Come ricostruire una copertura forestale nei terrazzamenti agricoli abbandonati in Liguria?

di Silvia Olivari*, Edoardo A.C. Costantini
  • 01 October 2025

I terreni agricoli sostenuti da muri di pietra a secco sono l’impronta più diffusa e persistente della secolare coltivazione dei versanti montuosi in Liguria. Terra a scarsa vocazione agricola per l’accidentata morfologia, la Liguria ha obbligato la popolazione a ottenere dal mare il guadagno e dal gradonamento dei versanti disboscati le superfici piane, assenti in natura, dove potere coltivare ulivo, vite ed ortaggi. Quando tempo e manodopera erano risorse a basso costo e comunemente disponibili, scavare e riportare la terra, sollevare e giustapporre i sassi, raggiungere a piedi per coltivare manualmente il terreno consentivano un reddito integrativo ai ricavi della pesca e del trasporto marittimo, tale da valorizzare la proprietà agricola, per quanto piccola fosse. Dopo l’ultimo conflitto mondiale, il processo di abbandono delle zone più svantaggiate e meno produttive è stato tanto rapido quanto diffuso, tale da motivare iniziative, tra cui la valorizzazione delle produzioni locali e del paesaggio storico rurale, per limitare le conseguenze dello spopolamento e del dissesto idrogeologico: leggi forestali regionali sul vincolo per scopi idrogeologici facilitano dal 1984 la ricostruzione dei muri a secco e la rimessa a coltura, i programmi di sviluppo rurale contengono misure dedicate alla manutenzione dei muri a secco e di incentivazione dell’agricoltura tradizionale, l’istituzione del Parco nazionale delle Cinque terre è finalizzata anche alla conservazione del paesaggio agricolo terrazzato, il Registro nazionale dei paesaggi rurali storici ne promuove mantenimento e recupero.
Valutazioni dirette e studi scientifici hanno evidenziato la funzionalità dei sistemi di drenaggio e di sostegno propria dei muri di pietra a secco per garantire la stabilità dei terreni terrazzati e come la mancata o scarsa manutenzione favorisca i fenomeni gravitativi e l’erosione del suolo, soprattutto nelle prime fasi di abbandono e durante gli eventi meteorici intensi. E’ noto infatti che l’interruzione delle pratiche agricole, e quindi della manutenzione delle opere di sostegno ai muretti e di regimazione delle acque, unita all’esposizione agli agenti esterni del suolo lasciato nudo, provochi la brusca rottura degli equilibri forzatamente creati e a lungo mantenuti e mobilizzi gli accumuli di suolo e le coltri detritiche trattenuti dai terrazzamenti. Dove manca l’interesse economico a conservare i coltivi e a ripristinare i terrazzamenti, il suolo acquisirà, nei tempi e nei modi possibili, nuove forme e condizioni di equilibrio, indipendenti dalla mano dell’uomo. Tuttavia, il processo di rinaturalizzazione, conseguente al trauma dell’abbandono, improvviso e duraturo, delle pratiche agricole, può nel suo libero divenire interferire con l’uso del territorio e minacciare la sicurezza dei centri abitati e delle infrastrutture, soprattutto nelle prime fasi, più critiche e instabili, e in occasione di forti piogge.   
Perché allora, invece di abbandonare a se stessi gli incolti esclusi dalla rimessa a coltura, non facilitare la ricostituzione di un soprassuolo forestale capace di proteggere i suoli dei terrazzamenti e di stabilizzare le coltri detritiche, rendendole meno esposte ai fattori del dissesto, così da mitigare il rischio alluvionale e la franosità dei bacini montani?
Come il recupero e la valorizzazione dell’agricoltura tradizionale assicura l’efficace presidio del territorio nelle aree di maggiore valore produttivo o paesaggistico, agire in favore della ricostituzione del soprassuolo forestale nei terreni agricoli in abbandono può ridurre il dissesto idrogeologico e dotare i versanti di ecosistemi più stabili. Per le stesse ragioni, andrebbero evitate le iniziative estemporanee di rimessa a coltura di aree boscate che abbiano raggiunto condizioni di stabilità: decontestualizzate dal territorio perché sostenute solo dai contributi, contrasteranno con il paesaggio e in quanto prive di prospettive a lungo termine andranno a loro volta ad incrementare il dissesto.
Al fine di non esporre i terreni non più accuditi all’improvvisa e traumatica rottura degli equilibri artificiali ed alla lenta ricostituzione di quelli naturali, è prioritario individuare i modelli più idonei ed efficaci, ricavati dalla analisi evolutiva della trasformazione spontanea degli ex coltivi in soprassuoli forestali che ne migliorino le condizioni di stabilità, cui riferirsi per progettare, sperimentare e adottare iniziative utili a raggiungere in breve i risultati voluti. Soprattutto nelle zone più sensibili ed a maggior rischio si renderà necessario individuare le specie e le formazioni vegetali che possano affrancarsi spontaneamente a breve, senza appesantire i terreni. E’ anche importante dotare preventivamente le testate dei muri di semplici accorgimenti che ostacolino lo scalzamento delle pietre da parte dei cinghiali, presenti ovunque in numero elevato.
Persistenza del fogliame, diffusione e profondità degli apparati radicali, accrescimento e peso della massa legnosa, grado di copertura, capacità e rapidità riproduttiva, anche successiva a eventuali incendi, proprietà repellenti di essenze vegetali nei confronti degli ungulati selvatici, resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici in corso, reperimento e riproduzione delle specie selezionate sono le valutazioni iniziali per indirizzare la rinaturalizzazione dei terrazzamenti privati delle pratiche agricole, affinché acquisiscano al più presto una stabilità indipendente dalla manutenzione e con minori conseguenze per l’uomo, rispetto a quella ottenuta con il loro totale abbandono.
Per la scelta e il dimensionamento degli interventi sarebbe necessario realizzare delle linee guida, o magari un sistema di supporto alle decisioni, che consideri l’elevata diversità di condizioni edafiche. Anche l’allestimento di aree dimostrative sarebbe molto utile. Gli interventi dovrebbero privilegiare la selezione delle specie arbustive della macchia mediterranea e limitare la diffusione delle specie invasive, favorite dalla fertilità accumulata nei suoli degli ex-coltivi. Gli imboschimenti dovrebbero essere limitati e in ogni caso realizzati curando di minimizzare l’impatto sul suolo degli interventi meccanici.

*Geologa, Colonnello in congedo del ruolo Forestale dell’Arma dei Carabinieri