Il massacro, anche mediatico, degli alberi trasformati da vittime a colpevoli

di Francesco Ferrini
  • 07 November 2018
In questi giorni ho visto e sentito persone delle più diverse professioni discettare di alberi, ho letto articoli di giornali allarmistici, pieni di imprecisioni che altro non fanno che ingenerare confusione e disorientamento nelle persone (forse poche in realtà, visto che sembra che tutti sappiano tutto), definizioni assurde (ad esempio “alberi killer”), ecc. Chi ha parlato ha spesso evidenziato di non avere alcuna competenza e, pontificando, ha detto ovviamente delle sciocchezze, facendo passare concetti del tutto errati e, per i nostri alberi, anche pericolosi. Fra l’altro, vengono evocati scenari apocalittici, tutti collegati al cambiamento climatico, in cui si annuncia la fine del mondo. Però non basta annunciare l'apocalisse che verrà, occorre anche provare a dare delle soluzioni. E le strade sono essenzialmente due: ridurre le emissioni di gas a effetto serra e piantare alberi; e, aggiungo, gestirli al meglio per farli non solo sopravvivere, ma anche crescere velocemente.
Ricordiamoci che gli alberi e la vegetazione urbana in generale, sono l'unico sistema che abbiamo di ridurre l'entropia urbana. L’idea della sostenibilità urbana si fonda proprio sulla consapevolezza di poter ridurre l’entropia in eccesso rispetto a quella prodotta dalla trasformazione dell’energia solare e per farlo è necessaria quanta più vegetazione arborea.  E invece cosa chiediamo e cosa viene spesso riportato sui giornali o nei notiziari? Di abbattere o di capitozzare gli alberi.
Vuol dire allora che l’incompetenza è assurta a virtù ed è più ascoltata della competenza. Perché quando non si conosce un argomento, non si ha la dignità e anche l’umiltà di dire, non sono competente? Oppure si è anche incompetenti nel riconoscere la propria incompetenza? Credo che sia sacrosanto, da parte dei tecnici, rivendicare il diritto di poter parlare e di essere ascoltati, anche se non si è d'accordo o non piace quello che viene detto. Ma la discussione non dovrebbe essere sul sentito dire, sul percepito, sul “io lo so perché mio nonno era contadino”, ma su basi scientifiche e tecniche.
Con tutto il polverone mediatico che si è sollevato dopo la recente tempesta che ha colpito il nostro Paese e che purtroppo ha causato molte vittime, si è ingenerato, proprio a causa di un modo superficiale di trattare un argomento complesso, un terrore degli alberi che non ha nessuna base e che ha già portato molti a invocare potature drastiche (capitozzature) e a protestare contro le amministrazioni comunali che non potano gli alberi.
L'alberofobia italica è quindi già ripartita e non sarà facile fermarla.
C'è il solito problema della percezione del rischio conseguente alla presenza di alberi. Come riporta Wikipedia (che se ben utilizzata può essere di aiuto nel semplificare alcuni concetti) nella valutazione degli scenari evolutivi possibili di un territorio, quali l'analisi di problematiche di carattere ambientale, il rischio è un valore definito dal prodotto:
R = P × Vu × Val
Dove:
P è la pericolosità dell'evento in analisi, ovvero la probabilità che un fenomeno accada in un determinato spazio con un determinato tempo di ritorno; Vu è la vulnerabilità, ovvero l'attitudine di un determinato elemento a sopportare gli effetti legati al fenomeno pericoloso (ad esempio nel caso di rischio sismico la capacità di un edificio a resistere all'effetto dello scuotimento);
Val è il valore che l'elemento esposto al pericolo assume in termini di vite umane, economici, artistici, culturali o altro.

Se si applicasse questa formula a tutte gli eventi "naturali" (legati a animali, clima, ecc.) il valore del rischio legato alla caduta degli alberi sarebbe più basso rispetto a quello causato, per esempio, dalla puntura di api, vespe o calabroni. Si arriva a valori 10 volte maggiori se si considerano i cataclismi naturali.

Il problema essenziale è che, come ho più volte ripetuto, quando i milioni di alberi urbani che sono presenti nel nostro Paese crescono nel silenzio, ci fanno respirar e ci danno ombra, nessuno se ne accorge. Quando uno solo di loro cade, il rumore lo percepiscono tutti e a molti dà fastidio.
Quello che mi auguro fortemente è che quanto sentito non sia prodromico ad interventi scriteriati dettati solo dalla pavidità o dalla necessità di soddisfare “la pancia” degli elettori, interventi che non faranno altro che aumentare, negli anni futuri, la propensione al cedimento degli alberi in conseguenza di eventi climatici estremi.

Termino con due terzine prese dalla Divina Commedia che sembrano fatte apposta per descrivere il tutto.

Allor porsi la mano un poco avante,
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?


(Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, canto XIII)