Michele Psello e la sua "Laus vini" mille anni fa…

di Zeffiro Ciuffoletti
  • 10 October 2018
Esattamente mille anni fa nasceva Michele Psello (1018-1078), uno dei più grandi e fecondi studiosi alla corte di Bisanzio. A quel tempo, passato l’anno mille, Bisanzio era nel pieno di una rinascita culturale che accompagnava la evangelizzazione dei popoli slavi. Psello, dopo aver fatto il giudice nelle province più lontane (1042) fu richiamato a Costantinopoli, dove gli fu affidata la cattedra di Filosofia e poi entrò nella segreteria del Basilius. Fra le migliaia di cose che scrisse, una riguarda da vicino la nostra rivista intitolandosi in greco Encomio del vino, un libello ora riproposto dall’editore fiorentino Daniele Olschki a cura di Lucio Coco che lo ha tradotto (Firenze, 2018).
Questa piccola opera è, in realtà, preziosa perché dimostra come il vino, anche in epoche così lontane, nel pieno medioevo, costituisse una bevanda preziosa e “sacra” per il mondo cristiano insieme con il pane e l’olio. Lo spunto a scrivere l’Encomio del vino venne all’autore quando irruppe nella sua casa, all’ora di pranzo, un conoscente “né sgradevole nell’eloquio né astemio”. Naturalmente, sedutosi, fu invitato a “desinare anche lui” e gli fu versato un calice di un vino che era stato donato a Psello. Questo vino esaltò l’ospite che si mise addirittura a ballare. Poi chiese da dove venisse quel nettare di Zeus e di Semele. Psello rispose che gli era stato donato da un “signore amico, importante per dignità”, e che riteneva quel vino prezioso perché il Nostro, gli aveva curato un dente dolorante proprio mentre lo beveva.
Non a caso l’autore dedicò il suo Encomio del vino proprio all’amico che glielo aveva donato. Scrive infatti, Psello, che è sempre da lodare chi offre in dono del vino poiché il vino, che per gli epicurei era “la bevanda più dolce e più gradevole fra tutte”, per i cristiani rappresentava “il sangue divino nei mistici sacrifici, la purificazione dal peccato e la salvezza di tutto il cosmo”. Il vino fu il primo dono che Dio fece agli uomini dopo il diluvio universale anche per le sue proprietà terapeutiche. “Il vino – scrive Psello – è una cosa buona in ogni occasione per tutti: per chi è di buon umore è un amico dell’allegria; è buono per chi è sano per la conservazione della salute; è una consolazione per chi è depresso ed è una cura per chi è malato”. “Il vino – scrive ancora il dotto – rallegra il cuore, incita alla gratitudine, muove al canto, genera commozione e richiama le lacrime che rendono propizio Dio”.
La parte morale dell’Encomio non è meno interessante. Se alcuni lamentano i problemi dell’ubriachezza, dovrebbero riflettere sul fatto che se uno beve troppo la responsabilità non è da attribuirsi al vino. Qui Psello tocca la filosofia più profonda della cultura classica e cristiana: il senso della misura. Proprio quello che si è perso nel mondo attuale. “Non il vino deve essere rifiutato”, scrive Psello, quanto piuttosto “l’intemperanza, nella consapevolezza che per tutte le cose la migliore è la misura e la peggiore parimenti in tutto è sia l’eccesso che il difetto”. Meditate, ‘cristianuzzi’, meditate!

(L’articolo è stato pubblicato sulla rivista Oinos http://www.oinosviveredivino.it/)

Foto di apertura: Mescita di vino rosso, Tacuinum sanitatis casanatensis (XIV secolo)


Sotto: la copertina del libro edito da Olschki