestione della prima essiccazione dei coni.
Potenzialità agronomiche e qualitative, e il terroir
Le prove agronomiche condotte su ecotipi italiani e cultivar internazionali acclimatate in Italia hanno mostrato che, in condizioni locali, le accessioni selvatiche raggiungono rese in biomassa di cono superiori alle cultivar commerciali, pur avendo talvolta un contenuto di olio essenziale inferiore.
Alcuni ecotipi si distinguono per un’elevata produttività potenziale di olio per ettaro, grazie alla combinazione di buona resa e contenuto aromatico. L’interesse per queste risorse genetiche risiede anche nella possibilità di selezionare materiali adatti a tecniche come il dry hopping, dove l’apporto aromatico è cruciale.
Come per la vite, anche per il luppolo il concetto di terroir assume rilievo. Differenze pedoclimatiche e microclimatiche, anche a distanze relativamente ridotte, influenzano significativamente il profilo chimico dei coni. Studi condotti su cv. Cascade coltivato in diverse regioni italiane, e confrontato con produzioni da Stati Uniti, Germania e Slovenia, hanno evidenziato variazioni nella composizione di acidi amari e oli essenziali non spiegabili unicamente da temperatura, pioggia o latitudine. In Italia, per esempio, genotipi che in Trentino si caratterizzano per un’alta presenza di limonene, in altre aree evidenziano note legnose, floreali o agrumate.
Ricerche analoghe in contesti insulari, come la Corsica, confermano come l’adattamento al nuovo ambiente modifichi nel tempo la morfologia e il profilo aromatico delle cultivar introdotte. Questa plasticità rende il luppolo un indicatore sensibile dell’interazione pianta-ambiente e suggerisce la possibilità di definire identità territoriali anche per questa coltura.
Prospettive di filiera
La valorizzazione del patrimonio genetico autoctono e la sua integrazione con cultivar selezionate può favorire la nascita di produzioni tipiche, legate a un’area di origine e riconoscibili sul mercato, sia nazionale che internazionale. Ciò richiede una sinergia fra ricerca, vivaisti, agricoltori e birrai, per selezionare genotipi performanti, definire protocolli agronomici sostenibili e stabilire standard qualitativi condivisi.
L’Italia, grazie alla sua varietà di ambienti e alla ricchezza di ecotipi selvatici (reperibili in tutte le regioni), è in una posizione unica per sviluppare una filiera del luppolo che unisca biodiversità, tipicità e innovazione, contribuendo a rafforzare l’identità delle birre artigianali nazionali.