La salute del suolo: evoluzione del concetto di fertilità

Dialogo con Edoardo Costantini – Presidente dell’International Union of Soil Sciences

di Marcello Pagliai
  • 10 January 2024

Pagliai – Non c’è dubbio che il concetto di fertilità del suolo, cioè l’attitudine di un suolo a produrre, si sia notevolmente evoluto. Un tempo si diceva che un suolo fertile era dotato di tutti quegli elementi nutritivi in forma facilmente assorbibile dalle radici che consentivano alle piante stesse di crescere vigorose. Un concetto non sempre chiaro e che spesso veniva confuso con la produttività del suolo che, invece, è la capacità di fornire produzioni di biomassa ottimali su basi di pratiche di gestione standard. La produttività di un suolo dipende sia dalla sua fertilità, sia da fattori esterni come il clima, la disponibilità di acqua, ecc. Ad esempio, la scarsa fertilità si può migliorare con l’aggiunta di fertilizzanti mentre la carenza idrica con l’irrigazione.
In sostanza, il suolo era considerato pressoché esclusivamente quale supporto per le piante e, quindi, la sua funzione era quella di produzione di biomassa, in particolare nei settori dell’agricoltura e della selvicoltura. 

Costantini – La fertilità dei suoli è molto variabile e spesso limitata da uno o più fattori. I suoli altamente fertili coprono solo il 3% della superficie terrestre del mondo, ma producono più del 40% del cibo globale. Nel corso dei secoli la fertilità naturale del suolo, basata essenzialmente sul suo contenuto in sostanza organica, accumulatosi nei millenni, è andata diminuendo. Si stima che fino al 75% del contenuto originale in humus dei suoli sia andato perso (circa 135 miliardi di tonnellate di carbonio), essenzialmente a causa della loro coltivazione. Perdite che si sono notevolmente accentuate quando le lavorazioni del suolo si sono approfondite e l’apporto o il riciclo di sostanza organica ridotto o annullato, e rese ancora maggiori dall’erosione del suolo.
La superficie coltivata globale pro-capite è diminuita costantemente fino a ridursi mediamente a livello globale a meno di 0,20 ettari pro capite; parallelamente, la resa ad ettaro ha superato le 42 t/ha di cereali. L’incremento di produttività è avvenuto tramite un costante aumento dell’input energetico e tecnologico, sotto forma di un impiego sempre più elevato di acqua irrigua, fertilizzanti, antiparassitari e macchinari agricoli, a scapito però della conservazione del suolo. L’Unione Europea stima che il 61-73% dei suoli europei mostrino uno o più segni di degradazione.

Pagliai – Più recentemente, anche in seguito alla presa d’atto di questi segni di degradazione, si è cominciato a parlare delle funzioni del suolo e da qui si è passati dal concetto di fertilità a qualità del suolo che può essere definita, in estrema sintesi, come la capacità di un determinato tipo di suolo a svolgere una desiderata funzione. Un suolo non è di per sé buono o cattivo, ma un suolo è più o meno adatto ad un uso prestabilito e più o meno vulnerabile a certi interventi.

Costantini – Storicamente, il termine “qualità del suolo” è stato utilizzato sia al singolare “la qualità del suolo”, sia al plurale “le qualità del suolo”, differenziandosi dal concetto di “fertilità del suolo”, da sempre utilizzato per descrivere la capacità del suolo di fornire acqua e sostanze nutritive alle piante e più in generale un ambiente favorevole alla produzione di biomassa agricola e forestale.  Il concetto di qualità del suolo si è diffuso a partire dagli anni ’80 in conseguenza delle aumentate conoscenze scientifiche e della sensibilità sociale verso i temi ambientali. La preoccupazione per l’impatto diretto sulla salute dell'uomo, degli animali e degli ecosistemi della diminuzione della qualità dell'acqua e dell'aria prodotta dall’inquinamento ha accresciuto l’interesse anche per la qualità della matrice ambientale suolo. In questo caso però è stato riconosciuto che il concetto di qualità del suolo, pur riferendosi anche al suo grado di possibile inquinamento, è più complesso di quello relativo alle altre matrici ambientali, non solo perché il suolo comprende fasi gassose, solide e liquide, ma anche perché i suoli possono essere utilizzati per una ampia varietà di scopi.  Il termine “qualità del suolo” è stato quindi utilizzato anche per il riconoscimento delle altre numerose funzioni importanti per gli ecosistemi e il benessere umano. 

Pagliai - Le ultime direttive dell’Unione Europea in materia di protezione del suolo parlano esattamente di “Soil health” e si pongono un importante obiettivo come quello di recuperare, entro il 2030, gran parte dei suoli degradati.
Al di la dell’obiettivo molto importante e del costatare che finalmente, almeno le Istituzioni Europee, riconoscono l’importanza del suolo nei complessi equilibri ambientali, il concetto di salute del suolo rappresenta la naturale evoluzione del concetto di fertilità del suolo.

Costantini – Il concetto di salute del suolo è emerso agli inizi degli anni 2000 come evoluzione del concetto di qualità del suolo. Alcuni autori considerano i termini “salute del suolo” e “qualità del suolo” equivalenti e intercambiabili, mentre altri differenziano il significato dei due termini. La qualità del suolo viene in questo caso riferita alle sue funzioni o a ciò che fa, mentre con il termine salute del suolo se ne propone una visione olistica, come risorsa vivente e dinamica. Il concetto di salute del suolo si è affermato man mano che si sono sviluppati l’interesse e le conoscenze sulle relazioni tra la biologia del suolo e le sue funzioni. Il concetto di salute del suolo, infatti, enfatizza le analogie tra l’ecosistema fisico-biologico del suolo e gli organismi viventi.
L’Unione Europea, nella recente Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo del 2023, relativa al monitoraggio e alla resilienza del suolo, definisce la salute del suolo come “la condizione fisica, chimica e biologica del suolo che determina la sua capacità di funzionare come un sistema vitale e di fornire servizi ecosistemici”.
La degradazione del suolo può essere quindi definita come un peggioramento temporaneo o permanente della salute del suolo, mentre una gestione sostenibile è quella dimensionata alla sua capacità, cioè a “cosa quel suolo può fare” senza compromettere la sua salute nel tempo.