Piante rampicanti e adattamento

di Andrea Bennici
  • 20 July 2011
Tra i molteplici adattamenti morfo-fisiologici delle piante all’ambiente, facilmente osservabili e, forse, per questo, poco considerati, sono quelli delle piante rampicanti. Questi adattamenti coinvolgono modificazioni di differenti parti vegetali (fusto, foglia, radice) e conseguenti cambiamenti anatomici interni. L’aspetto peculiare di queste piante è, a mio avviso, una esaltata capacità di movimento da parte di quell’organo o porzione della pianta la cui funzione è di facilitare la crescita su un determinato supporto. Il caso più comune è quello del movimento di circumnutazione nell’aria dell’estremità terminale del fusto per cercare il sostegno più vicino, oppure quello dei viticci (i quali possono essere fusti, foglie o infiorescenze modificati) sempre con lo scopo di aggrapparsi a un sostegno. Il meccanismo fisiologico di questi movimenti è ormai ben noto: si tratta di un accrescimento in lunghezza differenziale delle cellule  nei due lati opposti dell’organo stesso, controllato a sua volta da una diversa distribuizione dei regolatori di crescita o ormoni, quali l’auxina (IAA) e l’etilene, in modo che si abbia una curvatura  dell’organo (esempi classici il geotropismo positivo della radice e negativo del fusto e il fototropismo), il tutto come reazione a uno stimolo da contatto a livello delle cellule epidermiche (tigmotropismo positivo). In questo contesto, particolarmente eclatante mi sembra il comportamento dei rampicanti per mezzo di radici aeree come l’Hedera helix, il Parthenocissus quinquefolia e il Parthenocissus tricuspidata (la comune vite americana). Sebbene queste piante abbiano una modalità di accrescimento simile, aggrappandosi con radici avventizie su una superficie, particolarmente interessante mi sembra quello delle due specie di Parthenocissus menzionate il cui germoglio cresce sui muri intonacati grazie alla emissione lungo il fusto, in corrispondenza dei nodi, di radici fornite di “ventose” o meglio cuscinetti adesivi di colore bruno all’estremità. Queste radici, con le loro ramificazioni, sembrano simulare dei veri e propri “arti” con cui la pianta “cammina” sulla superficie del muro. Direi che in questo caso si è evoluto un tipo di crescita estremamente sofisticato in rapporto al segnale-stimolo rappresentato dal contatto o vicinanza di una particolare parete. Ritengo che siamo in presenza di un processo del tipo evoluzione-sviluppo (“evo-devo”) meritevole di approfondimenti scientifici fisiologico-molecolari, i quali, almeno da quanto ho potuto constatare, sono carenti nella letteratura esistente. Infatti, mentre numerosi sono gli studi sul geotropismo, soprattutto quello della radice, e sul fototropismo, molto poco si sa sul tigmotropismo in generale, e ancora meno sul modello di crescita tipo Parthenocissus, ad eccezione di un lavoro coreano a livello ultrastrutturale il quale evidenzia nei cuscinetti adesivi citati la formazione nelle cellule più esterne di sostanze ad azione collante e fenomeni di apoptosi.