Pesche/nettarine: cosa resterà dopo la ‘legnata’ di quest’anno? Un problema anche europeo. Ma l’Europa c’è?

di Lorenzo Frassoldati*
  • 13 September 2017
Dice bene sul Corriere della Sera (27 agosto) Ferruccio de Bortoli: l’Europa sta messa un po’ meglio di qualche tempo fa, quando sembrava sul punto di soccombere all’onda dei nazionalismi e populismi. I dati economici sono incoraggianti, l’euro corre ma l’export italiano non ne risente. Ma… “E’ una ripresa che crea poca occupazione…ed è questo il principale problema”. Ecco il punto: se c’è un settore in cui la ripresa crea (o creerebbe) occupazione, questo è certamente l’ortofrutta, dove l’impiego di molta manodopera è strutturale. Invece siamo qui a piangerci addosso sull’ennesimo disastro della frutta estiva, in particolare pesche/nettarine, che dopo l’estate 2017 subiranno un ulteriore colpo di grazia in termini di superfici e produzione. Ho letto anche con attenzione l’intervista del presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo (Italiafruit, 23 agosto). Penso che l’avranno letta anche tanti dirigenti di cooperative e imprese che hanno in tasca la tessera Coldiretti. Interessante capire cosa pensa il n.1 della organizzazione agricola più potente e influente del paese della ennesima crisi della frutta estiva con prezzi crollati a minimi indecenti e la necessità di ricorrere ai vecchi sistemi dell’Europa “che fu” cioè il ritiro del prodotto (solo un palliativo, come sempre). Ricordiamo tutti i tempi in cui al Macfrut Coldiretti chiamava a raccolta il suo ‘popolo’ per spiegare che le imprese cooperative non facevano l’interesse del produttore in termini di remunerazione del prodotto. Se ben ricordo, fu lanciata anche una nuova centrale cooperativa (Uecoop) proprio per invertire la rotta. Poi il progetto si è spento, di Uecoop si sono perse le tracce.  L’impresa di remunerare adeguatamente il prodotto sembra facile a parole, ma nei fatti è durissima perché i prezzi non li decide né il produttore né la Coldiretti, ma il mercato. E qui il gioco si fa duro, durissimo. 
Ma torniamo alla ricetta di Moncalvo. Che si riassume in due indicazioni: più controlli di origine sul prodotto fresco e alle frontiere sull’import; contratti di filiera. Ora in una filiera organizzata (e corta) i produttori ci sono già: vanno direttamente sul mercato attraverso i privati, le Op, le coop o i Mercati generali che riforniscono la grande distribuzione o i dettaglianti. Quanto ai controlli sull’origine sono già obbligatori per l’ortofrutta; così alle frontiere. Se poi qualcuno bara sull’origine, spacciando per italiano ciò che italiano non è, finisce nei guai con la legge. Punto. 
L’estate 2017 una cosa l’ha dimostrata: la crisi della frutta estiva ormai è strutturale, e va affrontata in un quadro non più solo nazionale ma europeo con gli altri paesi produttori: Spagna, Grecia e…Francia (se ci sta). Ormai la speranza di vedere prezzi remunerativi è affidata solo alle annate con scarsa produzione, cioè quando manca il prodotto. Altrimenti l’eccesso di produzione è un rischio sempre dietro l’angolo.  Si pianta e si spianta seguendo fattori spesso irrazionali. Senza tenere conto che il consumatore durante i mesi estivi oggi ha a disposizione una valanga di prodotti che una volta non esistevano. E’ interesse di tutti non finire con l’acqua alla gola come quest’anno. Cosa resterà della peschicoltura nazionale dopo l’estate 2017? Pensiamo poco. Lo scettro produttivo e di mercato ormai l’ha preso la Spagna e non lo molla. Come per gli agrumi, abbiamo perso una importante leadership a favore del più organizzato sistema ortofrutticolo spagnolo. Per salvare il salvabile è indilazionabile cominciare a parlare di contingenti produttivi a livello europeo: non chiamiamole ‘quote’ perché non va più di moda, ma qualcosa del genere serve. Poi a livello nazionale è scandaloso che non si sappia né quanto di produce (mancano i catasti) né quanto si consuma. Sui consumi ogni anno si recita un balletto ridicolo: arriva il caldo, si parla di boom poi i prezzi crollano. C’è chi spara fantasiose percentuali di incremento dei consumi, poi salta fuori la Gdo a dire che non è vero, che per loro i consumi sono sempre calanti. Insomma, non riusciamo a programmare le produzioni e ci accorgiamo dei bassi consumi quando abbiamo tutto il prodotto in magazzino. Poi in annate come questa bisogna dire basta alla commercializzazione delle pezzature piccole, perché ‘spaccano’ il mercato. Poi ci vuole un maggior impegno di Op e coop a favore della qualità. Non è vero che tutte le pesche sono state pagate 0,20 centesimi/kg. Chi ha fatto qualità non sarà diventato ricco però 0,50-0,60 centesimi li ha visti. 
A settembre arriva il Tavolo nazionale ortofrutta. Servirà? Speriamo. Sarà un’occasione per fare sistema, per uscire dai luoghi comuni, dalle banalità e dai discorsi ormai fritti e rifritti per andare al cuore dei problemi, dei nodi che affliggono il settore. Affrontando i tanti problemi insoluti sarà giocoforza mettere in campo un vero e proprio progetto strategico per l’ortofrutta italiana. Lo merita. Nella consapevolezza che l’ortofrutta ‘fa’ occupazione quindi dà una mano al paese. Bisognerebbe ricordarlo alla nostra classe politica, a partire dal ministero, che si sta svegliando dopo anni di latitanza.  

*direttore del Corriere Ortofrutticolo