Storia e storie di gelato

di Francesca Petrocchi
  • 27 June 2018
Storia e storie perché come per qualsiasi altro prodotto culturale nonostante tentativi più o meno validi di ricostruire un percorso nel tempo coeso e unitario a partire dalla notte dei tempi, l’intreccio di percorsi integrativi o anche paralleli, di storie, favole e leggende relativi ad usi alimentari di cibi gelati in diversi spazi e luoghi nel mondo (dalla Cina alla Turchia, alla Sardegna, alla Spagna) è fittissimo, incentrandosi anche su biografie di singoli artifex del gelato o inventori di tecniche di produzione, di degustazione e poi di commercializzazione sempre più perfezionate.
Il gelato moderno come noi lo intendiamo comunemente, a base pastosa, mantecata (dallo spagnolo preromano manteca, burro) da ingredienti e gusti oggi numericamente sempre più elevati, talvolta bizzarri, fu originariamente preceduto da due sottogeneri ancora oggi in voga: la granita e il sorbetto; come confermano del resto le concrete tracce relative alla storia della “forma” lessicale in italiano. Entrata solo nella quinta edizione del Vocabolario della Crusca: gelato come participio passato ed aggettivo «Pezzo gelato: dicesi un sorbetto molto più duro dell’ordinario e al quale si dà una figura qualsiasi mediante forma»; gelato come sostantivo, questa la definizione che ci interessa: «Latte, crema, sugo di qualche frutto e simili, congelato ad arte, e che si prende per uso di rinfresco; Sorbetto». Nel Dizionario della lingua italiana ovvero Compendio del Vocabolario della Crusca di Francesco Cardinali (1843) la voce è registrata in questo modo: «termine degli acquacedratari. Liquore, frutto o simile congelato che si prende ad uso di rinfresco»; nel Nuovo vocabolario italiano domestico di Giacinto Carena (1869) si legge: «‘Gelato’, che anche chiamano ‘pezzo duro’, è specie di sorbetto interamente indurito dal gelo, e a cui, con ‘forme’ appropriate si dà una determinata figura, come di pesca, d’arancia, di pera, di fico o altro».
Chi investigò con piglio scientifico sulla storia del sorbetto o gelato fu nel 1755 Filippo Baldini nel suo trattato edito a Napoli De’ sorbetti e de’ bagni freddi: un saggio sin dal titolo di taglio «medico-fisico» essendo Baldini «Professor di Medicina e Lettor Straordinario de’ Morbi Nervini nella Regia Università di Napoli, Accademico dell’Istituto di Scienze di Bologna, Socio corrispondente delle due reali Accademie di Firenze de’ Georgofili e de Fisico-Bottanici e della reale Accademia delle Scienze di Siena». Un trattato mosso dalla finalità di dimostrare scientificamente i «molti vantaggi» alla «nostra salute» apportati dal bere «acque ghiacciate» che «imparato abbiamo […] a condirle in mille guise con diversi odori, e sapori dando loro il nome di sorbetti». Baldini descriveva con testi e citazioni alla mano «quali, e quante fossero le bevande ghiacciate usate dagli antichi, e per quali cagioni, a poco a poco si fosse tal’uso introdotto».
In più passaggi del trattato egli sottolineava che stando alle fonti antiche si trattava di un alimento, il sorbetto, diciamo interclassista, cioè comune, diffuso indipendentemente dal censo dei consumatori. Del resto sappiamo che l’arte di conservar la neve e il ghiaccio non aveva confini né geografici né sociali (dall’oriente a occidente, andando dalla Cina al Mediterraneo, dagli egizi ai fenici ai greci agli etruschi agli arabi ai romani) come quella di utilizzare entrambi sia come ingredienti per bevande sia per raffreddare o ghiacciare preparati ad hoc posti in appositi contenitori: riportati alla luce e analizzati da esperti archeologi.
Seppur, va notato, che l’austero Seneca aveva aspramente criticato l’uso diffuso di refrigerare acqua, vini e bevande nei mesi caldi conservando gelosamente la neve e cioè sovvertendo in estate il provvido ordine della natura infranto dai seguaci della «voluttà» di assumere composti freddi. Da qui possiamo esplorare l’altro versante di sorbetti e gelati quello del piacere intenso e diffuso che essi provocano rispondendo ad un impulso primario, fisico e anche psichico, di istantaneo refrigerio nella calura per cui per estensione il godimento da essi sprigionato si è talvolta associato alla soddisfazione del desiderio sessuale che non ha confini di censo o sociali. Le origini diciamo “popolari”, umili del gelato possono infatti riscontrarsi in preparazioni semplici, a base di ghiaccio tritato, ancora oggi in uso come la grattachecca.
Che sul gelato e sull’atto di degustazione del gelato, dalle labbra alla lingua, alla gola si imprimano o ruotino simbologie o metafore legate all’eros, al desiderio e appagamento erotico non l’hanno disvelato fotografie o immagini di donne più o meno celebri che affollano spesso i social con perversi e pervicaci riferimenti osceni: basta conoscere un po’ Napoli e il suo dialetto per sapere che tradizionalmente la rattata o la romana grattachecca a Napoli si chiamava cazzimbocchio derivato dalla voce espressiva popolare per definire il cubetto di porfido usato un tempo per lastricare le strade.
Ma il successo e la popolarità del gelato si devono anche agli strumenti ideati per facilitarne la preparazione, poi l’asporto e dunque la vendita e la degustazione in strada; il passaggio dal gelato poggiato sulla cialda all’invenzione del cono (brevetto depositato nel 1903 da Italo Marchionni a New York che pare lo avesse diffuso in città sin dal 1896) il passaggio dal “cuppettiello” di carta a quello fatto di cialda che nel 1959 grazie all’inventiva del napoletano Spica, divenne il “cornetto” all’interno “foderato” di glassa che rendeva la cialda impermeabile liberò definitivamente il gelato dalla degustazione statica al tavolo del caffè nel mentre ché la produzione industriale si andava sempre più affermando prima col gelato al fiordilatte su stecco -il Mottarello (1948)- registrandosi poi a partire dalla fine degli anni ’60 in Italia la diffusione domestica del freezer e dunque l’avvento del “Barattolino” per famiglie a sancire, anche, il crescente successo del gelato industriale. Il gelato è dunque sottoposto ad un incessante dinamismo interno ed esterno: dal punto d’avvio più semplice, naturale della catena del freddo, cioè dalla neve, dal ghiaccio misti ad altri ingredienti o utilizzati per raffreddarli alle elaborate tecniche produttive attuali da strumento terapeutico o di “rinfresco” è divenuto alimento diffuso e cibo persino sostitutivo delle pietanze abituali. Un tempo “eccezione” o “premio” o “occasione” da centellinare, soprattutto nell’infanzia, e stagionale: il tutto attraverso una più che millenaria laboriosa attività artigianale essa stessa, in Italia, concretamente dinamica in quanto vide spesso custodi o trasportatori di neve o custodi e fabbricatori di ghiaccio trasformarsi in abili maestri di gelato, di sorbetti e granite.
Un elemento unificante di tradizioni e storie locali (dalla Sicilia al Cadore) può esser stato quello di base, di fondo: ovvero l’uso della neve e del ghiaccio cioè di un elemento della natura finalizzato al raffreddamento degli ingredienti in appositi recipienti. L’ attestata presenza di antiche neviere in diverse regioni italiane o la presenza di vere e proprie “vie o “strade” adibite al trasporto della neve, di fabbriche naturali di ghiaccio in grotte o in cave sotterranee conferma quanto fitto sia stato nei secoli il reticolo di percorsi fisici, materiali e insieme di percorsi ideativi, creativi di questo particolare alimento sino all’avvento delle ghiacciaie domestiche e poi dei moderni frigoriferi e frezeer. Si tratta per altro di testimonianze di storia materiale che in diversi luoghi d’Italia si stanno valorizzando anche a fini turistici e didattici onde riscoprire pratiche ed economie locali sparite lungo lo scorso secolo.
Al gelato son ora dedicati diversi Musei, Accademie, Scuole in quanto, appunto, composto d’ arte, tecnica, stile.
Il gelato, nel tempo, lo abbiamo accennato, è diventato sempre più un brand, un marchio, un simbolo, un nome: il Cornetto e il Calippo e il Cremino, la Coppa del Nonno,
Per finire, resta aperta una questione: in italiano si dice gelato “di” o gelato “al”? La lessicografia contemporanea registra l’avvenuta supremazia di al/alla rispetto al gelato “di” attestato dai ricettari più antichi sino all’Artusi e poi ancora lungo il primo cinquantennio del Novecento. Certo sarebbe meglio che gelati artigianali e industriali siano veramente “di” come si diceva e si faceva un tempo: e con questo mi pongo all’ascolto di specialisti e innovatori di prodotto sperando che questo sia il gelato, il gelato DI, oggi e nel futuro.

L’articolo completo della Professoressa Petrocchi è disponibile QUI in pdf