Dialoghi sul Verde: "Progettare e gestire un Dry Garden”

Dialogo con Camilla Zanarotti, landscape designer, e Simone Caratozzolo, giardiniere paesaggista

di Nicoletta Ferrucci, Camilla Zanarotti, Simone Caratozzolo
  • 24 September 2025

Ferrucci: Nella recente politica climatico-ambientale internazionale e dell’Unione Europea si registra una forte sollecitazione diretta anche a chi opera nel settore del verde, ad operare scelte gestionali funzionali al risparmio delle risorse idriche. Il Dry garden potrebbe fungere da modello da seguire in questa direzione?

Zanarotti: È ormai nella coscienza di tutti quanto l’acqua sia un bene prezioso, da utilizzare con parsimonia e rispetto. Questo ha portato a una maggiore consapevolezza anche nell’ambito della progettazione del verde, dal giardino privato alle sistemazioni paesaggistiche su più larga scala, evitando spreco e dispendio idrico. Il concetto di base è quello di ottimizzare le risorse idriche disponibili, partendo già in fase progettuale, evitando di prevedere l’utilizzo di specie che richiedano un eccessivo apporto idrico rispetto alla zona geografica in cui andranno piantate e utilizzando tutte le pratiche agronomiche idonee al risparmio idrico. Questo assunto iniziale non è però sufficiente, in special modo in un paese come il nostro in cui le variazioni climatiche e pedologiche variano anche in territori posti a breve distanza geografica l’uno dall’altro, se non addirittura all’interno dello stesso areale: è sufficiente un cambio di esposizione di versante, o una pendenza più o meno accentuata per modificare sostanzialmente la situazione per lo sviluppo delle stesse specie.

Ferrucci: Il termine Dry garden si presta, nel comune sentire, a letture fuorvianti. Ma qual è la sua accezione corretta?

Zanarotti: Generalmente si rischia di associare il concetto di Dry garden a ‘giardino senz’acqua’ ma va chiarito che questo non è realistico: qualsiasi pianta ha una sua propria necessità di apporto idrico e sta nel progettista conoscere esattamente questa esigenza per scegliere la pianta giusta per il posto giusto e piantandola ‘nel modo giusto’.  Questo significa che è necessaria una profonda conoscenza sia a livello botanico che a livello agronomico perché entrambe le conoscenze sono inscindibili. La palette di specie a cui si può attingere, generalmente proveniente da zone geografiche del mondo che vengono assimilate al clima mediterraneo, quali quelle del sud Africa o dell’America centrale, che però spesso hanno esigenze pedologiche molto differenti, per esempio legate al pH del terreno. È chiaro che non è possibile coltivare con successo piante che crescono in terreni a pH basso in quelli alcalini, anche se tutte le altre condizioni climatiche e di disponibilità idrica sono simili e favorevoli.  Nello stesso tempo un dry garden realizzato nella Pianura padana o in zona appenninica dovrà tenere conto della eventualità di basse temperature invernali e/o ristagni idrici rispetto ad un giardino realizzato nel Centro o Sud Italia. In questo caso può giocare un ruolo importante saper riconoscere i microclimi che si possono creare grazie a particolari esposizioni, come per esempio versanti esposti a sud e/o protezioni naturali o artificiali, che creano barriere a venti freddi, o l’utilizzo di piante ‘mediterranee’ con buona resistenza alle basse temperature. 

Ferrucci: Quali possono essere esempi di piante più idonee ad essere inserite in un dry garden?

Zanarotti: A causa del cambiamento climatico siamo in una fase di modificazioni veloci in cui il paesaggista è messo quotidianamente alla prova e deve crearsi in continuazione nuovi riferimenti perché le conoscenze ereditate dal passato non sono più sufficienti. Piante caratteristiche dei nostri giardini, quali ad esempio rose e ortensie, a parte alcuni umidi giardini del nord, cominciano a dare grandi segni di sofferenza, soprattutto per le alte temperature che si protraggono per periodi sempre più lunghi. La stessa problematica viene riscontrata nei paesi del nord Europa dove lo sconvolgimento climatico è altrettanto percepibile e in alcuni casi drammatico perché questi paesi spesso non sono ancora attrezzati con impianti di irrigazione adeguati.
Già in passato alcuni botanici e/o appassionati avevano cominciato a importare, testare e diffondere la conoscenza di piante che potessero essere in grado di far fronte a lunghi periodi senz’acqua e che oltre alla resistenza e capacità di adattamento possedessero allo stesso tempo un valore ‘ornamentale’, comunque necessario e richiesto per la realizzazione di un parco o giardino. Tra i primi giardini di acclimatazione dobbiamo menzionare i Giardini Hanbury, nei pressi di Ventimiglia, dove dalla seconda metà dell’ ‘800 vennero inserite collezioni di piante sudafricane, australiane e americane per testarne la resistenza.

Caratozzolo: Nella scelta di specie  efficaci, sarà necessario saper riconoscere  tutte quelle che presentino strutture morfologiche  e fisiologiche di adattamento volte alla conservazione dell’acqua all’interno dei propri tessuti:  alcune concentrano liquidi a livello radicale o nella prima porzione del fusto al di sotto del suolo, sviluppando radici carnose, rizomi, bulbi o caudici; altre invece prevalentemente nel fusto, come ad esempio fanno le cactacee  e molte euphorbiacee succulente; altre ancora nel fogliame, come ad esempio le crassulacee. Molte piante aromatiche e di gariga sviluppano foglie glauche, di ridotta dimensione, cuoiose, tomentose, resinose, aghiformi, se non la combinazione di più tratti insieme, tutte caratteristiche volte a proteggersi da lunghi mesi di forte insolazione e con scarse precipitazioni. Anche l’estivazione vera e propria è una strategia estrema di sopravvivenza, durante la quale avviene una vera e propria fase di dormienza in cui la parte aerea della vegetazione può scomparire del tutto nei mesi estivi: un esempio classico ne è l’Euphorbia dendroides, presente sulle coste mediterranee. la cui stagione vegetativa è quella invernale mentre d’estate manifesta la perdita completa delle foglie.  Sapersi difendere dal vento in aree poco protette è altrettanto importante per contrastare la disidratazione, per questo motivo alcune piante sviluppano fogliame estremamente rigido (come, ad esempio, le agavi) oppure esattamente al contrario, fogliame resistente ma molto elastico e una struttura fondamentalmente “vuota” (come nei dasylirion e molte yucche).   Il portamento basso e compatto di piccoli arbusti è un’altra strategia di difesa dal vento ed è anche atta a ombreggiare il suolo dall’insolazione, abbassandone così la temperatura e mantenendone un discreto livello di umidità. È fondamentale che il giardiniere sappia mettere a dimora ciascuna specie nel momento e della dimensione opportuna e che la fase di adattamento al giardino sia graduale. Se l’estate in un clima mediterraneo può essere torrida e caratterizzata da lunghi periodi di siccità, per contro i mesi invernali possono essere caratterizzati da freddo intenso, abbondanti precipitazioni e in alcuni casi nevicate, per questo motivo è di importanza vitale conoscere sia la rusticità delle piante che vogliamo utilizzare, e in particolar modo la loro tolleranza all’umidità prolungata, che le caratteristiche climatiche del territorio e capacità drenante del terreno.  Biodiversità e overplanting contribuiscono sensibilmente alla buona riuscita di un giardino, conferendo movimento, alternanza delle fioriture, controllo dei parassiti, reciproco sostegno idrico e notevole abbassamento della temperatura del suolo.

Ferrucci: Esiste una letteratura scientifica che possa supportare la creazione e la gestione di un Dry garden?

Zanarotti: Nella seconda metà del secolo scorso vi sono stati alcuni pionieri e, in particolare, in prima fila vi sono state due donne: Ruth Bancroft, ideatrice del Ruth Bancroft Garden in California, e Beth Chatto a sua volta creatrice di un poliedrico giardino nell'Essex, in Inghilterra. Quest’ultima già nel 1978 pubblicava un libro dal titolo The Dry Garden e il suo Gravel Garden, un giardino creato nel ghiaino, quindi con un ottimo sistema di drenaggio naturale, è un riferimento per chiunque si avvicini alla progettazione di giardini a basso consumo idrico. Se il disegno e la scelta delle piante nel giardino di Beth Chatto strizzano l’occhio a un gusto da mixed border inglese, il giardino di Ruth Bancroft stravolge i canoni abituali dell’estetica del giardino tradizionale utilizzando agavi, aloe, cactus, yucche, dasylirion e una profusione di piante native della California che si sono ambientate perfettamente nel suo giardino.
In tempi più recenti sono stati illuminanti, anche per un pubblico più vasto di appassionati giardinieri, ma sempre ricco di preziose informazioni anche per quello più ristretto degli ‘addetti ai lavori’, gli studi e i libri di Olivier Filippi, botanico e vivaista con base e giardino sperimentale nel sud della Francia. La diffusione di queste nuove conoscenze sta inevitabilmente e necessariamente modificando anche la percezione del valore ornamentale, soprattutto nelle realizzazioni di parchi e aree di verde urbano, abituando il pubblico a un nuovo gusto: ecco quindi che una profusione di arbusti, suffrutici e piante a fogliami grigi, tipici dell’ambiente mediterraneo, graminacee e fioriture spontanee di prati aridi sono entrate prepotentemente a far parte della componente vegetale delle nuove realizzazioni.