La pasta: ieri ed oggi

L’autore è il Delegato di Pisa dell'Accademia Italiana della Cucina, organizzatrice del convegno, che si svolgerà a Pisa sabato 26 novembre 2016, assieme alla sezione di centro–ovest dell’Accademia dei Georgofili

di Franco Milli
  • 16 November 2016
Le prime forme di alimentazione umana, consolidatesi con l’avvento dell’agricoltura circa 9.000 anni fa, furono poltiglie crude di semi, legumi e cereali, pestati grossolanamente; successivamente
frantumati e macinati produssero una polvere, la farina, che mescolata ad acqua, dette luogo ad un impasto (dal greco pástë, letteralmente “farina mista a un liquido”) atto ad essere cotto tra due pietre roventi o in forni primordiali. Progenitore della pasta, diffuso in svariate aree del continente eurasiatico, sviluppatosi in maniera parallela, indipendente e diversificata pertanto definibile un cibo dell’umanità.
Le paste “fresche” si affermano nella civiltà persiana e, soprattutto,in quella greca e nel 5° secolo a.C. Aristofane descrive un tipo di pasta simile agli attuali ravioli.
Attrezzi di cucina per la produzione degli stessi si sono trovati in una tomba etrusca a Cerveteri.
I Romani, Orazio, Terenzio Varrone e poi Apicio, citano nelle loro opere le lagane, strisce di pasta cotte al forno con farciture a base di verdure.
Non abbiamo più notizie documentate della pasta fino all’anno mille quando gli Arabi riproposero nel Mediterraneo e in Sicilia l’uso della pasta in una nuova versione “secca” a più lunga conservazione, ottenuta evaporando l’acqua al termine della preparazione.
Le pianure siciliane producevano grandi quantità di grano e di cereali, il gran numero di mulini presenti consentivano una produzione abbondante da distribuire nel Mediterraneo, sia musulmano che cristiano. In particolare i mercanti liguri diffusero la pasta in tutta Italia ed i trattati gastronomici del Trecento e Quattrocento parlano di ricette di tria (pasta) come “genovesi. Ai primi del ‘300 la pasta secca era ormai diffusa in tutta l’Italia del centronord, come attesta
un documento del 1284, conservato all’Archivio di stato di Pisa, nel quale si dà notizia della vendita di “vermicelli”.
Nel Medioevo furono definite per la pasta varie forme, anche forate o ripiene, ed iniziò la consuetudine di bollire la pasta nell’acqua, nel brodo e talvolta nel latte; il costo elevato però frenava il consumo tra le classi povere.
Nella prima metà del Seicento si insediarono nell’area napoletana numerosi pastifici e quando gli Spagnoli introdussero i pomodori dal Nuovo Mondo scoppiò l’amore “quasi” a prima vista tra pomodori e pasta che divennero il piatto base per le popolazioni di umili condizioni per il costo nel frattempo diminuito. L’area napoletana superò rapidamente, per produzione e consumi, quella siciliana.
La modifica “napoletana” della forchetta nella struttura a 4 rebbi sostituì le mani nel portare il cibo alla bocca, “sdoganando” l’uso della pasta negli ambienti nobiliari.
Negli anni successivi la tecnologia ha costantemente migliorato la produzione della pasta, restando la tradizione pastaia solidamente italiana. Restiamo i maggiori consumatori di pasta, ed il paradigma alimentare della Cucina Borghese Italiana (anno di nascita convenzionale: 1861), sancito dal prof. Artusi, prevede sempre il “primo”, pasta o riso, portata che non compare in nessun’altro modello gastronomico, e che identifica tuttora la Cucina Italiana in
tutto il mondo. I profondi cambiamenti che oggi interessano il concetto di famiglia e l’importanza delle tradizioni trasformano le regole dell’alimentazione. Si affermano le paste preparate, precotte, surgelate anche in monoporzioni e nuovi luoghi del mangiare.