Riduzione del metano prodotto dalle fermentazioni ruminali dei carboidrati strutturali

di Mauro Antongiovanni
  • 04 May 2022

Il metano è, senza dubbio, uno dei più potenti gas serra, dato che il suo contributo al fenomeno del riscaldamento globale vale circa 20 volte quello dell’anidride carbonica e che necessita di tempi lunghi per essere riossidato a CO2 in atmosfera.
Le fonti di metano sono sia naturali (paludi, risaie, meteorismo digestivo degli erbivori), sia antropiche (estrazione, trasporto e distribuzione del gas, estrazione del carbone).
Per quanto riguarda le fermentazioni digestive dei carboidrati strutturali (fibra), i ruminanti sono gli erbivori che producono le maggiori quantità di metano. Secondo stime recenti i soli ruminanti domestici rilasciano oltre 100 Giga tonnellate di CH4 l’anno. Tanto che molte sono le proposte avanzate in questi ultimi anni per contenere la produzione di metano da parte dei ruminanti: da quella di eliminare fisicamente tutti i ruminanti dalla faccia della terra a programmi di formulazione di diete meno “metanogene”, all’impiego di additivi chimici che interferiscono con le vie metaboliche digestive dei carboidrati strutturali.
Fra questi si segnala il 3-nitroossipropanolo (3-NOP), che riduce la produzione di metano del 22-35%, senza deprimere le prestazioni produttive, sia in termini di accrescimenti che di quantità e qualità del latte (Hristov et al., Proc. Natl. Acad. Sci. USA. 2015. 112(34): 10663–10668). 
Facendo seguito a una richiesta specifica della Commissione Europea, sulla base dei dati scientifici disponibili l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha fornito un giudizio abbastanza vago, affermando che la dose consigliata di 60 mg di 3-NOP per kg di sostanza secca nella dieta delle vacche da latte “non è preoccupante” (no concern for consumer safety) nei riguardi della salute dei consumatori e della sicurezza dell’ambiente. Ma che, comunque, è dannoso per gli operatori perché irritante per la pelle, per gli occhi e per le prime vie respiratorie. Riguardo poi alla genotossicità, non se ne sa praticamente niente.
Il meccanismo di azione del 3-NOP (Duin et al., Proc. Natl. Acad. Sci. USA. 2016. 113(22): 6172–6177) riguarda l’inibizione della metil coenzima M reduttasi che catalizza un passo della metanogenesi, con l’effetto di bloccarla, senza compromettere il metabolismo dei batteri non metanogeni.
Con tutto quello che si fa, o si dovrebbe fare, per combattere il riscaldamento globale attraverso l’abbattimento dei gas serra di origine antropica, andarci a cercare un possibile pericolo in più per la nostra salute per ridurre la metanogenesi ruminale di solo il 22-35% sembra per lo meno inappropriato. Teniamo conto del fatto che gli allevamenti animali contribuiscono alla produzione di gas serra per poco più del 14% (rapporto FAO del 2019) e che, fra i gas serra il metano da solo pesa non più dell’8%. Tutto ciò vuol dire che l’impiego di un additivo chimico come il 3-NOP, della cui tossicità sappiamo poco, può portare ad una diminuzione del metano al massimo del 35% di quell’8%, ovvero di meno del 3%. E sappiamo anche che la produzione di metano enterico si può ridurre altrettanto efficacemente con altri metodi, soprattutto curando l’alimentazione e l’ambiente di allevamento.