In agricoltura va tutto bene, anzi benissimo. Ve ne eravate accorti?

di Lorenzo Frassoldati*
  • 07 September 2016
In agricoltura tutto va bene, anzi benissimo. Ve ne eravate accorti? Io magari sono un po’ ottuso, lento a capire, ma c’è chi mi spiega tutte le settimane che nei campi italiani è in corso un nuovo ‘rinascimento’. Innovazione, opportunità di reddito, occupazione in crescita soprattutto tra i giovani, primati nell’export, e via dicendo. Ottimismo spalmato a piene mani ad esempio dal ministro Martina che giovedì 18 agosto in una intervista al Corriere della Sera ha tracciato un quadro tutto in crescita del settore primario: sviluppo, occupazione, crescita. Ovviamente il merito è del progetto “Campo libero”, varato dal governo. E i disastri dell’Agea? L’inefficienza di tante Regioni? E la burocrazia che massacra le imprese? E le proteste del mondo agricolo che ogni settimana scende in piazza, oggi per il grano che non vale niente, domani per latte e carne in crisi, dopodomani per la frutta che resta sugli alberi? Niente, la colpa è delle speculazioni, delle distorsioni della filiera, dell’agropirateria, delle importazioni selvagge, dell’Europa ‘cattiva’ che truffa i consumatori, degli Ogm , delle multinazionali. Nessuno si azzardi a mettere in rilievo le criticità, a fare il guastafeste. Il presente ma soprattutto il futuro, sono radiosi.
Tutti vogliono fare i contadini, titolava nei giorni di Ferragosto una puntata della trasmissione “In Onda” su La7. Gli ospiti, in particolare lo scrittore ‘rurale’ Mauro Corona e la capa dei giovani Coldiretti, hanno sparso ottimismo a piene mani. Basta poco per avviare una impresa agricola. La giovane Coldiretti ha parlato di un allevamento di lumache (elicicoltura) che si avvia con poche migliaia di euro. Corona (che fa lo scrittore) diceva che bisogna tornare a coltivare gli orti (fosse facile), come fossimo ai tempi di guerra. Alla domanda quanto ci vuole per avviare una impresa agricola, nessuno ha dato la risposta più ovvia: ci vorrebbe la terra. E la terra costa. O no? Naturalmente tutti a decantare il made in Italy, le nostre eccellenze. Nessun accenno al fatto che le nostre tanto decantate eccellenze dobbiamo esportarle, che non basta produrle, bisogna organizzarsi per venderle sui mercati globali. Che ci sono eccellenze, come il Parmigiano Reggiano, da tempo cronicamente in crisi. Colpa anche qui delle speculazioni, delle filiera distorte?
Ironie a parte, ormai il dibattito su questi temi ha assunto toni surreali, la distanza tra agricoltura comunicata e agricoltura reale risulta sempre più incolmabile. Alla pubblica opinione viene proposta una immagine falsata, stravolta di un comparto che per la sua importanza, per il suo peso reale nell’economia del Paese, meriterebbe una grande operazione-verità, non queste favolette, non questa propaganda ministeriale o alimentata da sindacati agricoli a caccia di nuovi tesserati. Sull’Informatore Agrario il prof. Angelo Frascarelli ha sollevato il tema in un editoriale dal titolo “Diciamoci la verità, l’agricoltura arranca e va rinnovata a fondo” in cui ha messo in fila i dati reali del settore. Il valore della nostra produzione agricola in dieci anni è cresciuto del 14%, in Europa del 22%. L’occupazione continua il suo declino(meno 100mila occupati in dieci anni). I redditi agricoli in Italia sono aumentati del 14% , in Europa del 40%. L’export va, quello agroalimentare, ma quello strettamente agricolo peggiora il saldo negativo. E anche nell’export Francia e Germania (e Spagna nell’ortofrutta) manco le vediamo col binocolo. Perché allora si continua a raccontare tante favolette consolatorie? Perché una immagine positiva, idilliaca, dell’agricoltura fa comodo. Alla politica, alla burocrazia ministeriale e regionale, alle organizzazioni professionali, alle catene della Grande distribuzione. A tutto il sistema cui vanno bene le cose così come stanno, a quelli che non vogliono che nulla cambi in un comparto rimasto pietrificato alle logiche e alle rappresentanze di 50 anni fa. Una somma colossale di rendite di posizione e di potere il cui conto lo pagano le imprese agricole. Facciamo nostre le parole di Frascarelli: “Bisogna impegnarsi per una agricoltura più produttiva, più innovativa, aperta al cambiamento, con più aggregazione, con filiere più organizzate, con più capacità tecniche e gestionali. La strada intrapresa (qualità e made in Italy) da sola non basta!”. Nulla da aggiungere.

* accademico georgofilo e direttore del Corriere Ortofrutticolo (l.frassoldati@alice.it)