La difficile convivenza fra agricoltura professionale e fauna selvatica

Sull'argomento si è svolto un convegno, organizzato dall’Accademia dei Georgofili - Sezione Centro Est, in collaborazione con Confagricoltura di Piacenza, tenutosi il 25 novembre u.s., che ha inteso evidenziare le gravi limitazioni alle produzioni agricole causate dalla fauna selvatica e la necessità di efficaci strategie di prevenzione dei danni

di Piero Cravedi e Michele Lodigiani
  • 07 December 2016
Le trasformazioni sociali ed economiche che si sono verificate dalla metà del secolo scorso hanno avuto importanti ed evidenti effetti sull’ambiente e sulla composizione della fauna selvatica che è in continua crescita, come si può dedurre dagli ingenti danni subiti dall’agricoltura e dall’aumento degli incidenti stradali.
Alcune specie di ungulati, in particolare il cinghiale e il capriolo, da secoli scomparsi in gran parte d’Italia, sono ora presenti in buona parte dell’Italia.  A essi si aggiungono specie da sempre presenti, quale la lepre,  e altre, introdotte da altri continenti, quali la nutria e la minilepre. La situazione faunistica appare dunque complessivamente ancora in evoluzione  e con crescenti rapporti conflittuali con l’agricoltura, particolarmente quella più specializzata.

Gli ungulati
Ponendo attenzione alla  presenza della fauna selvatica nelle aree agricole dell’area occidentale dell’Emilia Romagna si evidenzia l’aumento continuo delle popolazioni di capriolo, pur con un certo ritardo rispetto alle zone orientali della Regione. 
In provincia di Piacenza negli ultimo 30 anni la popolazione si è quintuplicata.
In collina la coltura che corre i maggiori rischi è la vite. Nella parte più alta dell’Appennino si teme invece per le ripercussioni che ci possono essere  sul rinnovamento dei boschi cedui. 
La presenza del capriolo è però ormai stabile anche in diverse aree della pianura ove si moltiplicano le segnalazioni di danni alle colture. 
La situazione è comune a buona parte dell’Italia in cui si stima che dal 1980 a oggi la popolazione sia aumentata di circa il 450%. 
Il cinghiale, di cui è più difficile stimare la consistenza, è comunque considerevolmente aumentato negli ultimi decenni ed è il principale responsabile dei danni accertati. 
L’azione distruttiva su varie colture sono da tempo conosciuti per le zone appenniniche, ma ora  il cinghiale è stabilmente presente in pianura in aree intensamente urbanizzate.
Cinghiale e capriolo sono causa di preoccupazione per i frequenti incidenti stradali in cui sono coinvolti. 
I rischi sono elevati su strade con intenso traffico, quali la tangenziale di Piacenza e la via Emilia. Su tratti stradali a maggior rischio sono stati collocati cartelli più visibili e dissuasori che, attivati dai fari emettono luce e ultrasuoni se gli ungulati si avvicinano. Nelle province di Piacenza, Reggio Emilia è Modena è scaricabile gratis una APP che avvisa il guidatore quando entra in un tratto di strada in cui sono elevati i rischi di collisione con la fauna selvatica. 
Circa l’80% degli animali uccisi o feriti sulle strade sono caprioli.  Gli incidenti presentano una accertata periodicità in dipendenza della biologia della specie. Il periodo di massima mobilità  dei caprioli è la stagione degli accoppiamenti, che va  da marzo a maggio,  in cui i maschi si spostano, particolarmente all’alba, al tramonto e nelle ore notturne.
Altri cervidi sono presenti.  Sono note popolazioni di cervo,  localizzate in zone collinari. La consistenza attuale  nella provincia di Piacenza è stimata in circa 600 esemplari, ma si ritiene che sia la consistenza sia l’ area di distribuzione del cervo possano rapidamente aumentare.  Ampi territori presentano condizioni favorevoli all’insediamento ed è facile prevedere che avvenga quanto avvenuto negli anni scorsi in altre province emiliane in cui, da qualche anno, sono autorizzati abbattimenti selettivi del cervo per gestire  popolazioni ormai piuttosto numerose. 
Discorso particolare riguarda il daino, specie non originaria, con distribuzione frammentata  per introduzioni localizzate. La sua importanza per l’agricoltura è attualmente limitata. 

La lepre
In particolari circostanze sono segnalati danni da lepre. Pioppelle e piantine di fruttiferi nei primi anni di impianto possono subire gravi erosioni della corteccia che  compromettono la futura produttività. Sono segnalati anche danni a colture quali le orticole e le coltivazioni di angurie e meloni.
Per qualche anno si è constatato la diminuzione numerica delle lepri nella pianura piacentina, ma recentemente viene segnalata una  ripresa.
La lepre appartiene all’ordine dei Lagomorfi e provoca con i suoi incisivi erosioni molto caratteristiche che devono essere conosciute per la corretta attribuzione del danno. 
I mezzi di prevenzione sono certamente importanti, purtroppo non sono sempre sufficientemente efficaci.

La nutria
Le specie sopra ricordate hanno anche un rilevante interesse venatorio. Diversa è la situazione della  nutria, roditore esotico invasivo responsabile di importanti danni sia all’agricoltura, sa alle infrastrutture quali gli argini di fiumi e canali, strade interpoderali di cui può provocare il cedimento. Una norma europea recentemente emanata ha come obiettivo la sua eradicazione.  La nutria ha un elevato potenziale riproduttivo ed è priva di predatori specifici per cui negli anni le sue popolazioni hanno enormemente ampliato il loro areale di distribuzione 
con densità elevate. Gli attuali orientamenti per l’eradicazione in Italia appaiono piuttosto tardivi per risolvere un problema che troppo a lungo è stato trascurato.

Gli uccelli
Una posizione particolare ha lo storno, classificato come specie protetta, ma che in Italia si trova molto abbondante e dannoso a varie coltivazioni. 
Altre specie protette sono i picchi, che però qualche volta perforano gli impianti di irrigazione a goccia determinando problematiche di difficile soluzione.
Ben noti sono poi i danni provocati dai columbidi , dai corvidi e dai passeri.
Localizzati nella zona più orientale della regione si hanno danni importanti provocati da uccelli acquatici e da ittiofagi.
Nelle zone umide prossime alla riviera Adriatica vengono segnalate vere e proprie invasioni di oche selvatiche che si alimentano nei seminativi. Le oche sono specie migratrici non cacciabili in Italia; sono però  oggetto di turismo da parte di cacciatori italiani che si recano  in altri Paesi per intercettare le stesse oche nei loro spostamenti migratori. Molte situazioni risultano di difficile comprensione in un quadro europeo.
Ben  noti e rilevanti sono poi i danni provocati dai cormorani agli allevamenti ittici.

La ricerca di una soluzione
La convivenza fra fauna selvatica e agricoltura è diventata sempre difficile e rende attuali le problematiche connesse alla quantificazione dei danni e la determinazione dell’indennizzo.
A seconda dell’area interessata, la responsabilità dell’indennizzo  è a cura della Regione oppure dell’Ambito Territoriale di Caccia (ATC). Il criterio di base consiste nel preferire il finanziamento di mezzi di prevenzione rispetto all’indennizzo dei danni che si sono verificati. Va tuttavia riconosciuto che non sempre sono disponibili mezzi efficaci e di agevole applicazione.
Una delle maggiori difficoltà alla soluzione equilibrata della complessa situazione consiste nella conflittualità tra il mondo dell’agricoltura, quello ambientalista e quello venatorio. 
Anche la normativa in vigore risente della sovrapposizione di competenza che afferiscono in parte al Ministero dell’Agricoltura e in parte a  quello dell’Ambiente.
Nel recente incontro che si è tenuto a Piacenza il 25 novembre scorso, l’Assessore all’agricoltura caccia e pesca Simona Castelli ha sottolineato che spesso esistono posizioni conflittuali fra le parti interessate che ostacolano la soluzione dei problemi evidenziati dal mondo agricolo.                                     
In Emilia -Romagna è in fase di completamento il piano faunistico che fisserà obiettivi chiari. Sarà poi indispensabile riformare la pianificazione delle azioni di gestione per ottenere i risultati previsti e attenuare i conflitti tra esigenze produttive e tutela dell’ambiente.