L’origine della razza ovina Gentile

di Antonio Muscio e Costantina Altobella
  • 18 November 2015
Benché si sia sostenuta per secoli l’origine tutta spagnola della razza ovina Gentile, molti sono gli elementi incontrati nella nostra lunga ricerca che ci hanno convinto dell’esistenza concreta di un’altra possibilità, e cioè che l’ovino gentile sia esistito, proprio in Puglia, molto prima dell’occupazione del Regno di Napoli da parte degli Aragonesi, e quindi prima della presunta introduzione di quella razza nelle terre della Dogana delle Pecore, magistratura di creazione  aragonese che regolò la transumanza organizzata tra Abruzzo e Puglia da metà ‘400 a tutto il ‘700.
In primo luogo la puntuale documentazione doganale cinquecentesca non tramanda in alcun modo quella che persino  Governatori della Dogana definiscono soltanto una “communis opinio”. Esiste poi l’autorevole testimonianza dello spagnolo Columella sul percorso inverso di arieti gentili dalla Puglia alla Spagna romana già  nel I secolo ed anche verso la Gallia Cispadana, ed abbiamo le classificazioni di pecore pugliesi a vello fine tramandate da Plinio, Virgilio e  Marziale nello stesso periodo. Un importante ma a lungo dimenticato ritrovamento archeologico nel territorio della provincia di Foggia porta poi alla nostra attenzione due bassorilievi di epoca romana, con incisi sia il vello gentile che il vello della cosiddetta pecora moscia. 

Da qui sono scaturite  altre nostre considerazioni:
- l’assoluta  necessità delle autorità aragonesi di sostenere che tutte le greggi abruzzesi e pugliesi (obbligate dalla normativa doganale ad utilizzare in perpetuo i pascoli invernali del Tavoliere in cambio dell’altrettanto obbligatoria tassa di” fida” ) non fossero altro che le discendenti di arieti fini di proprietà personale del sovrano aragonese i quali - quasi miracolosamente - introdotti in Puglia a metà del ‘400, già negli anni immediatamente successivi erano in grado di avviare il boom laniero della Dogana;
- documentazione“estera”di prim’ordine come le “Pratiche di Mercatura”di Prato e di Firenze risalenti al ‘300 e ‘400  indicano che già allora  dai porti di Trani e di Barletta salpavano, soprattutto alla volta di Venezia, grandi quantità di lana fina pugliese e tunisina; una “tariffa datiaria” studiata da Gino Barbieri dimostra che Milano già dal 1300 si approvvigiona di lana fina meridionale, e che si tratti di lana fina pugliese è ricavabile dalle “Aestimationes mercium“circolanti nella stessa città dopo la crisi comunale, che assegnano alla lana fina delle nostre campagne un valore di 70 lire contro le 100 della pregiata lana inglese e le 50 della lana fine barbaresca; infine  documenti prodotti  fra XII e XIV secolo da Compagnie di importazione fiorentine e pratesi valutano la lana  fine pugliese allo stesso livello della pregiata lana fina di Majorca.     

Altre importanti osservazioni sono da fare: l’esperienza aragonese dell’allevamento ovino è tutta “rubata”, a metà Quattrocento, ai musulmani che hanno occupato fin dal 700 d.C. la penisola iberica, e che si erano mostrati maestri nella produzione di lana finché la “reconquista” non fu completata a fine secolo con la loro espulsione. Ancora nel ’500 la penisola iberica importa massicce quantità di lana fina inglese, poiché non si è ancora appropriata completamente dell’abilità musulmana. Inoltre alle grandi – e violente, come ci ricorda “El Cid Campeador”- requisizioni degli allevamenti musulmani si aggiungerà la conquista del Regno di Napoli, con l’indebita appropriazione delle greggi gentili locali, dei pascoli del Tavoliere resi demanio regio, e con  la riscossione di una ingente ed altrettanto indebita tassa di fida, che costituirà a lungo la decima parte dell’introito erariale aragonese.
Facendo riferimento a considerazioni preminentemente tecniche, è poi da osservare che nei pochissimi anni che intercorrono tra il presunto arrivo nel Tavoliere degli arieti del sovrano aragonese e il grande  sviluppo delle produzioni ovine pugliesi e abruzzesi”doganali” non sarebbe stato assolutamente possibile, stante le tecniche allevatorie del tempo - che gli aragonesi sostengono di aver introdotto in Puglia -  pervenire ad alcun risultato migliorativo: ancora nell’Ottocento, infatti, per ottenere un miglioramento minimo dei capi erano necessari moltissimi arieti, molti incroci e decine di anni!
Dalle minuziose indagini documentarie da noi condotte, le correnti di  circolazione della pecora gentile sono risultate molto intense: e se dopo le esportazioni di età romana le invasioni barbariche fermano questi movimenti, se molto più tardi la rigida regolamentazione normanna  delle splendide “masserie regie” del Tavoliere vieta ogni esportazione di capi pregiati, se infine la crisi economica angioina – e la peste nera di metà ‘300 - bloccano lo sviluppo anche degli allevamenti, sarà alla fine la Dogana delle pecore – che sopravvive oltre tre secoli -  a gestire in modo tutto interno il business allevatorio pugliese esportando attraverso la Fiera di Foggia solo le produzioni e  portando- per questioni che furono politiche ed  economiche ma anche  sociali- a fasi alterne di “boom” e di crisi fino alla propria  fine, avvenuta  per mano napoleonica. 
Ma alla fine del‘700 – a conclusione dell’esperienza doganale e alla  vigilia dell’occupazione francese del Regno di Napoli -  la pecora gentile allevata nel Tavoliere  comincia ad essere richiesta ed importata in tutta Europa per il miglioramento delle razze locali: in Svezia, in  Danimarca (Smaalcnem), in Alta Sassonia e in  Francia (Rambouillet),in  Inghilterra (dove viene incrociata con le Rylande, le Mendip e le Southdown), in America (Massachusset e Virginia). Nel 1782 viene importata nel Capo di Buona Speranza ( forse giunge all’  Ovile Van Runen), e da qui introdotta in Australia, paese che già nel 1891 vanta oltre 100 milioni di capi fini merinos. 
La nostra indagine storica, condotta su letteratura scientifica e documentazione originale, è stata spesso legata e completata da indicazioni proprie dei tecnici di zootecnica: non solo infatti si voleva restituire dignità genetica all’ovino gentile, ma anche aprire –per quanto possibile- prospettive interessanti per la razza anche dal punto di vista operativo,e raccogliere informazioni  che, basandosi sulla consapevolezza di antichi lustri, fossero di guida agli operatori tecnici contemporanei  e fornissero informazioni su assetti tecnici futuri eventualmente e correttamente possibili.


The origin of the Gentile sheep breed
Although the completely Spanish origin of the Gentile breed of sheep has been sustained for centuries, there are many elements found in our extensive research that have convinced us of the concrete possibility that Gentile sheep existed in Puglia long before the kingdom of Naples was invaded by the Aragonese, and therefore much before the presumed introduction of that breed in the lands of the Dogana delle Pecore, a magistrature set up by the Aragonese to regulate the transhumance organized between Abruzzo and Apulia from the mid-1400s through the 1700s.
First of all, 16th-century customs documentation does not specifically pass on what even the customs governors defined as “communis opinio”. Then there is the Spaniard Columella’s authoritative testimony of the Gentile rams’ opposite journey from Puglia to Roman Spain already as early as the 1st century and also towards Cispadane Gaul. We have the classifications of Apulian sheep with fine wool handed down by Pliny, Virgil and Martial in the same period. An important but long forgotten archeological find from the province of Foggia brings two Roman bas-reliefs to our attention, whose carvings show both the Gentile and the Moscia sheep fleece.