Massima allerta in Italia per la peste suina

Il Presidente del Comitato Consultivo dei Georgofili per gli allevamenti animali, prof. Bruno Ronchi, a colloquio con il dott. Giovanni Filippini, Direttore Generale dell'Istituto Zooprofilattico della Sardegna e Responsabile dell'Unità di Progetto per l'eradicazione della peste Suina Africana in Sardegna.

di Bruno Ronchi
  • 27 September 2023

Che tipo di malattia è la peste Suina Africana (PSA)?
La PSA è una malattia infettiva virale che interessa soltanto cinghiali e suini domestici, molto contagiosa, molto mortale e per la quale non esiste vaccino, perché il virus in questione non produce i cosiddetti anticorpi "neutralizzanti".

La PSA è una malattia comparsa di recente nel nostro paese?
In Sardegna, già fin dal 1978, era presente la PSA ma apparteneva ad un genotipo di tipo 1 e grazie all’applicazione di un piano di eradicazione stiamo raggiungendo l’eradicazione della malattia. Purtroppo, quella che sta circolando adesso è la PSA di genotipo di tipo 2, che è arrivata in Italia, compresa la Sardegna, dall'Est Europa.

Come si trasmette la PSA?
Il contagio della PSA può essere diretto (da animale sano ad animale malato) o indiretto. Quello indiretto può passare attraverso le scarpe di chi lavora in allevamento o il camion che porta il mangime da un allevamento a un altro. Questo tipo di contagio indiretto è molto difficile da gestire perché il virus è molto resistente nell'ambiente, pertanto si attivano i protocolli di "biosicurezza", come l'uso di soprascarpe negli allevamenti.
Molta più attenzione va fatta nel caso di passeggiate nei boschi, dove è possibile venire in contatto con carcasse di cinghiali infetti; si raccomanda infatti l’immediata segnalazione della carcassa ai servizi veterinari del territorio per le opportune indagini diagnostiche.

Quali misure si possono adottare per contenere la diffusione della PSA?
Il virus, come già detto, è estremamente resistente nell'ambiente: nelle stesse carni congelate sopravvive anche 1.000 giorni!
Per tale motivo si deve applicare il "principio di massima precauzione", creando il VUOTO SANITARIO. Ciò significa istituire intorno agli allevamenti infetti una zona "di protezione" per 3 km ed una zona "di sorveglianza" per altri 7 km ed abbattere gli animali non solo degli allevamenti infetti ma anche degli allevamenti vicini e dunque esposti ad un elevato rischio di infezione. Gli animali abbattuti devono andare poi rapidamente alla distruzione per limitare i tempi di contatto dal quale può rigenerarsi il contagio.
Queste procedure di contenimento sono approvate dalla Comunità Europea e, anche se non fa piacere a nessuno abbattere gli animali; basta pensare che in Lombardia in questi ultimi giorni si sono abbattuti 32.000 suini per salvarne i 5.000.000 presenti.
Ancora più difficile è il contenimento della PSA quando esistono pratiche di allevamento semibrado e quindi i suini hanno molte più possibilità di venire in contatto con cinghiali infetti.
Per quanto riguarda la presenza sul territorio nazionale di 2 milioni di cinghiali e le strategie di riduzione di tale presenza, è necessario lo sviluppo di una filiera delle carni di selvaggina con controlli sanitari appositi che stabiliscano se queste carni possono andare al consumo.
Attualmente la PSA è davvero molto diffusa: ne sono interessati quasi tutti i paesi dell'Est europeo, la Grecia, la Svezia, la Polonia e la Germania, oltre che l'Italia. Il pericolo maggiore è costituito dai cosiddetti "salti del virus della PSA" quasi sempre provocati dal fattore umano che è difficilissimo controllare. Faccio un esempio molto banale: se un automobilista parte con un panino contenente un salume infetto, non lo finisce ma lo getta in un cestino lungo la strada e poi da lì se ne ciba un cinghiale, ecco si verifica il contagio ed è impossibile controllarlo!
E’ necessaria una campagna di comunicazione per informare dei rischi di infezione provocati spesso da comportamenti inconsapevoli. Altro grande problema sono i rifiuti e la possibilità di contatto con i cinghiali spesso ormai urbanizzati.
L'esempio della Sardegna nei confronti del genotipo 1 è certamente un esempio virtuoso che andrebbe mutuato con il genotipo 2 attualmente diffuso; ma è bene ricordare che ci sono voluti comunque oltre 40 anni per giungere all'eradicazione della PSA! Quindi si prospettano tempi difficili.