Un’emergenza globale o un’opportunità?

di Marcello Pagliai
  • 01 April 2020

In questo periodo di grande preoccupazione ricorre sovente e talvolta in toni lugubri, sui social, giornali, radio e tv la domanda su quale sarà il nostro futuro, cosa cambierà, ecc. Purtroppo, questa nuova dolorosa emergenza non cancella, anzi si aggiunge a quelle che già avevamo, come ad esempio, tanto per citarne una che, non solo interagisce fortemente con l’attività agricola ma che, da più parti, si ritiene in qualche modo anche correlata con quello che ci sta succedendo: i cambiamenti climatici che hanno prodotto un’enorme variabilità delle precipitazioni con l'alternarsi di stagioni piovose concentrate in pochi giorni, con eventi catastrofici e stagioni secche che spesso sfociano in preoccupanti periodi di siccità.
Si calcola che le perdite economiche, dovute a questi cambiamenti, nei paesi dell’Unione Europea nel periodo 1980-2015 ammonti a oltre 400 miliardi di €, di cui 38% per le alluvioni, il 25% per le tempeste di vento, il 10% per la siccità, il 6% per le ondate di calore. Queste ultime hanno un notevole impatto sulla salute umana visto che causano il maggior numero di morti soprattutto fra i più vulnerabili (anziani).
Altra emergenza a livello planetario è la degradazione del suolo. Nel mondo ogni mezz’ora se ne perdono 500 ha per le cause più diverse (erosione, inquinamento, cementificazione, ecc.). I suoli sani sono essenziali per la produzione alimentare: il 95% del nostro cibo dipende dalla disponibilità di suolo fertile. Agricoltura e urbanizzazione competono per l’uso degli stessi suoli: tendenzialmente i terreni a più elevata potenzialità produttiva. Oggi oltre il 33% dei suoli mondiali è affetto da forti limitazioni per la produzione di alimenti e nei paesi industrializzati le terre da destinare all’agricoltura sono ormai limitatissime.
Eppure, se la popolazione continuerà a crescere al tasso attuale, entro il 2050 le previsioni dicono che dovremo produrre il 60% di cibo in più rispetto al livello attuale per poter sfamare i 10 miliardi di individui che popoleranno il pianeta. Ci sarà cibo per tutti? Mi ritornano in mente le appassionate parole del compianto grande scienziato, caro amico, Michele Stanca, quando affermava, nella veste anche di abile divulgatore, che dobbiamo dare da mangiare a questi 10 miliardi e questa è la sfida del futuro se abbiamo la capacità di mettere in atto una strategia sostenibile.
Attualmente, la popolazione mondiale spreca 1/3 di tutto il cibo prodotto che corrisponde a 1,3 miliardi di tonnellate che producono 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra, oltre al relativo danno economico.
Entro il 2050, oltre 140 milioni di persone dovranno migrare dal loro paese di origine per colpa delle conseguenze dei cambiamenti climatici e dei disastri ambientali correlati.
Questi dati sono ben conosciuti e gridati al mondo intero ma nessuno finora ha posto in atto progetti e azioni adeguate a invertire, in una prospettiva di lungo termine, questa tendenza. Se si continua così ci aspetta una decrescita tragica altro che felice!
Sui mezzi di comunicazione di massa cominciano ad apparire commenti sul fatto di un possibile rallentamento dell’inquinamento atmosferico ma è chiaro che i cambiamenti ambientali avvengono nel lungo termine quindi dobbiamo aspettare per avere dati attendibili. Una cosa però è certa, visto che si dice che dopo questa tempesta tutto non sarà come prima, occorre un nuovo paradigma, un nuovo modello di sviluppo per la produzione industriale, artigianale e agricola che trovi davvero la completa compatibilità fra la sostenibilità ambientale, economica e sociale, attualmente molto distanti tra loro. Occorrerà, quindi ripensare seriamente agli accordi sul clima,  fermare veramente il consumo di suolo, dedicarsi seriamente alla tutela della biodiversità e incentivare l’agricoltura sostenibile.
Questa emergenza ci ha fatto capire inoltre che occorrono investimenti nella sanità pubblica per non ritrovarsi in queste condizioni alla prossima avversità, oltre che investimenti nella scuola, in ricerca e cultura e nella corretta manutenzione del Paese, per non dover poi operare sempre con interventi di emergenza, peraltro più costosi di quelli preventivi.
Sostituire veramente l’economia tradizionale con quella circolare e così via.
Se davvero, quando questa pandemia sarà passata, saremo capaci di mettere in atto questo nuovo paradigma, vorrà dire che da questa tragedia abbiamo saputo cogliere un’opportunità.