La cucina italiana in un cambiamento di era – Capitolo 2: La cucina del “far da sé” nel pluralismo alimentare

di Giovanni Ballarini
  • 22 March 2023

L’Italia è oggi piena di prodotti alimentari e di ricette che vantano una tradizione regionale ma che sono usati al di fuori del contesto regionale d’origine e alle quali sempre più si affiancano e si sostituiscono tradizioni, cibi, piatti e ricette non regionali e di diversa importazione. Odiernamente gli italiani incrociano un mercato alimentare sempre più diversificato, perché altre tradizioni si sono stabilite sul nostro territorio per il diffondersi di nuove modalità d’appartenenza alimentare in una crescente frammentazione che deriva anche da processi esogeni e tra questi in primo luogo dalle migrazioni interne e esterne.
In Italia oggi assistiamo alla scomparsa delle tradizioni alimentari regionali sostituite da una cucina plurale del “fai da te”. Infatti, non esistono quasi più le passate tradizioni alimentari che scandivano i tempi della settimana (sabato trippa, venerdì. baccalà, giovedì gnocchi e domenica bollito) e delle feste con i cibi e le ricette del Natale, Capodanno, Pasqua e Pasquetta, ma vi è un pluralismo alimentare scaturito da un processo interno nel quale si dipanano percorsi individuali sempre più à la carte e al fai da te. Questa alimentazione plurale, agevolata dalla diminuzione delle dimensioni familiari, è caratterizzata da cammini sganciati dalle strutture tradizionali che sono sempre più influenzati dalla pubblicità. e che vedono l’uso non solo di semilavorati (pasta secca, paste fresche ecc.) ma soprattutto dall’uso di piatti pronti (minestroni, pizze, arrosti ecc.). Il pluralismo alimentare non è soltanto un fenomeno di convivenza di differenti stili alimentari e ricette diverse da quelle tradizionali, ma è anche, e soprattutto, l’esistenza di differenti modi di vivere il cibo con i suoi valori e simbolismi. Il pluralismo alimentare inoltre si associa all’avanzare di nuove generazioni che trovano risposte sempre meno convincenti all’interno di gran parte di piatti, ricette e stili alimentari tradizionali e cercano nuove esperienze alimentari in un altrove industriale ricco di offerte e soprattutto di novità. Nell’attuale momento si può dire che nelle grandi e piccole città dove vive gran parte della popolazione italiana vi è una sostanziale uniformità alimentare nella quale sono venuti a mancare i punti di riferimento delle tradizioni regionali, con un sostanziale fallimento anche della tradizionale Dieta Mediterranea. In una cucina plurale e del “fai da te” si comprende anche l’estrema difficoltà che vi è nel cercare d’indirizzare l’alimentazione degli italiani con tabelle o “semafori” di non facile comprensione empatica e soprattutto oggetto di possibili, diverse interpretazioni.
Nell’attuale società italiana di scarsa e solo approssimata cultura scientifica, frutto anche di una insufficiente e errata educazione scolastica, il vuoto lasciato dalla scomparsa delle tradizioni alimentari è sempre più colmato da tendenze antiscientifiche che mettono in dubbio il prestigio e la fiducia nella scienza. Sfruttando il consumismo informatico tecnologico, anche su alimenti e alimentazione continuamente si diffondono nozioni antiscientifiche, ideologie non controllate e basate su concetti non verificati, pratiche astrologiche a volte presentate come scientifiche, idee propalate da cattivi divulgatori che presentano i risultati della scienza quasi come una superiore stregoneria le cui motivazioni sono comprensibili solo agli iniziati. Mai come oggi, anche in alimentazione, vi è la necessità di rendere la popolazione consapevole di cosa è la scienza e di promuovere una cultura basata sui fatti, per impedire che si diffonda una pseudoscienza alimentare.
Una cucina plurale e del fai da te e sganciata dalle tradizioni regionali non ha ostacolato, anzi ha favorito, la diffusione di prodotti alimentari tipici o che vantano un’origine, un fenomeno non completamente nuovo, se si considera l’antico successo del formaggio Parmigiano in tutta Italia e all’estero e derivato da un suo uso indipendente dal tipo di cucina. In modo analogo lo stesso è avvenuto per i vini, salumi e formaggi che quando sono presentati con tipicità di marchio e di marche trovano nuovi accoppiamenti gastronomici nella cucina plurale degli italiani, indipendentemente dalle tradizioni regionali. In una cucina plurale, inoltre, sperimentazione, innovazione e tradizione hanno sempre convissuto. Senza una sperimentazione il mais americano non sarebbe diventato la polenta gialla, innovazione della polenta bigia e soprattutto delle antiche pultes etrusche e romane. In modo analogo è avvenuto per le patate fritte sconosciute agli americani andini e per tanti altri alimenti trasformati dalle donne del popolo per necessità e dai cuochi dei palazzi per soddisfare la curiosità dei signori. Lo stesso sta avvenendo oggi anche in Italia, dove i cuochi (chef) seguendo una lunga tradizione compiono ricerche e sperimentazioni, non solo di rivisitazione delle tradizioni ma lavorando soprattutto nella costruzione di nuove tradizioni, spesso usando gli alimenti locali e stagionali in modi innovativi, ma senza costruire cucine locali o regionali.
La realtà è più importante delle idee e quindi il punto non è quello di decidere se relazionarci con l’odierno pluralismo, ma piuttosto come e quale ruolo possono in questo avere quanto vi era nelle tradizioni alimentari italiane. Possiamo farlo in modo negativo considerando l’attuale pluralismo alimentare come una minaccia per la nostra identità, o farlo in un atteggiamento positivo accogliendo la presente molteplicità alimentare come una ricchezza in un confronto costruttivo nel quale anche nuove tradizioni possono assumere un importante ruolo in una rinnovata identità. Per fare questo è necessario prendere atto che la diversità alimentare e del “fai da te” nel nostro Paese è un fenomeno non solo presente, ma consolidato e ineliminabile. Al tempo stesso bisogna prendere atto che si tratta di un fenomeno complesso ma anche poco considerato se non ignorato specialmente dalle istituzioni pubbliche. Necessaria è quindi una profonda riconsiderazione su alcuni fenomeni che stanno dilagando, come quelli dei rischi degli alimenti ultratrasformati e della presenza di integratori alimentari che non possono correggere e tanto meno sostituire squilibri e errori alimentari. Indispensabile è inoltre ripensare molte delle modalità con cui non solo gli enti pubblici, ma soprattutto quelli scientifici devono oggi relazionarsi con la gente perché il modello di una informazione solamente medicale ha in gran parte fallito.
Tradizioni alimentari, create, sviluppate, continuamente adattate alle diverse condizioni socio-culturali e recentemente abbandonate sono un patrimonio superato da dimenticare? Certamente no, come insegna quanto avvenuto con la pasta, una tradizione alimentare italiana che ha saputo evolvere e adeguarsi costruendo una nuova tradizione identitaria che riguarda i sistemi di produzione, i formati, le materie prime (multicereali, assenza di glutine ecc.), le destinazioni d’uso (paste asciutte, in brodo, fredde, primi piatti o contorni ecc.), il posizionamento nell’alimentazione giornaliera e settimanale adattandosi a una grande varietà di ricette in parte evoluzione di quelle tradizionali e in parte base di nuove tradizioni che tengono contro dei ruolo giocati dell’artigianato e soprattutto dell’industrializzazione alimentare. In modo analogo, per un insospettabile impulso di esotismo di derivazione asiatica e di spinta vegetariana, si sta vedendo un ricupero della tradizione delle zuppe di verdure un tempo espressione della varietà degli orti familiari, varietà che oggi può essere facilmente fornita soltanto dall’industria. Come indicano i due esempi della pasta e delle zuppe di verdura esiste la possibilità, se non la necessità di reinterpretare le nostre tradizioni regionali con uno studio e una conoscenza della loro evoluzione nel tempo. Anche con un dialogo, un confronto e una partecipazione delle nuove classi sociali è possibile prevedere il formarsi di nuove forme alimentari con caratteri di modelli atti a conoscere, interpretare e contestualizzare gli alimenti per un uso adeguate alle nuove condizioni socio-economiche italiane.