Ferrucci: Nella lunga e preziosa teoria di pubblicazioni nazionali e internazionali nel campo della filosofia della scienza, che si dipana dal 2002 ad oggi attraverso monografie tradotte in molte lingue, e altri saggi scientifici, ci hai condotto con una straordinaria capacità divulgativa verso la conoscenza dell’intima essenza della Natura e del suo complesso intrecciarsi con la presenza dell’uomo sulla Terra. Non è facile sintetizzare in una risposta a questa domanda la tua profonda cultura sul tema che hai esplorato da filosofo della Scienza in tutte le sue sfaccettature, ma Ti chiedo qual è, per Te, l’essenza della Natura e in che senso è, traendo spunto dal titolo di un Tuo volume del 2022, “più grande di noi”?
Pievani: Rispondo con un gioco di parole: per me l’essenza della natura è quella di non avere essenze. Nel senso che l’insegnamento forse più rilevante e di sicuro più dirompente della rivoluzione darwiniana è l’accento sulla radicale diversità di ciascun individuo, portatore di differenze uniche e irripetibili. Ne deriva che la singolarità individuale non è una misura (in negativo) della distanza da una norma irraggiungibile, da un tipo, da un’essenza appunto. La diversità è un valore positivo fondamentale, è il motore di ogni cambiamento, la difesa dai rovesci del tempo e dell’ambiente. A cascata, discende che la natura è flusso, trasformazione, trasmutazione, incompiutezza, imperfezione. Possiamo bloccarla in una fotografia, ma lei sta già generando altro. Mi piace che in latino “natura” sia declinata al futuro: è ciò che sta per nascere. Anche noi esseri umani non abbiamo una nostra “natura” definita, siamo divenienti umani, più che esseri umani fatti e finiti. In fondo, la specie umana è giovane, siamo nati meno di 300 millenni fa in Africa. Per questo la natura è piena di contraddizioni, di sfumature, di paradossi, e non potrà mai essere un’autorità morale. Dire che qualcosa è buono perché naturale, o cattivo perché “contro-natura”, non ha alcun senso. Anche il pensiero religioso si sta finalmente confrontando con questa visione essenzialistica della natura, per superarla, essendo foriera di insuperabili problemi filosofici ed etici.
Ferrucci: Il tema del rapporto tra uomo e Natura è assurto negli ultimi decenni alla ribalta del dibattito non solo scientifico ma anche culturale, fino ad arenarsi, dal mio personale punto di vista, sulle sponde di una stratificata teoria di interventi normativi, internazionali, unionali e nazionali, troppo spesso sterili. Qual è per Te il ruolo dell’uomo rispetto alla Natura: una interazione solo distruttiva o anche potenzialmente costruttiva?
Pievani: Basare il diritto sulla natura è sempre stato rischioso. La Dichiarazione Universale dei diritti umani è un documento che va oltre l’evoluzione che ci ha portato sin qui, ed è un bene, perché noi dobbiamo emanciparci dalla parte peggiore dei nostri retaggi ancestrali ambivalenti, come ci ha insegnato meglio di altri Primo Levi. Il richiamo alla natura ha senso solo se la intendiamo come “coscienza o comunità di specie”, cioè decidere che viviamo un destino comune e che dobbiamo superare il nostro innato tribalismo per concepire la specie umana nella sua interezza come specie biologica, senza discriminazioni interne di alcuna sorta. Quanto all’interazione con l’ambiente, certamente non è distruttiva per principio. Già nel Neolitico più dell’80% delle terre emerse erano abitate da gruppi umani. Non è mai esistita una natura vergine. Ancora oggi, le regioni con la più alta biodiversità non sono quelle deserte o prive di umani. Al contrario, sono quelle in cui per millenni, lentamente i popoli nativi sono intervenuti, hanno fatto manutenzione, hanno diversificato gli habitat. Noi possiamo essere ingegneri ecosistemici positivi, come i castori, che costruiscono dighe (una sofisticata tecnologia) e così facendo aumentano di più di un terzo la biodiversità degli ambienti che trasformano. Quindi abbiamo il diritto e il dovere di intervenire sugli ambienti, per conservare la biodiversità, ripristinare gli habitat, ritrovare una coevoluzione positiva con la natura. Non lo stiamo facendo abbastanza e oggi purtroppo il discorso pubblico, nazionale e internazionale, si è spostato su tutt’altri temi. Il tribalismo è tornato e ci farà molto male. Ci sono forze politiche che non vedono l’ora di archiviare il Green Deal, un errore gravissimo. Ne risponderanno davanti alle future generazioni (come sta scritto all’articolo 9, comma 3, della nostra Costituzione).
Ferrucci: Questa domanda si riallaccia a quella precedente ma al tempo stesso focalizza un profilo particolare legato ad una terminologia ormai inflazionata, talvolta abusata, disconosciuta nella tridimensionalità che la connota nel disegno che della stessa la politica internazionale ha dato: la sostenibilità, economica, sociale, ambientale. In quella costruzione tridimensionale io leggo il ruolo della Natura sempre prospettato in una visione spiccatamente antropocentrica e mai ecocentrica. Condividi questa mia opinione?
Pievani: Sì, sono d’accordo. Sostenibilità ormai è una parola abusata, come resilienza. A ben guardare, Homo sapiens non è mai stato sostenibile: da quando abbiamo cominciato a uscire dall’Africa, negli ultimi cento millenni abbiamo plasmato i paesaggi, estinto intere megafaune, esaurito risorse. Come se non ci fosse un domani, nel senso che non abbiamo mai imparato la lungimiranza e la prevenzione. Siamo una specie prepotente e invasiva, il che ovviamente non sminuisce la gravità dei danni inferti all’ambiente nelle ultime tre-quattro generazioni. Sostenibilità poi è concetto antropocentrico perché presuppone che noi si possa controllare l’astronave Terra a piacimento, il che non è, o che si possa andare su Marte come Pianeta B, delirio da tecnofeudatari narcisisti. La Terra si è sempre salvata da sola e ha resistito alle peggiori catastrofi. L’impegno ecologico è un impegno umanistico, perché il tema è salvaguardare la nostra possibilità di futuro. Al contempo, una prospettiva eco-centrica sarà comunque sempre pensata dal nostro punto di vista di mammiferi di grossa taglia. Forse la sintesi sta nel comprendere che gli interessi della natura adesso coincidono con i nostri. Non ci salviamo da soli, ci salviamo tutti insieme. Darwin diceva che avremmo dovuto, prima o poi, imparare a chiamare “noi” non soltanto i nostri compagni di tribù, ma anche tutti gli altri esseri umani in quanto umani, e tutto il resto della biosfera, i nostri fratelli animali, le piante, i microrganismi. Infine, c’è l’imbroglio recente di chi parla di sostenibilità intendendo quella economica, ci dicono cioè che dobbiamo fare la transizione ecologica ma solo a patto di non disturbare troppo i manovratori del libero mercato. Pessima illusione, perché senza la transizione ecologica il costo sarà altissimo. La desertificazione economica non sarà dovuta alle politiche ecologiste, ma al non farle o al dilazionarle troppo in là.
Ferrucci: Infine: recentemente la politica dell’Unione Europea in materia di biodiversità, preso atto del sostanziale fallimento dei tentativi operati con strumenti strategici di Soft Law e Direttive, per arginare la crescente e grave perdita di biodiversità sul territorio europeo, ha deciso di intervenire con un Regolamento, la c.d. Nature Restoration Law, che introduce strumenti obbligatori per gli Stati membri mirati non più alla mera protezione ma al ripristino della Natura, dove il ripristino è al contempo lo strumento con il quale operare e l’obiettivo da raggiungere entro target temporali a stretto raggio. Pensi che questa scelta forte dell’Unione possa essere efficace o sia tardiva?
Pievani: La Nature Restoration Law è una legge fondamentale, basata su dati scientifici robusti e promettenti, nel senso che ci dicono che possiamo invertire la tendenza verso la scomparsa della biodiversità entro la metà del secolo, per i nostri figli e nipoti. Gli obiettivi che stabilisce non sono affatto irrealistici o velleitari come una propaganda scettica fortissima oggi vorrebbe farci credere. L’Italia è già al di sopra della media europea come superficie protetta, grazie al lavoro fatto in decenni passati. Potremmo farcela. Il problema è che l’attuale Governo ha sciaguratamente votato contro e farà di tutto per boicottarla, così come la nuova Commissione Europea uscita dalle recenti elezioni è partita con i peggiori auspici. Il Green Deal, che avrebbe messo l’Europa nelle condizioni di trovarsi da qui al 2030 alla frontiera dell’innovazione, della ricerca e della transizione (che dovranno fare tutti, volenti o nolenti, perché le leggi della fisica funzionano comunque e sono del tutto indifferenti agli esiti delle elezioni) verrà gradualmente depotenziato e vanificato dai populisti e dai conservatori. Così continueremo a essere dipendenti da Stati Uniti e Cina, anche dopo il carbone.
Ferrucci: Personalmente ritengo che ogni strumento mirato alla protezione della Natura possa essere efficace e possa dare risultati solo se accompagnato da una radicale alfabetizzazione dei cittadini e degli amministratori pubblici sul ruolo che la Natura svolge, sulle relative interconnessioni con altri fattori ambientali e il climate change, e con la salute umana. Condividi questa mia opinione?
Pievani: Certo, concordo, ma l’alfabetizzazione è un compito lungo, richiede decenni e passaggi generazionali. Lentamente sta già avvenendo. I nati dopo il Duemila sono nativi climatici, pensano diversamente da noi. La scuola sta dando i suoi effetti. I dirigenti giovani delle grandi aziende, anche petrolifere, hanno una sensibilità nuova. I consumatori stanno cambiando i loro gusti. Ma senza la politica non ce la faremo, perché non c’è più tempo. Avremmo bisogno di un indirizzo politico lungimirante, trasversale, generoso. Invece abbiamo classi politiche che puntano soltanto alla sopravvivenza alle prossime elezioni, culturalmente inadeguate e non all’altezza delle sfide globali. Del resto, li votiamo noi e ce li meritiamo. Quello che sta accadendo di terribile negli Stati Uniti, per esempio, è responsabilità diffusa di 70 milioni di votanti, non solo di un manipolo di leader sconsiderati. Forse l’alfabetizzazione più urgente oggi, oltre all’educazione ambientale, è quella alla democrazia, che è sempre più fragile. Dobbiamo salvare dall’estinzione i panda e le democrazie.