La grande guerra dei trattori è finita a Sanremo

di Dario Casati
  • 14 February 2024

L’hanno chiamata la “guerra dei trattori” e anche noi usiamo questa definizione, anche se la parola guerra non ci piace e, nel gran circo mediatico che l’ha raccontata, i veri protagonisti non sono i trattori ma una parte del mondo agricolo. Ormai sappiamo che il Governo negli incontri ha confermato il regime agevolato per i carburanti, promesso il mantenimento delle riduzioni fiscali per i redditi più bassi e una moratoria di 6 mesi nell’obbligo dell’assicurazione per i mezzi circolanti su strada. Nell’attesa del voto in Parlamento col famigerato decreto “mille proroghe” che deve essere approvato entro il 28 febbraio, pena la decadenza del solito numero elevatissimo di correzioni e aggiunte alla legge di bilancio, non vorremmo tornare alle cronache, ma sviluppare qualche considerazione a margine di una vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso inaspettatamente l’opinione pubblica nella speranza che possano ottenere quell’attenzione che il dibattito parlamentare non potrà concedere.
Il fronte agricolo si è mosso anche in Italia come nel resto dell’Ue. Era composito, ma unito sull’obbiettivo di agire in fretta e con clamore per ottenere alcune cose su cui non tutti convergevano. I protagonisti non erano unanimi. Le Organizzazioni ufficiali hanno tenuto un comportamento responsabile, quasi defilato, le forme “spontanee” invece, con modalità diverse erano più barricadere con l’intento di accreditare un’immagine battagliera, ma divise fra “neonate”, “rinate” e “ricostituite” con nuove sigle ma con volti già noti.
Dopo le molte parole corse nei giorni caldi vorremmo ragionare su tre temi e proporre una riflessione finale 
Il primo è quello degli scambi con altri Paesi e presentato con un duplice obiettivo: a) frenare importazioni agricole a basso costo e definite pericolose perché (si dice) ottenute con metodi pirata e insicuri di coltivazione; b) promuovere le esportazioni dei nostri prodotti. Ma il tema è destinato a non andare molto lontano. La materia è regolata da accordi internazionali ottenuti con negoziati lunghi e complessi e la sicurezza delle importazioni è garantita dai controlli in frontiera effettuati dall’Italia.  inoltre contiene un’evidente contraddizione: non si può pretendere di ridurre le importazioni e, al contempo, di esportare di più. Serve per tutta la materia quella reciprocità che invochiamo per frenare le importazioni e favorire le esportazioni, gli eventuali partner non accetterebbero uno scambio diseguale come vorrebbero i dimostranti. Infine non dimentichiamo che l’Italia ha bisogno di importare perché la sua produzione, non è sufficiente né al consumo interno né alla trasformazione di ciò che con tanto orgoglio esportiamo.
Il secondo tema, sostenuto anche da parlamentari, personalità di rilievo e ex manager passati alla politica, è l’obiettivo di carattere economico che il prodotto venduto sia pagato dagli acquirenti in modo da compensare il costo di produzione e non come accade naturalmente a prezzo di mercato. Un obiettivo irrealistico perché il prezzo in un’economia di mercato si forma con l’incontro fra domanda e offerta. È vero il contrario e cioè che occorre vendere al prezzo di mercato avendo sostenuto un costo di produzione inferiore per consentire anche un meritato profitto. Il prezzo di mercato, risente dei limiti impliciti nei rispettivi comportamenti imprenditoriali e del potere contrattuale delle parti. Quello dell’agricoltura per la sua natura è minore di quello della domanda. È inutile lamentarsi dell’eccesso di quello degli acquirenti e volerlo limitare per decreto. Tocca al settore agricolo, che ha una struttura polverizzata, riuscire a concentrarsi. Invece di imporre per legge un assurdo economico sarebbe meglio provvedere con interventi strutturali e infrastrutturali. Quello che faceva il FEOGA (Fondo europeo di orientamento e garanzia in agricoltura) dei primi tempi della Pac. Da ultimo è un nonsenso economico proporre di vendere a piccoli acquirenti, negozi o imprese di trasformazione, che a loro volta hanno sul mercato lo stesso problema di potere contrattuale ridotto nei confronti della domanda e non potrebbero sostenere prezzi elevati di acquisto fuori mercato.
Infine, il terzo, è il tema del “giusto prezzo”. Una questione filosofica ed etica affrontata già in antichità sul lato filosofico e poi nel medio evo su quello etico.  La stessa economia moderna se ne è occupata arrivando alla conclusione della sua inesistenza in assoluto perché il concetto di “giusto” è di ordine etico e non economico. Difficile che entrambi, venditore ed acquirente, lo considerino tale, a meno che non coincida col prezzo di mercato. Ogni altro prezzo, incluso quello imposto dallo Stato uscendo dall’economia di mercato non è il giusto prezzo proprio perché imposto. Ricordiamo che il prezzo imposto porta alla scomparsa dei prodotti e alla nascita del mercato parallelo (borsa nera): il massimo dell’ingiustizia.
Al probabile termine della vicenda come un incubo emerge una riflessione di carattere politico-istituzionale: la vertenza dei trattori con un Governo che non si limita ad ascoltare, ma tratta con i manifestanti, fa temere che l’Italia non sia più una democrazia rappresentativa, ma una parodia di democrazia diretta che procede con scontri fra poteri contrapposti dotati di forze diverse e uno, in particolare, autocratico, ed è ciò che sopravvive dello Stato. Per scacciare l’incubo non c’è altra soluzione che rafforzare la democrazia rappresentativa, con uno Stato che sa prestare attenzione alla prepotenza delle parate, delle strade invase, dei trattori schierati e magari anche di prezzi imposti. ma poi si affida ai valori della rappresentatività, della legalità e della libertà.
Altrimenti fame e sopraffazione sarebbero alle porte, come la Storia insegna.