Economia di prossimità per la rigenerazione delle Aree Interne

di Giuseppe Marotta
  • 06 December 2023

La transizione ecologica ha contribuito a riportare al centro del dibattito il tema delle aree interne, unitamente alle crisi alimentari ed energetiche, innescate dagli ultimi eventi (conflitto russo-ucraino), che ne hanno evidenziato il loro ruolo strategico.
I fenomeni di insostenibilità delle aree urbane e la nuova domanda di qualità della vita hanno fatto riemergere il ruolo delle aree interne e la necessità di una loro rigenerazione trasformativa, valorizzando il patrimonio di risorse di cui sono detentrici (risorse naturali, forestali, ambientali, paesaggistiche, storiche, culturali, alimentari, ecc.). Queste aree rappresentano i territori più fragili del paese, a rischio severo di desertificazione economica e sociale in conseguenza della generalizzata rarefazione delle attività antropiche e dei servizi, nonché del crescente spopolamento e indebolimento dei modelli di welfare (Barbera et al., 2022; Locatelli et al., 2022). Fenomeni, questi, non contrastati dalla Strategia Nazionale per lo Sviluppo delle Aree Interne (SNAI), attuata attraverso iniziative su “aree pilota” in tutte le regioni italiane, la quale dopo una fase di slancio iniziale, e a seguito delle prime analisi sui risultati conseguiti, ha evidenziato una sostanziale inefficacia (Interlandi, Famiglietti, 2022).
Più di recente, la guerra in Ucraina ha riportato nuovamente alla ribalta il tema, anche da un altro punto di vista, almeno nel dibattito fra gli addetti ai lavori, per la constatazione di un apparente incomprensibile paradosso: una minacciosa dipendenza esterna del nostro paese per risorse strategiche, quali cibo ed energia, che ha avuto significative ripercussioni economiche e sociali, a fronte di una diffusa e ampia sottoutilizzazione del potenziale produttivo di tali beni nelle aree interne.
Negli ultimi anni, sta emergendo, pertanto, una rinnovata attenzione alle aree interne, in una visione di sostenibilità multidimensionale, riportando il dibattito sull’emergenza dello spopolamento, sul degrado e sullo spreco di risorse, su un modello economico e sociale estrattivo che ha drenato risorse in alcune aree (interne), concentrandole in altre (urbane e costiere), (ISTAT, 2021).
E’ maturata così, nel corso degli ultimi decenni, una nuova sensibilità e consapevolezza, critica e responsabile, dei cittadini verso i temi dello sviluppo, per cui la prospettiva di poter cambiare gli scenari non sembra più un’utopia. La prima consapevolezza da cui partire è che le aree interne rappresentano oggi uno straordinario patrimonio di risorse umane, culturali, naturali ed economiche e possono contribuire in maniera significativa alla soluzione dei tanti problemi posti dalle grandi sfide dei nostri tempi. Ma questi contributi possono concretizzarsi solo se si riesce a invertire il trend in essere in queste aree, innescando processi trasformativi e rigenerativi che puntino ad una rivitalizzazione umana, economica, sociale e istituzionale.
La questione centrale allora è indagare - pur seguendo gli indirizzi della “vision” dell’UE - quale sia il percorso più efficace da intraprendere per rendere i processi trasformativi e rigenerativi realmente concreti ed efficaci, soprattutto nei territori più fragili nei quali operano filiere agroalimentari minori2 che non hanno chance sui mercati della competizione globale.
Il mainstream teorico e politico-economico ha portato all’affermazione di un “modello convenzionale di agroalimentare”, basato sull’innovazione individuale e/o di filiera, funzionale a conseguire posizionamenti competitivi sui mercati da parte delle aziende, delle filiere e dei territori. Coerentemente a questo modello, diverse realtà territoriali, caratterizzate da eccellenze produttive e da tessuti economici e organizzativi adeguati hanno avuto, e continuano ad avere, successo sui mercati nazionali e internazionali.
Tuttavia, accanto a queste aree competitive e di successo, come confermano gli indicatori economico-sociali generalmente usati per le analisi territoriali, c’è anche un altro mondo fatto di una ruralità che, nella contrapposizione “globale-locale”, rimane perdente in modo significativo, accusando arretramenti economici, associati a un’erosione costante del capitale umano. Per questa area di ruralità, sia pure in un quadro di articolata diversità, si rileva una sostanziale esclusione dalle dinamiche positive di sviluppo. Dinamiche che, peraltro, l’evoluzione più recente del modello di economia (globalizzazione) ha reso “a-territoriali”, trasformando gli spazi, che una volta erano luoghi di produzione di ricchezza e di sviluppo di relazioni sociali ed economiche, in “non luoghi” che i giovani non vogliono e non possono abitare. Nella ruralità ricca di risorse, ma perdente sul piano economico e politico, troviamo la gran parte delle aree interne, in cui sopravvivono le filiere del cibo minori. Il “modello convenzionale mainstream”, in queste realtà territoriali fragili, non è proponibile, in quanto mancano le precondizioni oggettive e soggettive per la sua implementazione (struttura aziendale, modello organizzativo, condizioni di contesto, capitale umano, ecc..). Per trovare una soluzione alla rivitalizzazione economico-sociale delle aree interne e delle filiere minori, bisogna allora uscire dalla cornice del mainstream della competizione globale e percorrere strade diverse, basate sulla valorizzazione del patrimonio delle risorse locali e su modelli di coinvolgimento diretto dei cittadini/consumatori.
Un contributo importante, a questo riguardo, viene oggi dal mondo della ricerca scientifica, che propone nuovi modelli, alternativi a quello convenzionale, basati “sull’innovazione sociale”, ma anche da alcune iniziative normative (si veda l.r. Emilia Romagna 19/2014). Modelli funzionali a una ri-territorializzazione dello sviluppo, che sia trasformativa e rigenerativa degli ecosistemi territoriali, orientata a ricostruire “luoghi” in cui vivere e lavorare, “luoghi che diventino anche spazi di mercato”, in cui tutti gli attori, inclusi quelli che operano dal lato della domanda (cittadini/consumatori), sperimentano un coinvolgimento esperienziale che crea valore. Nella letteratura scientifica troviamo alcuni riferimenti importanti (Jeannerat, Crevoisier, 2010; Marotta Nazzaro, De Rosa, 2022) in cui si ricorre al mercato esperienziale, inteso come modalità di acquisto e/o di consumo concepita come esperienza vissuta nei luoghi di produzione dei beni e/o servizi. In altri termini, la concettualizzazione di mercato esperienziale teorizza lo sviluppo territoriale non solo attraverso l’organizzazione locale della produzione, ma anche attraverso la contestuale organizzazione locale dell’acquisto/consumo.
L’economia di prossimità si ispira a questi nuovi modelli di sviluppo e creazione di valore territoriale e, in modo particolare, al concetto di territorio come spazio contestuale di produzione e di acquisto/consumo. Per economia di prossimità si intende, infatti, un’organizzazione del mondo della produzione volta a vendere i propri prodotti e servizi ai cittadini del proprio territorio, e di quello più prossimo, e contestualmente una domanda per questi prodotti espressa dalla comunità locale e da quella più prossima.
Per il cibo significa che i produttori si organizzano per vendere negli stessi territori di produzione e in quelli più prossimi e le comunità locali acquistano e consumano prodotti del proprio territorio e/o di quello più prossimo (il riferimento può essere ad una area territoriale omogenea, ad una provincia, ad una regione). Questo concetto spesso viene espresso come ri-territorializzazione del cibo. (si veda l’esperienza dei Sistemi locali di garanzia partecipata).
Il modello di economia di prossimità certamente non può trovare applicazione in tutti i territori interni che soffrono di fragilità economico-sociale. La sua applicabilità necessita di alcune condizioni minime, quali la presenza di filiere produttive semi-strutturate (filiere minori), con forte radicamento territoriale, la presenza di attività artigianali, di capitale naturale e di istituzioni locali pubbliche (enti locali) e private (associazioni culturali, di terzo settore, ecc.) sensibili ai temi dello sviluppo locale. E’ necessario che ci siano i presupposti minimi per stimolare, anche attraverso policy mirate, un capitale sociale locale in grado di implementare l’innovazione sociale necessaria per il successo di un modello di cibo civile di prossimità.