Dal capro espiatorio alla prevenzione: cambiare paradigma quando un albero cade

di Francesco Ferrini
  • 10 September 2025

Quando un albero cade, in un parco o lungo una strada, il primo riflesso sociale, mediatico e talvolta istituzionale è spesso quello della ricerca immediata del colpevole. Chi non ha fatto il controllo? Chi ha firmato la perizia? Chi doveva intervenire e non l’ha fatto? Questo approccio, che possiamo definire come “cultura del colpevole”, tende a focalizzarsi sull’individuazione di una figura responsabile a prescindere, spesso con l’obiettivo implicito di chiudere rapidamente il caso, placare l’indignazione pubblica e ristabilire un senso (illusorio) di controllo.
Questa cultura è profondamente radicata, perché risponde a un bisogno umano di ordine e giustizia. Tuttavia, nella gestione di sistemi complessi – e gli alberi in città ne sono un esempio emblematico – tale approccio risulta non solo limitato, ma anche dannoso. Incolpare qualcuno senza comprendere il contesto in cui è maturato l’evento significa sottrarsi all’analisi reale delle cause, e dunque, impedire un apprendimento collettivo che potrebbe prevenire casi futuri.
Al contrario, un approccio più maturo e costruttivo è quello che si fonda sulla “cultura dell’errore”. Questo paradigma, adottato da anni in settori come la medicina d’urgenza o la sicurezza industriale, parte dal presupposto che gli incidenti non sono quasi mai il frutto di una singola colpa, ma piuttosto il risultato di catene di eventi, decisioni, omissioni o condizioni sistemiche che interagiscono fra loro.
Applicata al caso della caduta di un albero, la cultura dell’errore chiede prima di tutto:
cosa è successo esattamente e in quali condizioni?
quali segnali erano presenti e sono stati trascurati o sottovalutati?
quali strumenti, risorse, competenze o comunicazioni sono mancati?
Solo in un secondo momento, eventualmente, si può valutare se e in quale misura ci siano responsabilità individuali o organizzative. Ma la colpa non è il punto di partenza: è, semmai, un elemento che emerge dopo aver ricostruito il quadro completo.
Questa differenza è cruciale perché determina anche gli esiti concreti. La cultura del colpevole innesca paura, deresponsabilizzazione, e spesso spinge tecnici, amministratori od operai a evitare decisioni per timore di ritorsioni. La cultura dell’errore, invece, crea le condizioni per migliorare davvero i protocolli, formare meglio il personale, ripensare le priorità gestionali, e infine aumentare la sicurezza urbana in modo sistemico e duraturo.
In un’epoca in cui gli alberi urbani sono sempre più chiamati a rispondere a una molteplicità di funzioni – dalla mitigazione del cambiamento climatico al miglioramento della qualità dell’aria, dalla regolazione del microclima alla promozione del benessere psico-fisico, fino alla valorizzazione del paesaggio e della biodiversità – non possiamo permetterci di affrontare i problemi con logiche semplificatorie, colpevoliste e/o difensiviste.
La convivenza tra alberi e città non è mai stata semplice, ma oggi è diventata necessaria e inevitabile. Non si tratta più solo di "abbellire" uno spazio pubblico o di piantare qualche albero in più, ma di ripensare radicalmente il rapporto tra infrastruttura verde e tessuto urbano, di sviluppare nuove competenze, di aggiornare strumenti normativi e operativi, e soprattutto di cambiare mentalità. Continuare a interpretare ogni criticità come una colpa individuale da punire non fa che generare sfiducia, immobilismo, e talvolta azioni inutilmente drastiche, come abbattimenti preventivi mossi più dalla paura che da valutazioni tecnico-scientifiche.
Al contrario, la cultura dell’errore ci invita a osservare con attenzione, a ricostruire le dinamiche, a interrogare i limiti organizzativi e le condizioni sistemiche che hanno portato a un evento, e a fare dell’incidente – anche drammatico – un punto di partenza per migliorare. Questo tipo di cultura non giustifica l’imperizia o la negligenza, ma si rifiuta di ridurre la complessità a un capro espiatorio. Propone invece una visione sistemica, in cui la sicurezza urbana, la salute degli alberi e la fiducia dei cittadini si costruiscono attraverso la conoscenza, la trasparenza e la condivisione delle responsabilità.
Investire in formazione tecnica, in monitoraggi continui, in una governance del verde urbano che sia solida ma anche aperta al confronto con la cittadinanza e con le discipline scientifiche è parte essenziale di questo cambio di paradigma. Perché imparare dagli errori non è un segno di debolezza, ma un atto di intelligenza collettiva. Solo così potremo garantire che la presenza degli alberi nelle nostre città non sia vissuta con timore, ma come ciò che realmente è: una risorsa vitale, fragile ma preziosa, da curare con competenza e visione.