Ranalli - Giovanni, una frontiera avanzata delle ricerche nell’agroindustria è l’aumento del contenuto di specifici micronutrienti nelle parti commestibili delle piante (tuberi, semi, frutti o foglie) (biofortificazione), senza compromettere la resa in campo. Ritieni che questo target sia in generale perseguibile?
Giuliano - Vi sono alcune domande di base a cui bisogna dare risposta prima di intraprendere una strategia di biofortificazione, quali: Esiste una reale carenza nutrizionale per il micronutriente sotto studio? Quali ne sono le cause? Le vie biosintetiche - o nel caso di micronutrienti minerali come ferro, zinco e iodio, i fattori che ne mediano assorbimento ed accumulo – sono adeguatamente studiate? La loro ingegnerizzazione interferisce con la produttività/resilienza della pianta? Esiste sufficiente variabilità genetica per il micronutriente sotto studio, o bisogna ricorrere ad approcci biotecnologici? La modifica del micronutriente può provocare accumulo di metaboliti indesiderati? Il micronutriente è stabile durante la conservazione della derrata e facilmente assimilabile (biodisponibile)? Esistono alternative facili e poco costose alla biofortificazione? La tecnologia usata ed il contesto regolatorio permettono un rapido trasferimento al mercato del prodotto?
Mi aiuto con qualche esempio: L’avitaminosi A è un grave problema nutrizionale che, in forma subclinica o clinica, colpisce oltre il 40% della popolazione in Asia ed Africa, principalmente i bambini, con conseguenze importanti sulla loro salute. Il “golden rice II”, ottenuto tramite espressione nel seme di due enzimi per la biosintesi dei carotenoidi, contiene livelli di beta-carotene (provitamina A) sufficienti ad assicurare la dose giornaliera consigliata di vitamina A in popolazioni per cui il riso è una fonte primaria di calorie (principalmente Asia meridionale e Sud-orientale); la conversione del beta-carotene in vitamina A è alta (2:1 su base molare). I problemi principali del “golden rice” sono la stabilità (il beta-carotene si degrada dopo pochi mesi di conservazione) e norme regolatorie: la campagna di alcune organizzazioni “ambientaliste” ha purtroppo avuto successo nel dipingere questo alimento biofortificato come pericoloso (senza nessuna base scientifica), poco produttivo, o come un “cavallo di Troia” delle multinazionali del transgenico. Il risultato è che pochissimi Paesi hanno ad oggi deregolato il “Golden Rice”, e una recentissima decisione di un tribunale delle Filippine ha vanificato il permesso di coltivazione rilasciato da quel Paese nel 2021, ovvero oltre 20 anni dopo la sua descrizione. Il rilascio di permessi di coltivazione e di consumo resta quindi il principale problema per la biofortificazione biotecnologica, che nel caso della provitamina A e per i principali “staple foods” (riso, frumento, mais, patate, cassava) resta la strada più promettente.
Ranalli - Ci risiamo! Purtroppo, c’è una vena di oscurantismo anti-scientifico contro le biotecnologie cui non si deve lasciare spazio. Le nuove tecniche genomiche sono la grande prospettiva: esse rappresentano il futuro dell’agricoltura e bisogna avere fiducia nella ricerca che ha sempre assecondato e sostenuto la crescita dell’agricoltura moderna dall’800 in poi. Se si fosse dato ascolto ai “no vax”, per esempio, non si sarebbe arrivato in tempi brevissimi ai vaccini anti-covid, che hanno salvato il genere umano dall’epidemia da coronavirus. Il tuo Gruppo ha contribuito in modo significativo al sequenziamento del genoma del pomodoro. Quali sono le ricadute più importanti sul profilo nutrizionale del frutto (contenuto di carotenoidi) e sulle strategie di breeding della pianta (marcatori genetici associati a caratteri utili)?
Giuliano - Il nostro gruppo ha coordinato un consorzio internazionale di oltre 70 laboratori. Ad ogni Paese partecipante fu assegnato un cromosoma da sequenziare tramite un approccio “BAC-by-BAC” (all’Italia fu assegnato il cromosoma 12, il più piccolo). In questa prima fase, Paesi come il Giappone e la Corea del Sud fecero la parte del leone, sequenziando gran parte dei loro cromosomi. Ma nel 2010, quando ci incontrammo a Colonia, eravamo arrivati ad un “impasse”: grandi porzioni di cromosomi non erano rappresentate nelle genoteche di BAC, e non si sapeva come proseguire. Allora noi italiani, insieme agli olandesi ed ai giapponesi, avemmo l’intuizione di proporre una strategia alternativa, basata sul sequenziamento “shotgun” di tutto il genoma tramite “next generation sequencing”. In breve tempo, avevamo il genoma assemblato, con oltre il 90% dei geni annotati correttamente. I gruppi italiani che parteciparono maggiormente, oltre ad ENEA, furono quelli dell’Università di Napoli e di Padova. Il lavoro uscì su Nature come storia di copertina nell’Agosto del 2012.
Per rispondere alla tua domanda, avere accesso all’insieme dei geni di una pianta, compreso il loro ordine sui cromosomi, ha un valore enorme. La sequenza del genoma ha permesso la mappatura di una serie di geni di resistenza a malattie e di introgressioni cromosomiche da specie selvatiche; ha facilitato enormemente il breeding assistito; ha permesso di delucidare le basi molecolari di una serie di caratteristiche nutrizionali ed agronomiche; ha reso possibile la dissezione della via di biosintesi dei glicoalcaloidi steroidei (sostanze tossiche di difesa della pianta), aprendo la strada alla creazione di varietà di patata a ridotto contenuto di glicoalcaloidi. Inoltre, l’inattivazione delle polifenolo-ossidasi in melanzana ha consentito l’ottenimento di linee che non imbruniscono al taglio. Infine, il nostro gruppo ha utilizzato estensivamente le conoscenze acquisite sui genomi del pomodoro e della patata per guidare gli esperimenti di biofortificazione del contenuto di carotenoidi di queste due specie.
Ranalli - L’evoluzione di discipline come la genomica, la metabolomica, il “modelling” delle vie metaboliche e le tecniche di evoluzione assistita hanno permesso avanzamenti enormi nella biofortificazione di alimenti. Ci si può attendere ulteriori avanzamenti in questo settore dall’applicazione dell’intelligenza artificiale?
Giuliano - Nel campo della biofortificazione stiamo uscendo dal periodo del “tentativo ed errore” e stiamo entrando in una fase nuova in cui sempre più gli effetti primari e collaterali di una manipolazione genetica (sia essa di tipo tradizionale o biotecnologico) potranno essere misurati accuratamente ed addirittura predetti, anche con il supporto dell’intelligenza artificiale. Come detto sopra, la scelta di operare una biofortificazione si deve sempre basare sull’analisi di una serie di fattori, quali necessità, fattibilità e contesto regolatorio. Quest’ultimo però è ormai inadeguato, anche alla luce degli enormi progressi tecnologici, e va secondo me rivisto.