Aree interne e di Montagna: spopolamento e sistema primario

di Antoniotto Guidobono Cavalchini
  • 26 May 2021

Dal confronto di due rilievi aerofotogrammetrici effettuati a 25 anni di distanza (1990.-2015) in una valle dell’Appennino Ligure Piemontese emerge che in tale breve periodo ben il 37 % della SAU è stato abbandonato. Si tratta di un dato dirompente e preoccupante sia per l’assetto socioeconomico della valle considerata, sia per le conseguenze che tale abbandono comporta anche sui territori a valle.
Ma ancor più preoccupante è il fatto che oltre il 50 % del territorio italiano si trova in condizioni simili, o peggiori. La valle in oggetto, Val Borbera, è logisticamente ben collocata, sulla direttrice Genova Milano e con un casello autostradale e uno snodo ferroviario in fondo valle. Si trova, quindi, in una situazione di vantaggio rispetto a numerose aeree interne dell’Appennino, e delle Alpi. Ciononostante, il decremento demografico è tragico con ovvie pesanti conseguenze su agricoltura e ambiente, paesaggi degradati, boschi abbandonati che, inoltre, perdono buona parte della loro funzione di carbon sink.
Un territorio abbandonato e disordinato diventa poco appetibile sia per i residenti, sia per i proprietari di seconde case, sia per turisti, frenando così ogni attività economica alternativa al sistema primario e penalizzando anche il sistema primario medesimo e, quindi, accelerando lo spopolamento. Ma anche il sistema primario sopravvissuto, che della frequentazione turistica potrebbe avvantaggiarsi con la vendita di prodotti locali, soffre, perde ogni convenienza economica e le valli, i territori marginali in genere, sono destinati a deantropizzarsi con conseguenze nefaste.
Questi lunghi e numerosi mesi di limitazioni indotte dal Covid, hanno fatto riscoprire le aree marginali, quantomeno quelle più vicine ai centri urbani, ove si nota una interessante frequentazione di ciclisti e randonneurs. Prima che riprendano le vecchie abitudini delle vacanze esotiche, sarebbe buona cosa cercare di stabilizzare, o meglio incrementare il fenomeno attraendolo con alcune infrastrutture, piste ciclabili, sentieri attrezzati e segnalati, ma soprattutto con un territorio ben curato dalle attività agroforestali e in grado di offrire prodotti locali enogastronomici e artigianali interessanti.
Negletti dai politici per la scarsa attrattività in termini elettorali, i territori montani sono da qualche anno oggetto di particolari attenzioni da parte di UNCEM (Unione dei Comuni ed Enti Montani che rappresenta circa 4000 Comuni Italiani) che sta finalmente portando avanti, con determinazione e intelligenza, politiche di valorizzazione delle aree interne e di montagna proponendo misure a favore di agricoltura e forestazione. Se personalmente sono più sensibile all’agricoltura e zootecnia, bisogna riconoscere che l’importanza fondamentale che il sistema forestale, con i suoi oltre 10 Milioni di ha, riveste per l’equilibrio socio-economico e ambientale. E a tal fine per una gestione delle foreste italiane occorre valorizzare anche la destinazione energetica della biomassa che, invece, è vista con sospetto a causa della cattiva gestione dei fumi. Diversamente quella che potrebbe essere una risorsa per l’abbattimento delle emissioni di CO2 diventa, e in buona parte è già, un elemento negativo, come le recenti risultanze sulla foresta amazzonica confermano
Tali problematiche non sono solo italiane, ma abbastanza comuni a quelle di Spagna e Francia come un interessante tavola rotonda organizzata da UNCEM ha evidenziato. Il problema dello spopolamento è, infatti, comune e va affrontato spingendo sul turismo, sulla attrattività delle aree interne garantendo in primo luogo una adeguata connettività digitale, il coinvolgimento culturale, i trasporti, i sistemi e le strutture educazionali, ma anche, e forse sopra tutto, un paesaggio curato e gradevole. Cioè garantendo la presenza di un sistema primario vivace e vivo, in grado di gestire il territorio, assicurare una adeguata presenza antropica e la biodiversità estendendo il concetto alla cultura rurale che tanto può dare anche in questo senso. Il tutto mediante programmi disegnati a livello centrale, demandandone la gestione a regioni e altre istituzioni periferiche.
Interessante, in merito, l’Erasmus rural, nato presso l’Università e le Istituzioni di Saragoza, un Erasmus rivolto a prime esperienze lavorative, concrete, all’interno di piccoli villaggi dove viene garantito un travaso di culture, esperienze, conoscenze e tecnologie da mondi completamente diversi con evidenti vantaggi reciproci. Per chi vive nel mondo accademico, in particolare quello rivolto al settore primario, l’Erasmus rural è una esperienza, uno stimolo da sviluppare, una occasione da non perdere.
E’ evidente che qualsiasi programma, azione di sviluppo per avere successo debba essere supportata e gestita da un sistema istituzionale efficiente, che funzioni. Aspetto, questo, ben presente a studiosi, amministratori e cittadini francesi e spagnoli, meno in Italia dove ci si lamenta genericamente del peso della burocrazia, senza però entrare nel merito dell’organizzazione istituzionale i cui limiti sono stati ben messi in evidenza dalla recente gestione del Covid.