Dialoghi su Agroindustria: “La microbiologia alimentare oggi: garanzia di sicurezza, innovazione e sostenibilità”

Dialogo con Marco Gobbetti, professore ordinario di Microbiologia degli Alimenti, Preside della Facoltà di Scienze Agrarie, Ambientali e Alimentari della Libera Università di Bolzano, Chief Scientist presso il NOI Techpark, Bolzano

di Paolo Ranalli e Marco Gobbetti
  • 10 September 2025

Ranalli - I microrganismi giocano un ruolo fondamentale e multifunzionale nelle colture destinate alla trasformazione industriale. Nell’agroindustria moderna il loro impiego spazia dal miglioramento della salute del suolo e della crescita delle piante, alla protezione delle colture, fino alla trasformazione e conservazione degli alimenti, contribuendo ad una produzione alimentare più sostenibile, efficiente e sicura. In questa sede occupiamoci, più specificamente, del ruolo dei microrganismi nelle tecnologie alimentari, sia come alleati preziosi per la produzione di alimenti tradizionali e innovativi, sia come potenziali minacce da controllare attentamente per garantire la sicurezza e la qualità dei prodotti che arrivano sulle nostre tavole. Le ricerche nel settore hanno consentito di sfruttare al meglio il potenziale dei microrganismi utili e, nello stesso tempo, sviluppare strategie efficaci per contrastare quelli dannosi?

Gobbetti - Preferirei concentrarmi sui microrganismi utili, perché come vedrà hanno anche ripercussioni su quelli dannosi. I microrganismi che promuovono la trasformazione delle materie prime in alimenti sono, per la maggior parte, quelli responsabili delle fermentazioni. Quando parliamo di fermentazioni, ci riferiamo prevalentemente alla fermentazione lattica, promossa dai batteri lattici, ed alla fermentazione alcolica, ad opera dei lieviti. Gli alimenti e le bevande che si ottengono sono, quindi, alimenti e bevande fermentati/e. Eseguendo una mappatura della presenza di alimenti e bevande fermentati/e nei diversi regimi dietetici, è, ad esempio, possibile osservare come il 20-50% degli alimenti e bevande facenti parte alla dieta mediterranea siano fermentati. Tale proporzione raggiunge il 70% nel caso della piramide giapponese, considerato il modello alimentare più virtuoso. Oggi, la fermentazione è la biotecnologia (non è una tecnologia) per produrre alimenti e bevande più sostenibile/naturale (si tratta semplicemente di inoculare microrganismi, è un processo biologico che ha naturalmente luogo in natura), a basso costo, versatile (la si applica a tutte le materie prime) e circolare (nel senso che consente anche il riciclo degli scarti e sottoprodotti). Con particolare riferimento alla fermentazione lattica, essa ha il potenziale di promuovere la trasformazione di materie prime a base di latte (es. formaggi e yogurt), carne (es. insaccati), pesce (es. aringhe fermentate), cereali (es. pane e prodotti dolciari), legumi (es. miscele di legumi e cereali), ortaggi (es. crauti) e frutta (es. smoothies), non dimenticando che il caffè e la cioccolata sono anch’essi il risultato di complesse fermentazioni. La fermentazione lattica favorisce la produzione di alimenti dal gusto gradevole, che si conservano a lungo rispetto alla materia prima di provenienza, con proprietà eccellenti dal punto di vista nutrizionale e funzionale (salutistico), e, venendo ai microrganismi dannosi essa è in grado di prevenire la loro crescita e contaminazione. Quando parliamo di microrganismi dannosi dobbiamo distinguere tra quelli che alterano le caratteristiche organolettiche e, quindi pregiudicano la conservazione degli alimenti, e quelli patogeni, che contaminando gli alimenti, trasmettono patologie all’uomo. Entrambe le categorie di microrganismi dannosi sono inibite dalla presenza di batteri lattici, responsabili della fermentazione lattica, in seguito all’acidificazione della materia prima (soprattutto i microrganismi patogeni mal tollerano le condizioni di acidità), alla competizione per i nutrienti e per lo spazio (dove vi sono microrganismi buoni ad elevata densità è difficile che vi siano microrganismi dannosi) ed alla sintesi di composti ad azione inibitoria. È ovvio, che, anche l’evoluzione delle tecnologie, con particolare riferimento all’impiego di interventi diversi rispetto al trattamento termico classico ha avuto il merito di garantire la salubrità degli alimenti e delle bevande, meglio preservando la qualità nutrizionale delle materie prime.     

Ranalli - La microbiologia alimentare gioca un ruolo sempre più riconosciuto nell'attenuazione della malattia celiaca, sia attraverso la modulazione del microbiota intestinale che attraverso l'identificazione di potenziali terapie mirate. Il suo Gruppo ha svolto ricerche in questo ambito, che hanno portato a conoscenze significative. Ce ne vuole parlare? 

Gobbetti - Nell’ultimo trentennio, le conoscenze scientifiche sul microbiota intestinale sono molto progredite. Questo è stato anche il risultato del miglioramento delle tecniche d’indagine. Ora, possiamo affermare che l’omeostasi del microbiota intestinale, così come la presenza di alcune famiglie di microrganismi che vanno a costituire il cuore della comunità, sono essenziali per il benessere dell’uomo. È stata, inoltre, osservata una correlazione tra le più disparate patologie dell’uomo e l’alterazione della composizione e funzionalità del microbiota intestinale. Resta da meglio comprendere se tale alterazione sia corresponsabile della patologia o rappresenti una conseguenza. Anche la celiachia non sfugge a questa regola. La comunità scientifica, inclusi alcuni nostri studi, ha chiaramente dimostrato come al momento della diagnosi della celiachia sia presente una concomitantemente disbiosi (alterazione) del microbiota intestinale. Tale disbiosi, purtroppo, persiste in diversi individui anche quando, in seguito alla diagnosi, si passa ad una dieta priva di glutine. Se la dieta senza glutine dopo almeno due anni è in grado di alleviare i sintomi clinici, non è, tuttavia, in grado di ripristinare totalmente le condizioni di omeostasi del microbiota intestinale. I primi interventi al riguardo hanno proposto l’integrazione degli alimenti senza glutine con fibre, in grado di favorire selettivamente i microrganismi maggiormente benefici del nostro intestino. Successivamente, altri interventi hanno suggerito la somministrazione di microrganismi probiotici. Con riferimento ai nostri risultati, oltre a quelli già accennati di diagnosi, essi si sono indirizzati su tre linee di ricerca. Il primo, il più difficile e ambizioso, che ha richiesto più di quindici anni di ricerche, ha portato alla produzione di lievitati da forno (es. pane) ottenuti da cereali, quali grano, segale ed orzo, che abbiamo resi completamente privi di glutine durante il processo di fermentazione. Impiegando enzimi ed un esercito di batteri lattici selezionati, siamo stati capaci di rimuovere il glutine da materie prime che inizialmente lo contenevano. In seguito a queste ricerche, è divenuto possibile, anche per gli individui celiaci, nutrirsi di prodotti a base di grano con un notevole miglioramento delle caratteristiche sensoriali e nutrizionali dei prodotti a loro destinati. Anche noi, seconda linea di ricerca, abbiamo messo a punto formulazioni di probiotici in grado di contribuire all’omeostasi del microbiota intestinale in seguito alla diagnosi di celiachia. Più recentemente (terzo livello), abbiamo brevettato insieme ad un’azienda farmaceutica una miscela di batteri probiotici, i quali hanno la capacità di migliorare la digeribilità degli alimenti. In particolare, essi sono in grado di degradare, nelle condizioni ambientali dell’intestino e in tempi compatibili con i processi di digestione dell’uomo, piccoli quantitativi di glutine che sempre si accompagnano, come contaminazione inevitabile, anche nella dieta senza glutine. La versatilità di questa miscela di probiotici ha un interesse anche per individui non affetti da celiachia, considerando che, anche negli individui non affetti da questa intolleranza, la digestione del glutine è solo parziale.      

Ranalli - Probiotici, prebiotici e simbiotici sono impiegati per il miglioramento della salute del microbiota intestinale, ma agiscono in modi diversi e vengono utilizzati in diverse applicazioni. Il loro impiego in preparati farmaceutici e supplementi dietetici, unito a una pubblicità talvolta ingannevole o poco chiara (pubblicità emozionale e marketing aggressivo), genera molta confusione nei consumatori.  Per contrastare tale situazione mi sembra essenziale che l'industria, gli enti regolatori e i professionisti della salute lavorino insieme per garantire che i consumatori ricevano informazioni accurate e non fuorvianti, consentendo loro di fare scelte consapevoli per la propria salute intestinale. Che ne pensa?

Gobbetti - Devo dire che quanto lei riferisce è molto cambiato nell’ultimo decennio. L’istituzione di organismi di controllo, uno su tutti l’Agenzia Europea per la sicurezza Alimentare (EFSA), ha imposto una regolamentazione molto severa e giusta. Senza una validazione scientifica che includa anche sperimentazioni sull’uomo, alcuni effetti sulla salute dell’uomo non possono essere più dichiarati. Questo è valido e giusto per la cosiddetta famiglia dei “biotici” come lei accennava, ma anche per qualsiasi altra rivendicazione a scopo salutistico. Direi che si tratta di un grosso passo in avanti a tutela del consumatore. In effetti, la strada che lei propone e, cioè, di una stretta collaborazione tra industria, enti regolatori e ricercatori è l’unica perseguibile e perseguita. A questo riguardo, posso citare, non come un’eccezione, ma come prassi, una nostra collaborazione in corso con una multinazionale tedesca sul tema probiotici. Insieme abbiamo avuto un’idea, ed in laboratorio l’abbiamo trasformata in un prototipo. Di questo prototipo ne abbiamo valutato l’efficacia sempre in laboratorio ed anche con un sistema modello più prossimo all’uomo, e poi siamo passati ad una sperimentazione in vivo, ma su un numero ristretto di individui. Quando tutte queste sperimentazioni hanno dato esiti incoraggianti, la multinazionale ha investito un’ingente somma per finanziare uno studio di validazione sull’uomo, reclutando centinaia di individui con l’ausilio di agenzie che nascono per favorire queste sperimentazioni. Al termine di questa ultima fase dello studio, l’industria avrà tutta la documentazione scientifica necessaria per essere in regola presso gli organismi di controllo e per veicolare un corretto messaggio ai consumatori. 

Ranalli - La microbiologia alimentare fornisce gli strumenti biologici (i microrganismi) e le conoscenze scientifiche per trasformare gli scarti alimentari da un problema di smaltimento a una risorsa di alto valore. Attraverso processi come la fermentazione, la digestione anaerobica e la biosintesi, i microrganismi diventano attori chiave nella transizione verso un'economia più sostenibile e circolare. Ci sono significativi progressi della ricerca in questo ambito, ce ne vuole parlare?

Gobbetti - Nel contesto di un’economia circolare in cui, la sicurezza alimentare (intesa, in questo caso, come necessità di assicurare alimenti per tutta la popolazione mondiale) è una priorità assoluta, è possibile perseguire diverse strade, ma la prima, la più ovvia, è quella di eliminare gli sprechi e valorizzare i sottoprodotti. Cioè ricreare valore aggiunto in termini di nuovi alimenti e/o nutrienti. Come lei riporta, i processi possono essere diversi, di natura tecnologica e microbiologica, e nell’ambito di questi ultimi si può intervenire mediante riciclo anaerobio o aerobio, biosintesi, fermentazione di precisione o, più semplicemente, fermentazione. Preferirei parlare di ciò che conosco meglio e di ciò su cui sto lavorando da alcuni anni, la fermentazione lattica, proprio alla luce, come dicevo precedentemente, della sua versatilità e sostenibilità, anche economica. Tra gli altri, nel mio laboratorio ci siamo focalizzati sull’impiego del “lievito madre” per il riciclo di scarti della molitura, dei processi di panificazione e produzione di pasta alimentare, e per l’impiego di proteine non convenzionali, da legumi, pseudo-cereali, alghe e funghi, che possono essere usate in sostituzione o ibridazione (parziale sostituzione) delle proteine di origine animale. A titolo di esempio, ricordo che circa il 10% della produzione di pane è scartata, avendo come destinazione principale l’incenerimento. Il trattamento preliminare con enzimi ed il successivo impiego di “lievito madre” consentono di riciclare questo ingente scarto in nuovi ingredienti da impiegare sia in processi di panificazione e sia di produzione di pasta alimentare. Concluderei dicendo che, le attuali conoscenze e la disponibilità di tecniche analitiche all’avanguardia ci consentono di impiegare e guidare una biotecnologia antichissima (la fermentazione) secondo le più attuali esigenze sensoriali, nutrizionali e di sicurezza alimentare (in questo caso secondo la duplice accezioni: alimenti sicuri e per tutti).