Ogni estate, puntuale come il caldo, tornano i titoli di giornale sull’ennesimo “ramo caduto all’improvviso”, spesso accompagnati da immagini di parchi transennati, rami a terra e cittadini preoccupati. A volte, purtroppo, si contano anche feriti o danni materiali. Le domande si moltiplicano: “Chi doveva controllare?”, “L’albero era malato?”, “Si poteva evitare?”. Ma esiste un fenomeno ben documentato, per quanto ancora poco compreso dalla arboricoltura, che sfugge a ogni tentativo di prevenzione: il “Sudden Branch Drop (SBD)”, ovvero la caduta improvvisa di branche di grandi dimensioni da alberi apparentemente sani, spesso in giornate calde e senza vento.
Il Sudden Branch Drop non è un mito urbano né una scusa dei tecnici. È una dinamica reale, osservata da decenni in tutto il mondo, anche se ancora oggi poco studiata in modo sistematico. Si manifesta in genere durante i mesi estivi, in condizioni di calma atmosferica, spesso in assenza di segni premonitori. Gli alberi coinvolti sono generalmente adulti o maturi, di grandi dimensioni, appartenenti a specie diverse e spesso le branche cadute non mostrano segni evidenti di difetti meccanici o patologie.
Le ipotesi avanzate sono molte: accumulo di tensioni interne nel legno, variazioni rapide di temperatura e umidità, formazione di sacche di gas, modifiche nella pressione idraulica interna. Ma nessuna di queste è stata finora confermata in modo definitivo. Mancano studi su larga scala, dati sistematici, e soprattutto mancano modelli predittivi affidabili. Senza dati e senza ricerca, ogni intervento è empirico e post-fatto.
Dopo ogni evento, parte la richiesta rituale: “Controllare tutti gli alberi!”. Ma controllare cosa, esattamente? La domanda è tanto comprensibile quanto ingenua. In una città di medie dimensioni, il patrimonio arboreo può contare decine o centinaia di migliaia di alberi, ciascuno con decine di branche. L’idea che si possa “verificare” una per una ogni branca di ogni albero è logisticamente e economicamente impossibile, a meno di immaginare una città-parco sotto costante monitoraggio tecnico, cosa che non esiste in nessuna parte del mondo.
Inoltre, i controlli visivi o anche strumentali, per quanto accurati, non sono in grado di rilevare segnali premonitori del Sudden Branch Drop, proprio perché questi segnali – per quanto ne sappiamo – non esistono, o non sono riconoscibili allo stato attuale delle conoscenze. Le branche che si staccano sembrano sane fino a pochi secondi prima della caduta.
Inseguire l’illusione del rischio zero è pericoloso. Non solo perché genera panico o reazioni eccessive (come l’abbattimento indiscriminato di alberi sani), ma anche perché distoglie risorse da altri ambiti dove invece la gestione del rischio ha basi solide e strumenti efficaci. Il Sudden Branch Drop non è il sintomo di trascuratezza, ma un limite naturale della nostra capacità di controllo su sistemi complessi come gli alberi maturi. E allora come agire? In primis occorre consapevolezza nell’accettare il rischio residuo: come per ogni infrastruttura, anche il verde urbano ha un rischio intrinseco. L'obiettivo non può essere l’azzeramento del rischio, ma la sua gestione razionale. In secundis servono studi interdisciplinari su biomeccanica, fisiologia vegetale, ecologia urbana e climatologia. Solo così potremo capire davvero cosa accade nelle ore che precedono questi eventi. Infine, i cittadini devono essere informati sul fatto che gli alberi sono elementi vivi e dinamici, non statue inerti. La loro presenza porta benefici enormi, e qualche rischio residuale è parte del “patto” che la città stringe con la natura.
Il Sudden Branch Drop, come detto, non si può prevedere, almeno non con gli strumenti attuali. Cercare colpe a posteriori è sterile, e pretendere il controllo assoluto è una pia illusione. Serve piuttosto un cambio di paradigma: accettare che anche l’albero, come ogni forma di vita, può sorprenderci. E che il vero scandalo non è la caduta imprevedibile di un ramo, ma l’assenza di una ricerca scientifica seria su un fenomeno che riguarda da vicino le nostre città e la nostra sicurezza, ma si sa il nostro è un paese in cui la narrazione e i proclami sono più importanti dei risultati della ricerca.