Negli ultimi trent’anni l’agricoltura dei paesi sviluppati è riuscita a produrre più cibo, ma, negli ultimi 10-15 circa, il suo peso ambientale è aumentato. Certo, l’attenzione degli agricoltori al rispetto della natura non è venuto meno. Ma il prezzo per avere più alimenti, pare sia stato pagato proprio dall’ambiente. E dalla biodiversità. E’ quanto indica il rapporto Environmental Performance of Agriculture che l’OCSE ha appena aggiornato e che riporta una serie di dati che devono far pensare.
Spiega il Rapporto che tra il 1990 e il 2021 “la produzione agricola nei paesi OCSE è aumentata in modo significativo, mentre le prestazioni ambientali hanno mostrato risultati contrastanti”. I numeri significativi sono facilmente comprensibili e indicano un’evoluzione in due tempi. Da un lato, mentre la produzione agricola è cresciuta del 40% nel periodo 1990-2021, la superficie agricola è diminuita del 10% e le emissioni di gas serra derivanti dall'agricoltura sono aumentate solo del 4%. Fin qui, secondo l’OCSE, tutto relativamente bene: l’importante aumento di produttività, ottenuto tra l’altro con una superficie minore a disposizione, è andato di pari passo con un “impatto ambientale positivo derivante dall'adozione di pratiche agricole più efficienti dal punto di vista climatico”. Detto in altri termini, il maggior costo per avere più cibo è stato tutto sommato accettabile. Nel trentennio considerato però, ad un certo punto qualcosa cambia. E’ l’altra faccia della medaglia. Negli ultimi 10-15 anni “le emissioni di gas serra provenienti dall'agricoltura nei paesi OCSE, precedentemente stabili, hanno iniziato ad aumentare a un tasso medio dello 0,4% annuo a partire dal 2010. Nel frattempo, il calo dell'intensità media delle emissioni ha rallentato, passando dal -0,6% annuo degli anni '90 e 2000 al -0,2% annuo del 2010”. E non solo, perché ad un certo punto anche l’uso di fertilizzanti è cresciuto. Ancora il rapporto spiega come mentre il consumo energetico diretto in azienda sia rimasto “relativamente stabile”, l'uso di fertilizzanti azotati e fosforati sia “cresciuto a tassi più elevati, con l'uso del fosforo in maggiore aumento (1,7% all'anno)”. Intanto, è aumentato anche il consumo di acqua: +1,0% all'anno. Negli ultimi dieci anni, poi, l'andamento delle emissioni di ammoniaca, sempre a livello OCSE, è cambiato: “I dati – dice il rapporto - mostrano una tendenza al ribasso fino al 2015, seguita da un'inversione di tendenza, con un aumento medio delle emissioni del 2,8% annuo tra il 2015 e il 2021”.
Nel frattempo sono cambiate anche le modalità d’uso del suolo: sono cresciuti i pascoli e sono diminuite le superfici destinate alle coltivazioni che, però, si sono fatte più intensive. Gli osservatori OCSE usano certamente un linguaggio diplomatico ma chiaro: “Lo spostamento dei terreni agricoli, unito all'aumento dell'uso di acqua e altri input, suggerisce una lieve intensificazione complessiva della produzione agricola nei terreni coltivati”. E’ quanto si diceva prima: si produce di più ma a costi (anche ambientali) che stanno crescendo.
Poi c’è la biodiversità. Che l’OCSE misura con diversi indicatori, come, per esempio, la popolazione di uccelli nelle zone agricole che “ha continuato a diminuire in 22 dei 27 paesi OCSE che hanno monitorato questo indicatore nel periodo 2009-2021”. E anche in questo caso OCSE usa un linguaggio che non lascia spazio a dubbi: “La perdita di biodiversità, come osservato in alcuni paesi attraverso il Farmland Bird Index, è una preoccupazione costante, in particolare nelle aree ad alta intensità agricola”.
Necessità di produrre più cibo e di porre comunque attenzione all’ambiente, passi in avanti nel risparmio di alcune risorse e passi indietro nell’uso di altre. E’ come se l’agricoltura nelle aree sviluppate del mondo stesse per raggiungere un nuovo tetto tecnologico: con le attuali tecniche produrre più cibo si può, ma il costo ambientale potrebbe crescere molto. “Persistono sfide significative”, dice l’OCSE.
(da Avvenire, 16/04/2025)