“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: La gestione del suolo nei nuovi impianti di vigneti

Dialogo con Nadia Vignozzi, Ricercatrice del CREA

di Marcello Pagliai e Nadia Vignozzi
  • 04 June 2025

Pagliai – È indubbio che dalla fine del secolo scorso all’inizio degli anni 2000 si è assistito ad un vero boom dell’espansione viti-vinicola, non solo nelle aree classiche come il Chianti in Toscana o le zone del Prosecco in Veneto, ma anche in altre aree che si sono scoperte a forte vocazione per la produzione di vini di qualità come, ad esempio, la Maremma. L’espansione di questi nuovi impianti ha, in qualche modo, cambiato il paesaggio con il definitivo abbandono delle vecchie sistemazioni idraulico-agrarie (come i terrazzamenti) sostituite con livellamenti e scassi per facilitare la gestione del vigneto attraverso la meccanizzazione spinta. Se da un lato queste innovazioni hanno portato dei vantaggi, dall’altro si è assistito ad ingenti perdite di suolo per erosione, complice anche la crisi climatica in atto, che potrebbero portare, nel lungo termine, a zone non più idonee per la coltivazione della vite. La degradazione del suolo, se non si arresta, porta verso la desertificazione. È esagerato avanzare questi dubbi? Si potrebbero ripensare, in qualche modo, sistemazioni idraulico-agrarie in chiave moderna che possano ridurre le perdite di suolo per erosione e garantire una migliore regimazione delle acque?  

Vignozzi – La degradazione del suolo è un problema molto serio e finora sottovalutato. Negli ultimi anni si sta assistendo ad una progressiva presa di coscienza, ma ancora c’è molto da fare.
La viticoltura è uno dei sistemi colturali in cui i processi di degradazione del suolo sono più evidenti, e fra questi soprattutto l’erosione e la conseguente perdita di fertilità.
Per contrastarne la degradazione è necessario conoscere il suolo; solo operando sulla base della conoscenza il rischio di scelte sbagliate diminuisce. È quindi indispensabile, fin dalla fase di progettazione di un nuovo impianto, prevedere una indagine pedologica che non si limiti ad analizzare campioni presi qua e là dai primi 30 cm di suolo.
Il suolo è un sistema naturale organizzato che varia nello spazio e nel tempo, e quello che succede in superficie è strettamente legato a quello che accade in profondità. Il rilevamento pedologico di dettaglio (anche con uso di sensori) permette di gestire al meglio l’eterogeneità dei suoli, individuando le varie criticità.
La regimazione dei flussi idrici superficiali e profondi è sicuramente uno dei primi aspetti da considerare in fase di progettazione e realizzazione di un nuovo impianto: una rete di drenaggio adeguata che allontani le acque in eccesso in profondità; l’inserimento di elementi di discontinuità (strade fosso, ciglioni, ecc.) che riducano la lunghezza dei filari e le pendenze in modo da diminuire il ruscellamento superficiale, sono strategie note a disposizione dell’agricoltore. Una strategia meritevole di attenzione che sta iniziando a diffondersi come pratica di viticultura rigenerativa e che, integrata con altre tecniche di agroecologia, sembra offrire numerosi benefici soprattutto in termini di gestione dell’acqua e del suolo, è la progettazione “keyline”. Questa sistemazione idraulico-agraria, nata negli anni 50, è abbastanza complessa, ma le nuove tecnologie (Droni, Gps RTK, software specifici) la rendono attuale e attuabile, facilitando l’individuazione della cosiddetta “linea chiave” e il tracciamento delle successive linee di lavorazione. Lo scopo è quello di rallentare il flusso naturale dell’acqua, aumentandone l’infiltrazione dove di solito defluisce velocemente, e favorendone una uniforme distribuzione nell’intero volume di suolo. Questa progettazione potrebbe quindi rispondere all’esigenza di ripensare le sistemazioni idraulico-agrarie in chiave moderna per ottimizzare l’uso della risorsa idrica e ridurre le perdite di suolo.
La difficoltà per l’agricoltore è agire in un’ottica di lungo periodo, vista la durata di un impianto e gli investimenti richiesti, e scegliere la strategia più adatta considerando le condizioni sito specifiche del proprio vigneto e il cambiamento climatico in atto.

Pagliai – Proprio alla luce di una migliore gestione del suolo si è cercato di limitare l’erosione con la pratica dell’inerbimento, molto diffusa nelle aree del settentrione ma che stenta ancora a decollare nel centro e sud Italia. A questo si aggiungono i lunghi periodi di siccità che complicano molto il diffondersi di questa pratica. Non solo, ma i nuovi impianti in queste aree necessitano di irrigazione e qui si pone un problema, proprio alla luce della crisi climatica in atto, circa la disponibilità di risorse idriche in un futuro che potrebbe essere anche non lontano o di qualità delle acque, visto che in vaste aree lungo le coste del nostro Paese dai pozzi artesiani già si attinge acque saline.

Vignozzi – I motivi che giustificano la scelta dell’inerbimento come strategia per contrastare l’erosione del suolo sono noti: i) la presenza di una copertura vegetale riduce l’azione battente della pioggia, e di conseguenza l’incrostamento della superficie del suolo; ii) facilita l’infiltrazione dell’acqua attraverso le soluzioni di continuità pianta-suolo, riducendo il fenomeno del ruscellamento; iii) gli apparati radicali della coltura erbacea contribuiscono a trattenere il suolo, diminuendone le perdite. L’inerbimento, oltre a contrastare l’erosione, offre anche ulteriori benefici: aumenta la biodiversità, favorisce il sequestro del carbonio, migliora la struttura e tutte le funzioni del suolo ad essa correlate, in particolare infiltrazione e ritenzione dell’acqua. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza nella valutazione complessiva del bilancio idrico. È vero che l’inerbimento aumenta i consumi idrici, ma migliora anche la capacità di accettazione delle piogge soprattutto in caso di eventi meteorici intensi e incrementa, compatibilmente con le caratteristiche del suolo (tessitura, struttura, contenuto di scheletro e profondità), la capacità di immagazzinamento dell’acqua. L’acqua “tesaurizzata” potrà così essere disponibile per le piante nei periodi di maggiore richiesta.
L’inerbimento nelle colture arboree è uno dei 5 interventi (eco-schemi) previsti dal Piano Strategico della PAC 2023-2027 per rispondere alle sfide ambientali. Tutti gli Eco-schemi prevedono pagamenti volti a compensare i costi supplementari e i mancati guadagni che derivano dall’assunzione volontaria degli impegni ambientali previsti. I risultati forniti da AGEA dopo il primo anno di applicazione indicano che le superfici che hanno aderito all’impegno sono per circa il 60% collocate nelle regioni del sud Italia. Questo dato sembra in controtendenza, considerato che questa pratica è maggiormente diffusa a Nord. Le difficoltà finora incontrate a sud nell’adottare l’inerbimento potrebbero giustificare il maggior ricorso ai pagamenti diretti; questi, infatti, offrono agli agricoltori la possibilità di compensare i costi aggiuntivi o gli eventuali mancati redditi avvalendosi così dei connessi benefici ambientali. Certamente, non è solo il clima che determina il successo di una scelta gestionale, molteplici sono gli aspetti da considerare: morfologia del territorio, caratteristiche del suolo, obbiettivo produttivo, tipo di cultivar e portinnesto, densità di impianto, forma di allevamento e, infine, tipo di inerbimento e di gestione dello stesso (es., spontaneo o seminato, permanente o temporaneo). Tutte queste variabili incidono sul bilancio idrico; alcune non sono modificabili, mentre altre possono essere selezionate ad hoc per modulare i consumi idrici sulla base delle esigenze colturali. Non esiste una soluzione universalmente valida. La sfida per l’agricoltore è riuscire a tenere sotto controllo tutti questi aspetti e individuare la combinazione più adatta alle proprie specifiche esigenze. In tal senso, la digitalizzazione delle informazioni, lo sviluppo di modelli previsionali e di Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS) potranno essere sicuramente un valido aiuto.

Pagliai – La gestione corretta del suolo gioca un ruolo fondamentale non tanto sulla quantità ma soprattutto sulla qualità del prodotto finale. Molto spesso viene focalizzata l’attenzione sulle proprietà chimiche del suolo ma sono proprio le proprietà fisiche e idrologiche, come la porosità, la stabilità degli aggregati, la ritenzione idrica, ecc., che giocano il ruolo maggiore. In questa ottica, quale futuro attende la viticoltura italiana? 

Vignozzi – L’influenza delle proprietà fisiche e del comportamento idrologico del suolo sulla qualità del vino è ampiamente riconosciuta. La disponibilità idrica e di ossigeno durante le diverse fasi fenologiche della vite può determinare condizioni di stress in grado di modificare la risposta fisiologica della pianta e condizionare il risultato produttivo. Le produzioni di qualità sono in genere associate a suoli ben drenati, con moderata disponibilità idrica, scheletrici, in cui un moderato deficit idrico in alcune fasi fenologiche è addirittura positivo. Conoscere quindi le caratteristiche fisiche del suolo è importante ma non esaustivo; queste, infatti, devono essere valutate unitamente alle altre variabili che contribuiscono a determinare la qualità del prodotto finale (proprietà chimiche e biologiche del suolo, morfologia, clima e pratiche gestionali). È chiaro, ad esempio, che le stesse proprietà idrologiche in aree con temperature e distribuzione delle piogge diverse determineranno risultati differenti; e ancora, se la disponibilità di nutrienti è limitata anche bassi livelli di stress idrico possono essere sufficienti a compromettere la qualità del vino.
In conclusione, mi sento di dire che chiunque voglia fare al meglio il proprio lavoro deve conoscere le risorse che ha a disposizione, valutarne i limiti e trovare soluzioni specifiche per cercare di far fronte a tali limitazioni. Per far ciò non esiste una ricetta magica che vale sempre; i risultati migliori si ottengono attraverso la conoscenza, la curiosità e l’esperienza. Quindi conosciamolo questo suolo, e cerchiamo di non rovinarlo, perché un suolo in salute è il primo presupposto per garantire alle piante le condizioni migliori per crescere, produrre e resistere agli stress biotici e abiotici presenti e futuri!