Celiachia: una forma di intolleranza alimentare permanente

di Mauro Rossi
  • 25 January 2017
La celiachia o enteropatia glutine-sensibile rappresenta una delle forme più diffuse di intolleranze alimentari. La malattia si manifesta in individui geneticamente suscettibili, in seguito ad ingestione del glutine da frumento tenero (Triticum aestivum) e duro (Triticum durum) o delle corrispondenti proteine presenti in diversi altri cereali tra cui, i più comuni, risultano orzo (Hordeum vulgare) e segale (Secale cereale). La tossicità dell’avena (Avena sativa) è stata recentemente rivista per cui è ora considerata un cereale non tossico per la maggior parte dei soggetti celiaci; rimangono ancora oggetto di studio alcuni cereali minori tra cui il piccolo farro (Triticum monococcum). 
L’intolleranza, fino a circa venti anni fa, veniva principalmente diagnosticata nei primi tre anni di vita. Negli ultimi anni è invece cresciuto il numero di casi in cui si manifesta tardivamente nel corso della vita o rimane asintomatica. Attualmente si ignora quali siano le cause responsabili di slatentizzare la patologia nell’adulto, dopo un periodo più o meno lungo trascorso dal primo contatto con il glutine. La celiachia ha pertanto oggi una grande rilevanza epidemiologica: in Europa e nel Nord America si calcola che la frequenza dei casi conclamati di malattia è di 1:1000 nati vivi ma, se si considerano anche i casi latenti ed asintomatici, si passa ad un rapporto di 1:100. Sotto l’aspetto clinico i soggetti celiaci soffrono di gravi sindromi da malassorbimento (diarrea, perdita di peso, ritardo della crescita, anemia sideropenica, steatorrea), mentre l’esame istologico della mucosa dell’intestino tenue, sede della lesione, evidenzia iperplasia delle cripte e diversi gradi di atrofia dei villi intestinali. Numerose evidenze sperimentali indicano inoltre che la lesione mucosale è prodotta da una risposta immunitaria di tipo infiammatorio nei confronti delle molecole del glutine. L’analisi di biopsie intestinali prelevate da pazienti celiaci ha messo in evidenza che in queste mucose sussiste una massiva infiltrazione linfocitaria.  La completa normalizzazione sia del quadro clinico che istologico, che si raggiunge dopo l’eliminazione del glutine dalla dieta, forniscono prove ulteriori che il glutine agisce attivando in maniera reversibile i linfociti T infiltranti la mucosa. 
L’unico approccio terapeutico al momento efficace è la dieta completamente priva di glutine, da seguire per tutta la vita: solo così, infatti, vengono ripristinate e conservate sia la normale architettura tissutale che le funzioni mucosali. Il rigido mantenimento di una tale dieta non è comunque di semplice attuazione, considerato che piccole quantità di glutine sono state identificate in fonti alimentari non sospette e rappresenta, comunque, una restrizione abbastanza forte che giustifica gli sforzi della ricerca tesi a trovare delle strategie alternative. 
L’individuazione di strategie immunologiche che possano condurre alla formulazione di un protocollo terapeutico rappresenta un importante obiettivo della ricerca in questo settore. In particolare, la via di somministrazione dell’antigene è un fattore cruciale per l’orientamento della risposta immune in senso “tollerogeno”. La ricerca più avanzata in questo settore viene svolta dalla azienda americana ImmusanT (Cambridge, Massachusetts) che attualmente sperimenta in trial clinici l’efficacia di una somministrazione controllata e ripetuta attraverso il derma di tre peptidi identificati come principali agenti immunostimolatori.
Le gliadine si caratterizzano per un elevato contenuto in glutammine e proline, una caratteristica biochimica che ha un ruolo cruciale nel meccanismo patogenetico associato alla celiachia. Infatti nel nostro intestino la cinetica di idrolisi delle proteine a livello dei residui di prolina è estremamente lenta, a causa dell’assenza di enzimi specifici. Grossi frammenti peptidici di glutine passano così integri nella mucosa intestinale attivando la risposta immune infiammatoria nei soggetti geneticamente predisposti. Nuove strategie tecnologiche si basano pertanto sull’impiego di enzimi microbici, le prolil-endopeptidasi, in grado di idrolizzare completamente le molecole di glutine presenti nell’alimento. Gli studi in questo settore si sono concentrati sia sullo sviluppo di formulazioni da assumere contemporaneamente al pasto, che sul trattamento diretto delle farine, da impiegare per la preparazione di prodotti da forno. I primi risultano ancora nella fase di sperimentazione clinica da parte di diversi centri di ricerca europei, mentre i secondi hanno da qualche anno portato ad una produzione commerciale di innovativi prodotti da forno per celiaci presenti sul mercato nazionale.
Infine, la scoperta relativamente recente che solo determinate porzioni delle molecole di glutine, nell’intestino del celiaco, attivano i linfociti infiammatori in seguito a deamidazione di specifiche glutammine, ha condotto ad ipotizzare la possibilità di bloccare preventivamente tale processo attraverso un trattamento enzimatico della farina e della semola di grano. Questa metodologia, sviluppata e validata dai laboratori del CNR, consiste nel legare covalentemente ed in maniera selettiva esteri di lisina ai residui di glutammina coinvolti nell’attivazione dei linfociti, bloccando così la risposta infiammatoria. Anche in questo caso sono stati già avviati studi clinici che hanno consentito di dimostrare la tollerabilità del prodotto in una buona percentuale della popolazione esaminata. Sulla scorta di questi primi risultati, estremamente incoraggianti, la strategia tecnologica è in fase di ulteriore perfezionamento nell’ottica di risultare efficace per tutti i celiaci, mantenendo nel contempo inalterate le proprietà tecnologiche del glutine, indispensabili per un’applicazione pratica.
I celiaci rappresentano una popolazione in continua espansione anche perché, con il miglioramento delle metodiche di screening, è aumentato il numero di casi individuabili. Fortunatamente, sulla base dei recenti risultati della ricerca, non appare più improbabile che la completa dipendenza da cibo privo di glutine possa essere definitivamente superata in tempi brevi.