Sostenibilità: scienza o esoterismo?

di Luigi Bodria
  • 29 June 2016
E’ curioso costatare come in un momento in cui la stupefacente crescita delle conoscenze e delle tecnologie che ha caratterizzato lo sviluppo dei paesi industrializzati  ha portato a diffusi livelli di qualità della vita inimmaginabili sino a non molte decine di anni fa, si assista al progressivo diffondersi di una regressione del pensiero corrente con una diffusa tendenza ad abbandonare il rigore logico della scienza, che tutto ciò ha reso possibile, per rifugiarsi nell’irrazionale e nel fantastico.
Nei paesi industrializzati i progressi della medicina hanno sconfitto la grande maggioranza delle malattie e stanno progressivamente prolungando la durata media della vita dell’uomo, mentre l’aumento delle rese colturali connesse allo sviluppo agricolo della seconda metà del secolo scorso, ha reso il cibo un bene di basso costo e disponibile in grande quantità per tutti.
 Ed è proprio nei due settori cardini della medicina e dall’agricoltura che maggiormente si assiste al progressivo prendere piede di correnti di pensiero emozionali che, prive di fondamento scientifico alcuno e amplificate da un’informazione talvolta acritica e superficiale, rischiano di danneggiare seriamente la società di domani.
Nel primo caso, la campagna anti-vaccini è un illuminante e inquietante esempio, mentre nel secondo, non meno preoccupante è la crescente spinta verso un ritorno a forme di agricoltura “biologica”, ritenuta la panacea in grado di risolvere contemporaneamente il problema della fame nel mondo e della sostenibilità ambientale.
Tale fenomeno riveste aspetti di particolare gravità alla luce di quanto emerso da Expo 2015 che ha portato all’attenzione di tutti in modo chiaro e incontrovertibile che nei prossimi 25 anni, per poter garantire adeguate risorse alimentari a una popolazione, che a quell’epoca avrà raggiunto i 9  miliardi di individui,  la produzione agricola mondiale dovrà aumentare del 60% circa. A fronte di ciò, con altrettanta evidenza e drammaticità, si pone naturalmente la questione climatica e la conseguente necessità di salvaguardia del nostro ecosistema, pesantemente aggredito dalla crescente pressione antropica e dall’enorme sviluppo tecnologico degli ultimi due secoli, che ne hanno pesantemente alterato gli equilibri.
Nutrire il pianeta e salvaguardare l’ambiente sono due imperativi strategici che vanno affrontati insieme e in modo globale e coordinato, senza lasciare che intransigenze ideologiche ci distolgano da logica e razionalità.
Non si può dimenticare che fino ai primi decenni del secolo scorso, quando l’agricoltura era integralmente biologica, le campagne erano spesso luoghi di fame, afflitti da malattie endemiche e malnutrizione, da cui partiva una massiccia emigrazione in cerca di condizioni di vita migliori.
E’ solo con la “rivoluzione verde” che è iniziato quel processo di aumento delle rese per ettaro grazie al quale dai problemi di sottonutrizione di ieri siamo passati ai problemi di eccessi alimentari e obesità che oggi affliggono l’opulenta società dei paesi occidentali. Il totale annullamento del problema “fame” ha così innescato un fenomeno di mutazione funzionale dall’agricoltura che è andata perdendo la sua originale natura di “settore primario”, fondamentale per la sopravvivenza umana, per assumendo una valenza prevalentemente edonistica, nella quale grandi chef e associazioni di buongustai sono diventati i nuovi “maîtres à penser”.
In altri termini e come ben evidenziato in una recente intervista da Sanjaya Rajaram, agronomo attivamente impegnato in India e vincitore del World Food Prize 2014, la popolazione umana ha ampiamente superato le capacità naturali di sostentamento del pianeta ed è solo grazie un massiccio ricorso all’energia, che ha consentito cospicui aumenti delle rese unitarie, che  ciò ha potuto essere assorbito senza provocare drammatiche conseguenze.
E’ quindi una pericolosa ingenuità ritenere il ritorno al “biologico” la via da percorrere per salvaguardare la sostenibilità ambientale. E’ di tutta evidenza, infatti, che qualunque strategia d’intervento che, a parità di produzione, comporti una riduzione delle rese per ettaro, si traduce inevitabilmente nella necessità di messa a coltura di nuove superfici, con conseguenze climatiche e ambientali esattamente opposte a quelle volute!
La sola scelta seria e responsabile è quella di proseguire nel cammino del progresso sociale e scientifico che ci ha portato sino a qui, prendendo atto degli sbagli del passato e dedicando impegno e risorse a correggere gli errori fatti, imparando a utilizzare l’innovazione scientifica e le tecnologie in modo responsabile.
Occorre responsabilmente prendere atto del fatto che la sopravvivenza di 7 miliardi di persone oggi, e ancora di più di 9 miliardi domani, è indissolubilmente legata a un intenso impiego di energia e che, pertanto, la sola via percorribile è quella di ottimizzarne le modalità di produzione e utilizzazione al fine di eliminarne progressivamente l’impatto ambientale.
Fortunatamente è in questa direzione che si muove la ricerca ufficiale nei due settori cardine delle scienze biologiche e della tecnologie.
Da un lato, i progressi delle conoscenze della genetica e della biologia molecolare hanno aperto nuovi orizzonti che fanno intravedere promettenti possibilità di ottimizzazione dell’uso degli input e di  incrementi delle rese unitarie (20 t/ha per il frumento tra 20 anni); dall’altro, già dagli anni ’80 del secolo scorso, il settore dell’ingegneria agraria è fortemente impegnato nel settore dell’energia con ricerche per un suo più razionale impiego e per lo sviluppo delle fonti rinnovabili.
Sotto lo stimolo di una normativa europea sempre più stringente, l’impatto ambientale dei nuovi motori agricoli si sta progressivamente riducendo, con consumi di combustibile sempre più contenuti e livelli di emissioni ridotti dell’80-90%.  L’effetto congiunto della maggiore efficienza energetica e dell’ottimizzazione delle macchine ha portato, ad esempio, a ridurre di 2/3 nel giro di una cinquantina d’anni, il consumo di combustibile per tonnellata di frumento raccolto.
Non meno attivi sono gli studi sull’impiego di combustibili alternativi (biogas, biodiesel, idrogeno ecc.) e sulle applicazioni dell’energia elettrica al fine di rendere la produzione dell’energia meccanica sempre più rispettosa nei confronti dell’ambiente.
Circa le macchine operatici, il vertiginoso sviluppo delle tecnologie informatiche e dell’elettronica è oggi in grado di trasformare le macchine in dispositivi “intelligenti” in grado di leggere l’ambiente in cui stanno operando e di adeguarsi alle esigenze locali. Le nuove tecnologi, proprie dell’agricoltura di precisione, con macchine altamente automatizzate e guidate da un sistema satellitare, consentono operazioni sito-specifiche nelle quali la distribuzione degli input chimici avviene solo dove richiesto e nella quantità necessaria, evitando inutili dispersioni di prodotti nell’ambiente.
Analogamente la gestione sito-specifica dell’irrigazione e la zootecnia di precisione sono in grado di ottimizzare l’uso dell’acqua e garantire condizioni ambientali e di benessere nell’allevamento.
Da quanto sopra emerge con grande chiarezza che la sola via che possa coniugare sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare è quella dell’innovazione tecnologica. Quindi, occorre non lasciasi distrarre da mode e vezzi del momento e dedicare adeguate risorse umane e finanziarie  alla ricerca vera e all’adeguamento della meccanizzazione, oggi basata su macchine obsoleto e molto inquinanti, secondo criteri più rispettosi dell’ambiente. 
Che l’intellighenzia radical-chic vagheggi il ritorno ai buoni sapori di una volta ottenuti dalla terra resa magicamente fertile dal corno-letame è assolutamente legittimo e comprensibile, in fondo “nei salotti buoni” si mangiava bene anche cento anni fa, ma garantire una produzione alimentare in grado di sfamare le sovraffollate megalopoli del 2050 è tutt’altra cosa!


Sustainability: science or esotericism?
It is interesting to note how, in a time when the amazing growth of knowledge and technologies characterizes the development of industrialized countries and has brought widespread quality of life levels unthinkable until a few decades ago, we are witnessing the progressive spreading of a regression of the current thinking with a widespread tendency to abandon science’s logical rigour, that has made this development possible, in favour of the irrational and the fantastic.
In industrialized countries the progress of medicine has defeated a large majority of diseases and it is making man’s average life span longer while the growth of cultivation yields linked to the agricultural development in the second half of the last century has made food low-cost and widely available to everybody.
Yet it is exactly in the two main sectors of medicine and agriculture that we mainly witness the gradual foothold of emotional schools of thought that, devoid of any scientific foundations and magnified by, at times superficial and uncritical information, risk seriously damaging tomorrow’s society.
As for the first, the anti-vaccine campaign is an illuminating and disquieting example, while for the second the growing trend towards forms of “organic” agriculture is as worrying. The latter is considered a panacea able to solve, at the same time, the problem of world hunger and environmental sustainability.