Svelare la complessità dei biostimolanti: dalla ricerca alla pratica agronomica

di Petronia Carillo e Antonio Ferrante
  • 10 September 2025

Negli ultimi anni il dibattito scientifico internazionale ha portato al centro dell’attenzione un tema cruciale per aumentare la sostenibilità dei sistemi colturali: i biostimolanti. Questi prodotti, già usati empiricamente dagli agricoltori per migliorare la salute delle colture, rappresentano oggi una delle frontiere più promettenti dell’innovazione agronomica. La loro crescente diffusione, tuttavia, è accompagnata da domande irrisolte su come funzionano, quanto siano efficaci e come possano essere regolamentati in modo uniforme a livello globale. L’articolo “Unlocking the Black Box of Plant Biostimulants” pubblicato su Scientia Horticulturae (https://doi.org/10.1016/j.scienta.2025.114281) ha sintetizzato i principali progressi scientifici e le sfide ancora aperte, offrendo una visione aggiornata e condivisa su questo tema complesso.
I biostimolanti non devono essere confusi con fertilizzanti, fitoregolatori o agrofarmaci. A differenza di questi ultimi, non agiscono direttamente come apportatori di nutrienti o come mezzi di difesa, ma stimolano i processi fisiologici naturali delle piante. Migliorano l’efficienza d’uso di nutrienti e acqua, rafforzano i meccanismi di tolleranza a stress come siccità, salinità o alte temperature e contribuiscono a stabilizzare qualità e resa delle produzioni nel tempo. Il loro effetto può essere sottile e indiretto, e spesso non si traduce in un immediato aumento della biomassa, ma prepara la pianta a reagire meglio a condizioni avverse, riducendo le perdite di produzione e migliorando la qualità finale del raccolto.
La valutazione dell’efficacia richiede quindi nuovi approcci. Limitarsi a misurare la resa non basta a catturare il valore di questi prodotti. Indicatori fisiologici e biochimici, come l’efficienza fotosintetica, la modulazione degli ormoni vegetali, l’accumulo di osmoprotettori o l’attività antiossidante, sono parametri più sensibili e utili per comprendere l’azione dei biostimolanti e ottimizzarne l’impiego in campo.
L’Unione Europea, con il Regolamento n. 2019/1009, ha introdotto per la prima volta una definizione chiara di biostimolante e protocolli di valutazione standardizzati. Tuttavia, a livello internazionale permangono differenze sostanziali tra Paesi, con regole spesso frammentarie che rendono difficile armonizzare ricerca, produzione e commercializzazione. Inoltre, non sempre è obbligatorio dimostrare i meccanismi biologici alla base dell’efficacia, lasciando spazio a prodotti poco supportati da dati scientifici.
La ricerca più avanzata sta facendo luce su questi meccanismi. Tecniche di metabolomica, genomica e microbiologia del suolo hanno mostrato che i biostimolanti non agiscono in modo univoco, ma attraverso reti di interazioni complesse tra pianta, suolo e microbioma. Possono modulare l’espressione genica, influenzare la distribuzione delle risorse nella pianta, migliorare l’assorbimento dei nutrienti e favorire la simbiosi con microrganismi benefici. Comprendere queste dinamiche è essenziale per sviluppare prodotti più mirati e strategie di applicazione più efficaci.
L’introduzione dei biostimolanti richiede anche un cambio di paradigma agronomico. Da un’agricoltura di “controllo”, basata sull’aggiunta di mezzi tecnici per correggere carenze o problemi, si deve passare a un’agricoltura di “priming”, che lavora per rafforzare la resilienza biologica delle piante e l’equilibrio del suolo. In questo nuovo modello, i biostimolanti diventano strumenti di intelligenza agronomica, da utilizzare in combinazione con irrigazione di precisione, fertilizzazione mirata, gestione del microbioma e pratiche rigenerative del suolo.
Affinché i biostimolanti possano diventare un pilastro stabile della transizione ecologica, è indispensabile consolidarne la base scientifica e migliorare la comunicazione verso il mondo produttivo. Agricoltori e tecnici devono poter distinguere prodotti validi da soluzioni inefficaci, comprendendo non solo se un biostimolante funziona, ma come e quando è più opportuno utilizzarlo.
La sfida, come sottolineato dall’articolo su Scientia Horticulturae, è quindi “decifrare la scatola nera” dei biostimolanti: passare da un uso basato sulla fiducia o sull’esperienza a un impiego guidato dalla scienza, capace di garantire risultati misurabili e sostenibili. Solo integrando conoscenza, regolamentazione e innovazione sarà possibile sfruttare pienamente il loro potenziale, contribuendo a un’agricoltura più resiliente, efficiente e rispettosa dell’ambiente.