La rintracciabilità dell’origine dei prodotti di origine animale

di Dario Cianci
  • 23 November 2016
Nell’ottica della globalizzazione del mercato, per mantenere la propria competitività il prodotto di origine animale di qualità deve essere conosciuto e valorizzato nei suoi valori nutrizionali e nella tipicità. Da qui la necessità della rintracciabilità sentita da produttori, trasformatori, distributori e, soprattutto, consumatori. Le metodologie oggi adottate per la difesa dei marchi di protezione prevedono, come abbiamo visto, sistemi informatizzati e a livello cartaceo (etichettature). La verifica della veridicità delle dichiarazioni riportate in etichetta non è sempre agevole per la possibilità di interferire sulla filiera con deviazioni colpose o dolose non sempre evidenziabili. Le informazioni molecolari offrono la possibilità di rintracciare il prodotto in ciascun passaggio della filiera di produzione, trasformazione e commercializzazione, con ricadute sociali, culturali (conservazione di tradizioni), ecologiche (conservazione e valorizzazione del territorio), biologiche e genetiche (conservazione del pool genico a disposizione del miglioramento genetico). Le metodologie genomiche si prestano bene allo sviluppo di sistemi di rintracciabilità da matrici biologiche, perché permettono di risalire dal prodotto al soggetto e/o alla sua razza e ad identificare il legame, scientificamente giustificato, tra le proprietà nutrizionali ed organolettiche dei prodotti con il luogo e le modalità di allevamento. 
Concettualmente è possibile distinguere due diversi approcci di assegnazione di un soggetto alla razza di origine mediante marcatori molecolari: un approccio deterministico, basato sulla ricerca di polimorfismi specifici di una determinata razza ed un approccio probabilistico basato sul calcolo di parametri di distanza genetica e/o, a partire dai valori delle frequenze alleliche, dei valori di likelihood (probabilità) dei genotipi multilocus da attribuire. 
L’assegnazione di un individuo ad una popolazione sulla base di informazioni molecolari è oggetto di studio da oltre un ventennio; le metodiche sono state da noi applicate con successo alle specie di interesse zootecnico su diverse razze europee ed extraeuropee e ben si prestano allo sviluppo di sistemi di tracciabilità molecolare della carne. Il lavoro è un buon passo per ottimizzare il panel di marcatori genomici da adottare per la costruzione del profilo genomico, per migliorare la potenza statistica di assegnazione e per creare archivi genomici delle popolazioni animali. Per facilitare sempre più il lavoro è in atto la ricerca di nuovi single nucleotide polymorphisms (SNP) responsabili di cambiamenti nella sequenza aminoacidica e di alleli privati (specifici di razza) di caratteri fisio-produttivi o del major histocompatibility complex. L’identificazione di SNP si basa principalmente sul sequenziamento diretto o sulla cromatografia liquida denaturante ad alta prestazione (DHPLC). I progetti di sequenziamento genomico forniscono validi strumenti alternativi per identificare SNP in modo più conveniente e rapido, mediante analisi computazionale (in silico), sfruttando la ridondanza delle sequenze presenti nei database. 
Nelle specie di interesse zootecnico, tuttavia, la disponibilità di una minore quantità di informazione relativa alle sequenze genomiche, rende particolarmente attraente l’utilizzazione di EST (expressed sequence tags), generate al fine di realizzare analisi di espressione mediante uso di DNA microarrays. Questa nuova tecnologia di analisi genomica ha facilitato la creazione di mappe genetiche e fisiche e consentito di individuare numerosi QTL (quantitative trait loci) o di identificare geni associati a caratteri mendeliani o a caratteri quantitativi. 
Aspettative sono riposte nella genomica funzionale per decifrare il significato biologico delle informazioni genomiche in modo sistematico per tutti i geni presenti in un genoma e non più per un singolo gene alla volta. Altri tentativi sono sviluppati con la ricerca di alleli privati ad esempio geni di pigmentazione del mantello che nei bovini è un carattere di razza; i geni che lo controllano possono rappresentare marker per la discriminazione razziale.
Per le carni la metodologia genomica (in grado di individuare alleli, genotipi, aplotipi, proteine e loro isoforme, esclusivi di un dato tipo genetico) applicata all’identificazione ed al controllo dell’origine razzologica, è in grado di garantirne la provenienza basandosi sulla tipizzazione di marcatori genetici in tessuti o tagli prelevati ai diversi livelli della filiera produttiva e distributiva. La rintracciabilità di razza non dà notizie sull’allevamento di origine, ma è meno complessa nella gestione rispetto alla rintracciabilità individuale che necessità di una doppia campionatura ed analisi (carne in vendita e soggetto donatore premacellazione). Per le carni il lavoro è ben avviato con programmi di attività mirati a creare  l’archivio genomico necessario per la rintracciabilità di razza.
Per il latte ed i prodotti caseari le metodologie di riconoscibilità genomica sono più complesse perché i prodotti commercializzati sono ottenuti da latte di massa, cioè mescolando il risultato della mungitura di molti soggetti, spesso di razze diverse, con ciò creando un intreccio di genotipi individuali non distinguibili. Il controllo genomico del latte e delle produzioni casearie tipiche è possibile solo su prodotti monorazza con alleli razza-specifici. Anche i trasformati del latte prodotti con tecnologia artigianale (latte crudo e senza aggiunta di starter) sono caratterizzabili con metodologie molecolari, perché gli ecosistemi naturali ospitano microflore lattiche e comunità microbiche autoctone (lieviti e muffe, batteri lattici) risultanti da selezione ambientale (luogo di lavorazione) che portano alla costituzione di nicchie ecologiche distinte riconducibili alla matrice di provenienza e formano biocenosi proprie di ciascun ambiente ecologico e tecnologico.