Un articolo estremamente stimolante, intitolato “The risk of the ‘producing more with less’ narrative” e firmato da Pasquale De Vita (CREA Cerealicoltura e Colture Industriali) e Bruno Basso (Michigan State University), è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature Food (sezione Correspondence).
Credo valga la pena leggerlo perché invita a riflettere su come comunichiamo la scienza, in particolare nell’ambito delle scienze agrarie, e su quanto gli slogan, per quanto accattivanti, possano semplificare problemi complessi, influenzando percezioni e decisioni politiche.
Potete leggerlo qui: https://doi.org/10.1038/s43016-025-01182-3.
Nel loro contributo, gli autori analizzano in modo critico una delle espressioni più ricorrenti nel dibattito agricolo e politico contemporaneo: l’idea che sia possibile soddisfare la crescente domanda globale di cibo semplicemente “producendo di più con meno”.
De Vita e Basso mettono in luce come questa costruzione narrativa, per quanto intuitiva e attraente, trascuri le complesse dinamiche biologiche e agronomiche che regolano i sistemi produttivi. Migliorare caratteri come la tolleranza agli stress abiotici (es. siccità, salinità) o l’efficienza nell’uso dei nutrienti comporta spesso inevitabili compromessi fisiologici: ad esempio, varietà selezionate per resistere a condizioni difficili possono ridurre la produttività o la qualità in ambienti favorevoli, a causa di costi metabolici e allocazione diversa delle risorse all’interno della pianta.
Gli autori osservano anche come questo paradigma sia diventato un potente strumento politico, capace di generare aspettative irrealistiche sulle potenzialità della sola innovazione tecnologica, senza tenere conto della complessità ecologica, sociale e sistemica dei contesti agricoli reali.
Questa semplificazione ha ricadute anche sul mondo della ricerca, sempre più orientata verso risultati immediatamente applicabili e finanziabili. Ne deriva una tendenza a privilegiare approcci rapidi e soluzioni commerciali, spesso a scapito della ricerca fondamentale, che richiede tempi più lunghi ma è essenziale per affrontare le sfide strutturali del settore agroalimentare.
Infine, De Vita e Basso sottolineano un aspetto cruciale: il ruolo della comunicazione scientifica. Titoli ad effetto e messaggi semplificati possono certamente attirare l’attenzione del pubblico, ma rischiano di oscurare le incertezze, i limiti metodologici e i tempi lunghi propri del lavoro scientifico. Questo, a lungo andare, può alimentare sfiducia e disillusione nei confronti della scienza stessa. Gli autori concludono ricordando che affrontare in modo serio le grandi sfide alimentari e ambientali del nostro tempo richiede un approccio più consapevole, basato su un equilibrio tra soluzioni tecnologiche a breve termine e investimenti di lungo periodo nella conoscenza scientifica, supportato da una comunicazione onesta, responsabile e accessibile.
In un momento storico in cui l’agricoltura è chiamata a rispondere contemporaneamente alle sfide della sicurezza alimentare, della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico, riflessioni come quelle proposte da De Vita e Basso sono quanto mai necessarie.
Superare le semplificazioni e restituire complessità al dibattito pubblico significa valorizzare la ricerca scientifica in tutte le sue dimensioni e promuovere un dialogo più maturo tra scienza, politica e società. Il futuro dell’agricoltura non si costruisce su scorciatoie comunicative, ma su una visione sistemica, critica e realmente condivisa.