Proteste degli agricoltori: cosa dice la ricerca?

di Edoardo A.C. Costantini
  • 21 February 2024

Le proteste organizzate dagli agricoltori in tutta Europa, e spesso condivise da una buona parte della opinione pubblica, chiamano in causa anche i ricercatori, in particolare quelli che si occupano di discipline agrarie. I temi in causa sono infatti rilevanti per le politiche europee e l’economia agraria, l’agronomia e le scienze del suolo, la difesa fitosanitaria e le scienze ambientali. L’accademia può contribuire a fare chiarezza sulle criticità e indicare alcune possibili strade da percorrere.
Certamente la protesta degli agricoltori evidenzia un collasso dei redditi provenienti dalle attività produttive soprattutto dei piccoli imprenditori e più in generale lamenta poco interesse per la vita reale degli operatori agricoli da parte dei decisori politici ed economici europei e nazionali.
Una prima criticità che viene evidenziata da più parti è la mancanza di regole e certezze nella catena alimentare, dove i più forti hanno buon gioco per la scarsa capacità e possibilità di trattativa da parte dei produttori agricoli. Questa criticità fa sì che la grande distribuzione organizzata e i grandi gruppi delle industrie alimentari possano stabilire pressoché unilateralmente i prezzi di acquisto delle derrate alimentari prodotte dagli agricoltori, decidendo sostanzialmente della vita e della morte delle imprese agricole.
Sono poi messe sul banco degli imputati le politiche europee. Viene anzitutto denunciata la mancanza di reciprocità dei requisiti per le produzioni realizzate nei paesi extraeuropei. Non è possibile per i produttori comunitari sostenere la concorrenza di alimenti importati da paesi dove non valgono le norme europee in tema di uso di presidi chimici, OGM, sfruttamento del suolo e della mano d'opera. Il solo import dal Brasile di soia, per lo più OGM, proviene da un areale di produzione estenso quanto il Belgio, per lo più ricavato dal disboscamento della foresta amazzonica. Dati prodotti da USDA-ERS indicano che l’export di cereali causa nei paesi d’origine, quali Stati Uniti, Brasile e Argentina, una diminuzione importante di sostanza organica e di fertilità dei suoli. La stessa Missione Suolo della Unione Europea ritiene insostenibile questo continuo aumento dell'esportazione della degradazione del suolo al di fuori dei confini europei. Però non vengono emanati regolamenti che limitino le importazioni da Paesi che non considerano gli standard europei. Non si tratta di porre nuovi dazi, ma di esigere che vengano rispettati non solo i livelli qualitativi merceologici, ma anche quelli ambientali.
Un’altra criticità viene sottolineata soprattutto dagli agricoltori con aziende di piccole e medie dimensioni. I contributi europei vanno per lo più alle grandi aziende, che a volte sono le maggiori responsabili delle possibili esternalità ambientali negative dell'agricoltura, mentre a quelle piccole, che producono molte delle esternalità positive, vanno solo le briciole. Si vorrebbe quindi ridurre la quantità dei finanziamenti dati in funzione della superficie coltivata per favorire quelli volti a incentivare la presenza degli agricoltori sul territorio, soprattutto i più giovani e quelli posti in aree svantaggiate.
Una criticità analoga riguarda lo sforzo europeo per lo sviluppo dell’innovazione in agricoltura. Le stime indicano che i benefici delle innovazioni finanziate dalla UE vanno solo al 5% degli agricoltori europei, quelli con aziende più grandi e con mezzi finanziari tali che le rendono in grado di mettere in pratica i cambiamenti, mentre gli agricoltori più deboli ne rimangono esclusi. Un esempio emblematico è quello dell’agricoltura di precisione, che potrebbe portare a miglioramenti produttivi ed ambientali enormi, se realizzata in modo più distribuito, ma che attualmente è pratica da una esigua minoranza di imprese agricole. Anche altre forme di agricoltura innovativa, quali quella conservativa e rigenerativa, ma anche la stessa coltura integrata, hanno bisogno di notevoli investimenti e non solo economici, ma anche e soprattutto culturali, che difficilmente agricoltori con poche disponibilità sia economiche sia semplicemente di tempo da dedicare alla formazione ed aggiornamento riescono ad acquisire. Ma se non è per tutti, l'innovazione non è vero progresso.
Le recenti risposte della Commissione europea ma anche nazionali alle dimostrazioni degli agricoltori sono veramente deludenti. Eliminare alcune misure agronomiche del green deal, per altro di mero buon senso, è inutile e fuorviante, perché indica nel Green Deal il responsabile della crisi economica degli agricoltori, mentre i fattori in gioco sono altri, più di lunga data e più strutturali.
E’ vero però che, per quanto riguarda alcune delle misure in questione, in particolare quelle agronomiche relative al regime di rotazione agraria e all’esclusione di una parte della superficie dalla coltivazione, il voler estendere le misure in maniera non differenziata a tutti gli agricoltori europei è senz'altro uno sbaglio. Sarebbero invece da selezionare in funzione degli ambienti pedoclimatici ed agronomici e soprattutto da incentivare dove ci sono i maggiori problemi di conservazione del suolo. A livello europeo è già disponibile un “cruscotto” (dashboard) realizzato dal Joint Research Centre della Commissione europea che consente di individuare con sufficiente dettaglio le aree dove sono presenti i diversi processi di degradazione del suolo (https://esdac.jrc.ec.europa.eu/esdacviewer/euso-dashboard/). Questo strumento, prodotto da un notevole sforzo di ricerca comunitaria, potrebbe essere importante per decidere dove realizzare le misure agroambientali. E’ auspicabile che in futuro le politiche europee e nazionali ne tengano conto.